Trentamila licenziamenti alla Volkswagen. 23mila in Germania
di CONTROPIANO (Francesco Piccioni)
Il presidente di Volkswagen Herbert Diess, ha presentato a Wolfsburg il piano sul futuro, frutto dell’accordo con il consiglio di fabbrica che prevede il taglio di 30.000 posti di lavoro globali, di cui 23.000 in Germania. Vw investirà invece 3,5 miliardi di euro nell’elettromobilità e nella digitalizzazione, con 9.000 posti di lavoro nuovi nel settore del software. “Ristrutturiamo in modo radicale Vw per renderla pronta al grande cambiamento che affronterà il settore dell’auto”, ha aggiunto Diess.
“Un grande passo in avanti, uno dei più grandi della storia dell’azienda”. “Non ci saranno licenziamenti legati alla produzione”, ha spiegato Diess.
Con le misure contenute nel patto, Vw conta di migliorare di 3,7 miliardi di euro all’anno fino al 2020 il risultato operativo, secondo quanto riferito dall’azienda e riportato dall’Handelsblatt, con 3 miliardi risparmiati negli stabilimenti tedeschi e 700 milioni in quelli all’estero. L’intero gruppo Volkswagen occupa 624.000 addetti, 282.000 dei quali in Germania. Il taglio dei 30.000 posti di lavoro sarà accompagnato da ammortizzatori sociali come il prepensionamento progressivo, ha spiegato il presidente del marchio Vw Herbert Diess nella conferenza a Wolfsburg. Non sono stati forniti dettagli su come la ristrutturazione (che accanto ai 30.000 licenziamenti prevede 9.000 assunzioni nel settore del software) si rifletterà sugli stabilimenti.
3,5 mld per auto elettrica e digitalizzazione – “Elettromobilità e digitalizzazione” sono le chiavi con cui Volkswagen vuole reagire allo scandalo del dieselgate e “attrezzarsi per affrontare la trasformazione che sta investendo il settore automobilistico”, secondo le parole dei top manager dell’azienda, Matthias Mueller e Herbert Diess. Accanto al taglio di posti di lavoro, il patto per il futuro siglato con il sindacato prevede investimenti per 3,5 miliardi e 9.000 nuove assunzioni nelle nuove tecnologie per sviluppare auto elettriche e servizi come il car-sharing e il ride-sharing. Non sono stati forniti dettagli su come questa svolta si riverbererà sulla produzione, ma secondo l’agenzia Bloomberg l’azienda ha accettato di produrre due auto completamente elettriche negli stabilimenti tedeschi di Wolfsburg e Zwickau. Di ieri, invece, è la notizia che da aprile 2017 lo stabilimento di Dresda, con i suoi 525 addetti, produrrà un modello di Golf elettrica. (fonte. Ansa)
L’obiettivo dichiarato è la riduzione dei costi di quasi 4 miliardi di euro e la prospettiva temporale di questa prima sforbiciata è abbastanza breve: entro il 2020.
Fin qui la notizia.
Nonostante la portata dei tagli, il tutto avverrà con l’accordo del sindacato di categoria, la Ig Metall, visto che il capo del del consiglio di fabbrica, Bern Osterloh, dichiara di aver ottenuto in cambio la “sopravvivenza di tutti gli stabilimenti” e una serie di “garanzie sociali come i prepensionamenti”.
Palle, sostanzialmente, perlomeno per la parte che riguarda gli stabilimenti. L’evoluzione futura della manifattura automobilistica – e non solo – è infatti ormai definita e descritta in migliaia di studi come “industria 4.0”. In pratica, si va sviluppando a passi da gigante l’automazione dei processi produttivi e quindi la sostituzione dei lavoratori in carne e ossa con i robot. Proprio in Volskwagen il programma è impostato ormai da due anni. Nell’ottobre del 2014, infatti, il capo del personale della Volkswagen, Horst Neumann, spiegava alla stampa: “Nei prossimi 15 anni andranno in pensione 32mila persone; non verranno rimpiazzate. Nell’industria automobilistica tedesca il costo del lavoro è superiore ai 40 euro all’ora, nell’Europa dell’est sono 11, in Cina 10. Oggi il costo di un sostituto meccanico per lavori di routine in fabbrica si aggira intorno ai cinque euro. E con la nuova generazione di robot diventerà presumibilmente ancora più economico. Dobbiamo essere in grado di sfruttare questo vantaggio economico”.
Ora quel programma viene messo in pratica, potendo anche contare sugli ammortizzatori sociali (a spese dello Stato o dei fondi previdenziali accantonati). In pratica, gli stabilimenti potrebbero anche essere mantenuti tutti aperti. Peccato che all’interno i lavoratori si conteranno sulle dita di ben poche mani…
Ma in ogni caso – esistano o no ammortizzatori – questo processo di distruzione dei posti di lavoro è mondiale e non prevede una quantità di “nuovi lavori” in grado di sostituire quelli che si vanno perdendo.
Proprio oggi, su IlSole24Ore, un articolo illustra la situazione con il poco rassicurante titolo: Allarme Onu: i robot sostituiranno il 66% del lavoro umano. Trattandosi del quotidiano di Confindustria, ovviamente l’allarme viene stemperato con una serie di “buoni consigli” che dovrebbero attutire il terremoto sociale globale prodotto da questa “sostituzione”. Ma anche a volerli prendere sul serio, è inimmaginabile – e non esiste alcun serio studio scientifico su questa possibilità teorica – che un modo di produzione incapace da dieci anni di produrre “crescita” economica, possa improvvisamente (dieci anni sono un respiro, in questo campo) sfornare miliardi di “nuovi posti di lavoro in nuovi lavori”.
Anche perché – spiegano tutti, ma proprio tutti gli studiosi dell’automazione – questi processi non riguardano solo il lavoro manuale, ma anche e forse soprattutto quello “intellettuale”, a cominciare dalle funzioni più ripetitive e seriali (operazioni di banca, uffici pubblici, call center, persino giornalismo!).
Forse bisogna cominciare a preoccuparsi di questo, prima che tutto il pianeta esploda…
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