Sovranismo e forma. Teorie dialettiche e Costituzione (2 parte)
di JACOPO D’ALESSIO (FSI Siena)
Felice il tempo nel quale la volta stellata è la mappa dei sentieri praticabili da percorrere, che il fulgore delle stelle rischiara. Ogni cosa gli è nuova e tuttavia familiare, ignota come l’avventura e insieme certezza inalienabile. Il mondo è sconfinato e in pari tempo come la propria casa, perché il fuoco che arde nell’anima partecipa dell’essenza delle stelle: come la luce dal fuoco, così il mondo è nettamente separato dall’ Io, epperò mai si fanno per sempre estranei l’uno all’altro
Gyorgy Luckàcs
Parte seconda. Le forme politiche e il senso
5. La risposta del Sovranismo al nichilismo
Dunque, se la pratica ermeneutica oggettiva il nichilismo quale contenuto di verità che fonda l’essere sociale della nostra epoca, compito del Sovranismo sarà di offrire a quello un’alternativa. Il Sovranismo infatti non si riduce solo a politica elettorale; né si traduce in mero tecnicismo giuridico, o si accontenterà mai soltanto di soluzioni economiciste. Ma sarà, prima di tutto, riscoperta di un paradigma di valori storicamente riconoscibile che si incaricherà di fornire delle risposte ai personaggi melanconici il cui mondo è stato abbandonato dal senso. Anche lo scetticismo, che fa parte di un metodo critico positivo, si tramuta nel suo gemello perverso ogni qual volta contribuisce ad inficiare
le norme morali che aiutano a facilitare la coesione e la sopravvivenza del gruppo nelle difficili condizioni delle società” (x).
Tale circostanza sopraggiunge a causa di un sistematico processo di esautorazione dei compromessi sociali che un tempo erano stati circondati da una loro aura di rispetto (xi). E il trionfo dell’individualismo prova, in definitiva, come nel giro di pochi decenni i disvalori liberisti siano riusciti a rimuovere dall’inconscio l’idea del sacro intorno alla cosa pubblica.
6. La patria trascendentale
Da ultimo, il relativismo etico si manifesta per mezzo di una condanna radicale nei confronti della democrazia stessa, che Guido Mazzoni descrive con numerose contraddizioni, ma anche con le sue risorse. Si tratta infatti della realtà istituzionale che ha permesso al popolo di penetrare le dinamiche governative, se pure rilegate ad uno spazio di movimento circoscritto.
Per questo motivo, affinché si possa evitare il disorientamento diffuso tra una cittadinanza alienata e le molteplici correnti di dissenso bisognerà, anche nell’ambito politico, riesumare la dimensione oggettiva – o forma – (xii) che, ad esempio, Costanzo Preve coglieva nella funzione religiosa, e che il Sovranismo identifica simbolicamente nella Costituzione.
Solo infatti un corpo teorico complesso, e simultaneamente storico-pratico, nato per coinvolgere sia la singola parte che l’insieme, potrà collocarsi nella posizione che Lukàcs attribuiva alla patria trascendentale: ovvero, alla categoria dell’Essere in grado di ripristinare il dritto e il rovescio delle cose col fine di arrestare il nichilismo così come viene denunciato anche dalle categorie estetiche.
7. Due facce del nichilismo: il positivismo empirico.
Viceversa, ogni tentativo di combinare strumenti economico-giuridici particolari in assenza di una visione del mondo, sostenuta da un’aura condivisa, tanto quanto quella di proporre teorie politiche universali, incompatibili però con la Storia, contribuiranno ad accrescere l’attuale disordine politico e sociale.
Il primo tentativo si perde nel movimento tautologico e circolare de il cattivo infinito hegeliano, messo in pratica da operazioni meccaniche, come ad esempio la ricomposizione della frattura tra Banca d’Italia e Tesoro per abbassare i tassi d’interesse sul debito pubblico (al di là della disputa che trova la sua sovrapposizione o meno con lo SME). Oppure, attraverso l’uscita dall’Euro col fine limitato e specifico di aumentare la competitività dei prezzi delle merci provenienti dalle esportazioni del tessuto produttivo nazionale. Rientrano in questa prospettiva anche quelle strategie che mirano a rinforzare le singole istituzioni quali la Corte Costituzionale chiamata a cassare, ora questo, ora quell’altro decreto governativo.
Non fanno eccezione, infine, nemmeno quelle teorie che, di nuovo, pur col giusto proposito di sganciarsi dal cambio fisso, fanno a meno tuttavia di un momento concertativo e conflittuale. Questo perché nessuna modifica tecnica del processo di finanziamento della spesa pubblica, anche qualora tornasse dipendente dallo Stato, sarebbe in grado di garantire di per sé, né la quantità, né la qualità, né la direzione, di un trasferimento determinato di ricchezza finanziaria verso alcunché, in mancanza di un intervento complessivo da parte dei soggetti sovranisti coinvolti nella realizzazione di un nuovo patto sociale articolato tra le classi e lo Stato stesso.
In questo caso sono le singole parti a prendere il sopravvento sull’universale che non riescono a vedere né a raggiungere, e diventano monadi disordinate che si limitano a compiere operazioni altrettanto confuse. Tali aggiustamenti potrebbero concedere alcune migliorie ma riusciranno ad intaccare solo e sempre la superficie del problema, rimanendo avulsi dai rapporti di forza che sostanziano gli interessi nazionali e internazionali. Simili interventi, per l’appunto, non interferiscono sull’ingerenza che un gruppo dirigente particolare, legato all’una, oppure all’altra parte, potrebbe esercitare su un organo rappresentante, a prescindere anche dalle regole del suo funzionamento oggettivo (xiii).
8. L’altra faccia del nichilismo: l’idealismo romantico o trascendentale
Il secondo approccio, d’altro canto, rimarrà prigioniero negli angusti confini dell’anima bella, anch’essa di designazione hegeliana, la quale, diversamente dalle categorie positiviste, opera sul lato trascendentale. E che, proprio per questo motivo, rimuove le relazioni tra gli uomini e le cose così come stavolta si sono coagulate nei simboli e nelle concrezioni sociali.
Da qui, l’idea che l’attuale referendum per il ‘no’ appaia del tutto inutile, in quanto il senato, nonostante venga esautorato del suo statuto elettivo, abbia rappresentato, fin dal suo esordio, uno strumento inautentico che fa parte di un astratto dover essere. Oppure che lo Statuto dei lavoratori, il Piano Vanoni, la stessa Costituzione (solo per citare alcuni esempi) vengano condannati quali inutili reliquie.
Ma senza sostituirle poi con oggetti egualmente concreti, sopportati da una storia altrettanto condivisa, se non sulla base di un linguaggio scevro di caratteristiche puntuali rispetto a quelli in esser-ci. Contrariamente al primo, questo secondo approccio vorrebbe indagare i rapporti di forza dietro i compromessi che si instaurano tra le classi, ma infine l’Io, in un gesto di narcisistico rifiuto, se ne distacca. Perciò, come si trattasse di fantasmi irriconoscibili, ne rimane indifferente, oppure vi si oppone e, rinunciando a decifrarne significato e collocazione nel mondo che abitano entrambi, ricerca l’autenticità in un ideale altrove.
Gli esponenti di questa linea critica assumono come modello di riferimento teorico categorie come la classe (ignorate invece dai gruppi esaminati in precedenza), senza che tuttavia venga immersa nella fattulità la quale, anzi, viene da quella scavalcata. In questo secondo caso, cioè, è l’universale che prende il sopravvento sulle parti e le occulta, là dove nessuna figura storica potrà mai coincidere con l’idea super-egoica. Così che la soluzione romantica consiste nell’annullamento virtuale – o sublimazione – delle regole che guidano il concreto esistente, il quale corrisponde ad un insopportabile e castrante principio di realtà giudicato dalla’Io alla stregua di un maschera vuota.
Quest’ultima, altresì, è il precipitato in forma della Storia: ovvero dei contenuti realizzati dalle azioni dei singoli uomini, degli assetti istituzionali, dei partiti, delle classi, delle ideologie precedentemente, e tutt’ora operanti, contro, oppure attraverso i quali, l’attuale intervento politico dovrà essere sempre posto in correlazione, anche nell’eventualità di un loro superamento. Pena sarà l’impossibilità di apportare significative trasformazioni alla comunità, così negata dal punto di vista che rimarrà tuttavia perfettamente isolato ed estraneo a quella (xiv).
Conclusioni
Ora, mentre le prime fazioni finiscono impigliate nell’effimero dell’immanenza, che appare più pragmatica, ma incapace di penetrare l’essenza dei conflitti, le seconde restano in ostaggio dell’Io, il quale, rispetto alle prime, tiene conto dell’essenza, ma poi, diversamente da quelle, non accetta di misurarsi con le sue incarnazioni determinate, dislocando se stesso aldilà della storia che rifiuta.
Entrambi gli approcci, quello empirico, da una parte, e quello romantico, dall’altra, si pongono al di fuori dell’essere sociale e della sua dialettica: l’uno impantanato nella manipolazione infinita delle regole oggettive, senza mai muovere le dinamiche più profonde che stanno dietro di esse; l’altro, per il motivo opposto, si rinchiude nella dimensione soggettiva, le cui teorie, sfuggendo qualsiasi mediazione con la contingenza, rimangono astratte quando si proiettano dallo spazio interno verso quello esterno (xv).
9. La Costituzione del ’48.
Al contrario, secondo il Sovranismo l’ontologia dovrà essere rintracciata senza ignorare al contempo, né la teoria politica né la Storia, per cui l’una starà sempre lì a sorvegliare l’altra. Quest’ultima, anzi, verrà considerata nella pienezza delle sue contraddizioni, che vedono l’ingresso del popolo nelle istituzioni e nei partiti attraverso le epoche del Risorgimento, dell’Unità d’Italia, della parentesi fascista, e della Prima Repubblica.
Di conseguenza, la prassi politica non potrà, né imporsi a partire solo dalle regole giuridico-economiche, ovvero da istituzioni e documenti che puntualmente si congelano rispetto ai conflitti sociali in corso; né, tanto meno, dal nucleo di una teoria ideale totalmente slegata dal popolo, il quale ha altresì prodotto quelle istituzioni e quelle formule giuridico-economiche. La prassi, insieme alla teoria, potranno scaturire solo e nient’altro che dall’essere sociale stesso e dalla sua logica interna, la quale viene informata da un processo parimenti contenutistico-formale (xvi).
Lontano dall’arbitrarietà sia degli uni che degli altri, a nessun altro patto sociale, se non alla Costituzione del ’48, spetta il recupero della patria trascendentale, in quanto si tratta, in ambito nazionale, dell’unico corpo etico-giuridico che sia scaturito finora dalla coscienza delle classi nel loro conflitto contro e attraverso la Storia.
Per usare le parole di Theodor Adorno, la Costituzione è simile alla figura del prisma (xvii) entro il quale, come avveniva per l’aristocrazia che abitava l’epos omerico, il codice valoriale del singolo si potrà riconoscere in quello dei molti, e quello del tessuto sociale, preso nel suo insieme (ma allo stesso tempo distinto nelle sue forme particolari), lo rimanderà indietro riflesso per illuminare il cammino del singolo.
La Costituzione è, a tutti gli effetti, l’unica forma etica moderna che può essere usata a maggioranza come baluardo per respingere il relativismo inflittoci dalla svolta neo-liberista di fine anni ’70 che ha sconfitto la Prima Repubblica, ed è entro quella cornice che si dovrà sottoporre e legittimare una corretta impostazione della prassi politica. Detta in altra maniera, solo la narrazione di un mito, quale organizzatore dell’esperienza, può svolgere la funzione di raccordo trascendente–immanente tra partiti, Stato, e classi (xviii). Ma soggetto e oggetto si trovano attualmente in una fase di transizione, nella paradossale circostanza di essere contemporaneamente ancora uniti e tuttavia scissi:
(…) come la luce dal fuoco, così il mondo è nettamente separato dall’ Io, epperò mai si fanno per sempre estranei l’uno all’altro (xix).
Ruolo perciò dei soggetti sovranisti sarà quello di sottrarre, attraverso la lotta politica, l’oggetto costituzionale alla logica pura dell’astratto dover essere kantiano, affinché la trascendenza venga realizzata nella sua pienezza fino a riempire di senso la totalità che manca. La Costituzione, di fatto, vive la contraddizione di essere un documento realmente esistente, in quanto sintesi di un momento conflittuale storicamente determinato, ma ancora carica di utopia nella misura in cui non si è mai completamente avverata.
[fine]
Qui la prima parte dell’articolo
Note:
x) C. Preve, Marx inattuale, Bollati Boringhieri, 2004, cit. pg. 78.
xi) Secondo Walter Benjamin l’aura corrisponde in parte al senso del sacro il quale, in epoca pre-moderna, si riusciva a instaurare tra l’opera d’arte e i suoi fruitori. L’arte era in grado di restituire indietro un significato a chi la contemplava per il fatto che condividesse con il pubblico i valori e la materia del medesimo mondo, in W. Benjamin, Angelus Novus, Einaudi. Torino, 2002.
xii) Per esplorare il concetto di forma rimando, per un primo approccio, a L’anima e le forme di G. Luckàcs, e ad un saggio di M. Bontempelli, in Capitalismo, sussunzione, nuove forme della personalità, Sinistra in rete, 29/Agosto, 2011.
xiii) In Luckàcs, Teoria del romanzo, si tratta del momento in cui l’anima (il soggetto) si fa troppo piccola rispetto al mondo che la circonda, così che vi scompare all’intero e ne viene divorata. Faccio riferimento a due autori che hanno calato invece il dibattito economico sul piano dei conflitti sociali evitando di cadere nella trappola del positivismo empirico: A. Graziani e M. Kalechi. Il primo dimostra come l’accesso al credito cambi a seconda del soggetto privato che lo domanda, in Teoria del circuito monetario, Jaka Book, Rimini, 1996; mentre il secondo spiega come una parte dell’impresa, anche a scapito di una maggiore prospettiva di guadagno, generalmente rifiuti la piena occupazione per timore di perdere il controllo politico sulla forza lavoro, in M.Kalecki, J.Robinson, P.A.Baran, Aspetti politici del pieno impiego, Celuc, Milano,1975. Questo per dimostrare che la natura di nessun contratto, o istituzione, sia neutrale, ma costituisca sempre la coagulazione formale di un rapporto di forza fra classi.
xiv) Ibid, si tratta del momento in cui l’anima, al contrario, si ingrandisce rispetto al mondo che la circonda, così che ne rimane estranea e lo divora. Per spiegare i limiti dell’idealismo trascendentale faccio anche qui solo due accenni: uno a K. Marx e l’altro a J.P. Sartre. Il primo costruisce infatti una parte del suo corpo teorico sulla base dei moti accaduti in Francia durante il 1848, in Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, Roma, Editori Riuniti, 1997; mentre il secondo organizza una teoria universale della storia sulla base della Rivoluzione Francese. Istituzioni, partiti, capi rivoluzionari, leggi, formule economiche, vengono vagliate dal processo filosofico nel loro rapporto con l’Essere entro e fuori il quale Sartre scrive Critica della ragione dialettica, Marinotti, Milano, 2006. Le teorie politiche si inscrivono entro forme storiche esistenti, e acquistano un certo grado di verità, anche immaginifica, proprio in virtù di quelle.
xv) Il quadro teorico che svela le due facce del nichilismo proviene, di nuovo, da Gyorgy Lukàcs, il quale traduce questa volta, nei termini della teoria politica, lo scontro tra finito e infinito. Entrambi i filoni, rispettivamente positivista e romantico, sono impostazioni teoriche finite (nel senso di parziali) in quanto subiscono i difetti del sistema razionale kantiano, incapace di penetrare la cosa in sé (fenomeno e noumeno) – percepita come un oggetto (cosa) autonomo (in sé) – separata dall’Io, il quale la pensa ma non la riconosce, e perciò la censura con false proiezioni, oppure esclude dal mondo di cui fanno parte entrambi. All’Io razionale, infatti, privo di dialettica, sfuggirà sempre la facoltà, sia di penetrare la portata degli eventi storici, delle istituzioni, delle merci, (fenomeno) da una parte; sia quella delle idee universali riferite ai valori, al significato dell’esistenza, dell’organizzazione sociale (noumeni), dall’altra, principalmente nel modo in cui fenomeno e noumeno si legano tra loro in rapporto all’essere sociale, in G. Lukàcs, Storia e coscienza di classe, Tasco, Milano, 1991.
xvi) Ibid. Tuttavia, come suggerisce Preve, in Marx inattuale, anche noi prendiamo le distanze dalle conclusioni di Luckàcs, secondo le quali il proletariato diventerebbe infine l’erede esclusivo dell’idealismo. Anche secondo il Sovranismo, la risposta attuale può essere solo pluri-classista.
xvii) T. Adorno, Prismi. Saggi sulla critica della cultura, Einaudi, Torino, 1972.
xviii) E’ lo scritto di Benjamin su Goethe, Le affinità elettive, ad indicare nel mito un sinonimo di forma, categoria della quale possiamo servirci per interpretare la realtà e muoverci in base a quella. Dunque, non si allude in questo caso al mito demistificatorio, bensì a quello di fondazione. Tale argomento attirò l’attenzione tanto di C. Preve, in Marx inattuale, quanto di F. Jameson, in Marxismo e forma, Liguori Editore, Napoli, 1983.
xix) G. Luckàcs, Teoria del romanzo, cit. pg.1. L’immagine qui inserita appartiene in realtà all’epos omerico dove, diversamente dai giorni nostri, l’ontologia si rappresentava ben salda. Ma viene usata in quest’ultimo passaggio come allegoria della condizione moderna che, se pure scissa, mantiene intatto il proprio desiderio nei confronti della totalità.
La seconda parte è addirittura migliore!