La globalizzazione non è una novità: lezioni dalla Storia*
di ANDREA FRANCESCHELLI (FSI Pescara)
La globalizzazione e il liberismo sono fenomeni recenti o sono tendenze che si avvicendano da secoli con problemi di ordine democratico?
Per rispondere a questa domanda, ovviamente, bisogna aver studiato la storia.
A prescindere dal proprio pensiero politico e quindi dalla propria visione economica, chi conosce la storia sa benissimo che la globalizzazione e il liberismo hanno radici secolari, e nei secoli hanno conosciuto periodi di trionfo e periodi di sconfitta e che queste alterne vicende, spesso in secondo piano nella narrazione generalista della storia, hanno avuto in realtà un’influenza molto potente nel determinare le tappe fondamentali della storia dell’uomo.
La globalizzazione e il liberismo non sono quindi una novità. Questo è un fatto.
Se infatti volgiamo lo sguardo indietro, nella storia, possiamo scorgere dinamiche che si assomigliano e si ripetono ciclicamente, quasi noiosamente.
Senza prendere troppo la rincorsa – e senza quindi scomodare l’Impero Romano, che tanto, in realtà, insegnerebbe in merito alle dinamiche globalizzatrici – ci limiteremo a dare uno sguardo veloce agli ultimi duecento anni per dare testimonianza di quanto sopra asserito.
Iniziamo con il riassumere gli elementi della globalizzazione e del liberismo delineandone i tratti caratterizzanti.
La globalizzazione si fonda sulla ideologica affermazione che i benefici determinati dal commercio internazionale debbano prevaricare qualsiasi altro tipo di esigenza, finanche quella democratica.
Secondo i “globalizzatori” i costi derivanti dalla globalizzazione devono essere accettati a prescindere, appunto, dal costo che si dovrà subire.
Il commercio internazionale presuppone la libera circolazione di merci, capitali e persone (intese come lavoratori). E’ infatti solo con il libero e non vincolato esercizio di circolazione di capitali, merci e persone, che il commercio internazionale potrà svilupparsi in maniera ampia e illimitata.
I fautori della globalizzazione abbracciano quindi il modello del liberismo, in quanto permette il massimo sviluppo del commercio internazionale.
Questa è, in estrema sintesi, l’ideologia globalista/liberista.
Torniamo ora alla storia per scoprire le applicazioni pratiche del globalismo e del liberismo.
Le origini moderne della globalizzazione sono da rintracciare nel periodo successivo alle grandi scoperte geografiche, una su tutte quella del continente americano, ed in particolare al periodo nel quale si sono iniziate a sfruttare, da parte delle monarchie europee, le risorse economiche delle terre d’oltremare.
Se per un attimo paragoniamo quel periodo al nostro e ci preoccupiamo di sostituire “la compagnia delle Indie Orientali” o “la compagnia della Baia di Hudson” alle attuali multinazionali, possiamo iniziare a capire di quale parallelismo storico e di quali dinamiche ripetitive parlavo poco più sopra.
Riporto un passo del libro del Prof. Dani Rodrik (Harvard-Priceton) [1] che riesce a sintetizzare con magistrale chiarezza la progressione dell’ideologia globalista liberista nella storia:
“Nel corso dei secoli diciassettesimo e diciottesimo, l’espansione del commercio mondiale ebbe un andamento costante con un aumento di circa l’1% l’anno, superando, anche se di poco, l’incremento dei redditi mondiali. Da un certo momento, nella prima parte del diciannovesimo secolo, il commercio mondiale cominciò a crescere a grandi passi, registrando un tasso di crescita senza precedenti di quasi il 4 % l’anno misurato sull’arco dell’intero secolo. I costi di transazione che ostacolano gli scambi internazionali sulle grandi distanze – dovuti alle difficoltà di trasporto e comunicazione, alle limitazioni imposte dai governi e ai rischi per la vita e la proprietà – iniziarono a diminuire precipitosamente. I flussi di capitale prosperarono e la maggior parte delle economie del mondo divennero finanziariamente più integrate che in passato. Fu anche un’epoca di vasti movimenti di persone fra i continenti, con trasferimenti in massa di lavoratori europei verso le americhe e altre terre di recente insediamento. Per queste ragioni, la maggior parte degli storici dell’economia considera il lungo secolo prima del 1914 come la prima era della globalizzazione.”
Continua Rodrik:
“Che cosa rese possibile questa era di globalizzazione? I racconti correnti individuano tre importanti cambiamenti avvenuti in questo periodo. In primo luogo, nella prima parte del diciannovesimo secolo le nuove tecnologie sotto forma di navi a vapore, linee ferroviarie, canali navigabili e il telegrafo rivoluzionarono il trasporto e le comunicazioni internazionali e ridussero enormemente i costi del commercio. In secondo luogo, la narrazione dell’economia cambiò allorché le idee degli economisti del libero mercato come Adam Smith e David Ricardo finalmente ottennero qualche adesione. Questo indusse i governi delle principali economie del mondo ad allentare notevolmente le restrizioni che avevano imposto al commercio nella forma di tasse sulle importazioni (dazi doganali) e divieti espliciti. Infine, a partire dagli anni Settanta del secolo, l’adozione del gold standard consentì ai capitali di spostarsi internazionalmente senza il timore di cambiamenti arbitrari nel valore delle valute o di altri scossoni finanziari. […] I racconti correnti omettono due istituzioni di vitale importanza specifiche del diciannovesimo secolo. Queste istituzioni consentirono una più profonda globalizzazione di quanto non fosse stato possibile fino a quel momento […]. La prima era la convergenza nei sistemi dicredenze dei più importanti responsabili delle decisioni economiche dell’epoca. Il liberismo economico e le regole del gold standard collegavano i politici di nazioni diverse e li portavano a concordare su pratiche che minimizzavano i costi di transazione nel commercio e nella finanza. […] La seconda istituzione era l’imperialismo. Che fosse di tipo formale o informale, l’imperialismo era un meccanismo per imporre regole favorevoli al commercio, una specie di <parte terza garante>, con i governi dei paesi avanzati come garanti. Le politiche imperialiste dispiegarono il potere economico e militare dei paesi più importanti per mettere in riga il resto del mondo tutte le volte che fu possibile. Così, esse fornirono il contesto perché la globalizzazione raggiungesse anche le aree periferiche dell’economia mondiale (America latina, Asia e Medio Oriente) e poterono essere usate per rendere queste regioni <sicure> per il commercio e la finanza internazionali.”
Possiamo quindi affermare che il pieno vigore della globalizzazione e del liberismo economico ci portarono dritti verso la Prima Guerra Mondiale e il fallimentare tentativo di salvataggio del sistema globalista/liberista, perpetrato negli anni a seguito della 1° guerra mondiale, implose dirompente con la crisi del 1929 che dettò la linea economica e finanziaria a tutti gli Stati del mondo.
Gli anni ’30 del XX secolo videro la sconfitta della globalizzazione e del liberismo e l’affermarsi in tutte le economie del mondo (da quella comunista a quella nazionalsocialista, passando attraverso quella americana di Roosevelt e quella italiana fascista) dello Stato come attore principale dell’economia. Purtroppo, però, i germi dell’odio e della concorrenza fra Stati, innescati dagli effetti della globalizzazione, avevano inesorabilmente fermentato e la Seconda Guerra Mondiale fu inevitabile.
Al finire della guerra e per oltre 30 anni il regime economico adottato fu quello Keynesiano, contrapposto al liberismo, e il commercio internazionale venne imbrigliato nella gabbia del GATT e degli accordi di Bretton Woods.
Purtroppo gli anni ’70 del secolo scorso fecero riaffiorare l’ideologia globalista/liberista, Nixon fece cadere Bretton Woods e il GATT andava verso la sua trasformazione in WTO/OMC.
Nel frattempo la febbre europeista dilagava e i vincoli al cambio valutario accompagnati dalla formazione del mercato unico prendevano forma nei Trattati europei, in uno stillicidio senza fine originato da una apparentemente innocua “dichiarazione di Schuman” del 1950 che dipanava i suoi effetti fino ai più invasivi trattati oggi in vigore.
In men che non si dica il liberismo e la globalizzazione, non solo tornarono prepotentemente in auge, ma addirittura si fecero norma viva attraverso l’adeguamento del diritto interno degli Stati aderenti alla Comunità/Unione europea, alle norme Comunitarie.
Alla fine degli anni ’90 la globalizzazione e il liberismo avevano ancora vinto e traccia di questa vittoria la ritroviamo nelle parole del 1997 di Michel Camdessus, amministratore delegato dell’ IMF (Fondo Monetario Internazionale):
“E’ dimostrato che un sistema sempre più aperto e ispirato al liberismo arreca grandi benefici all’economia mondiale.”
“La liberalizzazione dei flussi di capitale è elemento essenziale di un sistema monetario internazionale efficiente in questa era di globalizzazione.”
Tocca ora ai Sovranisti, invertire la tendenza prima che sia troppo tardi.
[1] “The Globalization Paradox, Democracy and the future of the world economy” 2011 W.W. Norton & Company, new York –London, edito in Italia con il titolo “La globalizzazione intelligente” da Laterza. Le citazioni si trovano a pag. 49 e segg. dell’edizione italiana.
* Pubblicato su Appello al Popolo il 20 ottobre 2015
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