Presidio FSI per il NO a Gallarate (Va)
Organizziamo due sessioni nei orari di maggiore flusso, una dalle 12:00 alle 14:30 a cui siamo presenti in due, Daniele Marino ed io, ed una dalle 17:30 alle 22:00 a cui siamo presenti in cinque, sempre Daniele che porta anche un’amica pugliese che vive a Cipro (e ci racconta del bail-in del 2013), Emanuela Rita Signor, Stefano Schirinzi ed io. Tempo bellissimo. Con la prima sessione prendiamo le misure alla città, con la seconda essendo in tanti mi stacco spesso e vado a volantinare per tutte le vie del centro, ritornando periodicamente alla base. Alle 19:30 Daniele, Emanuela e Stefano devono tornare dalle famiglie, quindi smonto il banchetto, raccolgo dall’auto il primo di diversi mazzetti di volantini e comincio a girare in solitaria in mezzo ai numerosi giovani che cominciano ad affollare il centro storico disseminato di locali. Ad un certo punto si esaurisce la batteria del telefono e non so più bene che ora sia. Quando torno alla macchina l’orologio dice 2:35.
Abbiamo consegnato i nostri volantini e scambiato opinioni appassionate con commercialisti spocchiosi che si dichiaravano di sinistra, antidemocratici, castristi ed oligarchici e spiegavano a noi che avevamo le idee confuse; vivacissime signore ottuagenarie memori della profonda dignità civile dei decenni del dopoguerra ed oggi convinte dalla tv che la colpa della decadenza italiana sia del ping pong fra camera e senato, ma ancora capaci di salutarci con un salatissimo “però mi ha inquietato lei!”; bancari colleghi di parenti che dopo averci conosciuto hanno preso i nostri volantini a mazzi e li hanno portati ai colleghi dentro gli uffici oltre le linee nemiche; gente disperata che rifiutava l’offerta del volantino quasi con le lacrime agli occhi senza poter sapere che proprio lì c’era la medicina che cercano da chissà quanto; attempate mitomani che ci hanno sequestrato per minuti e minuti raccontandoci dei loro rapporti platonici con famosi politici mentre ricchissime signore pazze di gelosia le seguivano per giornate intere con la scorta pagata dai contribuenti dal loro parrucchiere ed estetista di periferia; compagnie di ragazzi in parte mezzi ‘mbriachi e in parte del tutto ‘mbriachi che fortunatamente erano tutti per il NO con cui ci si è abbracciati calorosamente nel giro di venti secondi; ragazzi italiani appena ventenni dai tratti e accenti esotici che parlavano con passione di politica ripetendo i mantra della tv governativa, ascoltavano, ragionavano, mutavano gradualmente la loro posizione dal sì secco al “forse avete ragione voi” passando attraverso i tasti sensibili della sanità e dei diritti del lavoro; coppie borghesi di sessantenni esemplari per coscienza civile lui ormai disilluso e lei ancora capace di tensione e luce negli occhi con cui abbiamo reciprocato il rito di rinfocolare la speranza che sorge dal ritrovarsi in terra straniera con gente che torna a parlare la tua stessa lingua; corpulenti incravattati di dubbia eleganza che accoglievano con calore partenopeo il NO perché loro “sono con Abberluscone dal 1994 eh!”; coppie di ragazze ventenni che dicono che prendono un solo volantino tanto sono insieme e che dicono che no non sono sorelle, stanno proprio insieme facendo andare la punta dell’indice da un petto all’altro, con una solarità che solo dieci anni fa sarebbe stata impossibile anche nei film ambientati in Norvegia; osti che ci servono una pinta di imperial stout per fare rifornimento, ci parlano dei loro guai attuali, di quanto si lavorasse bene nei decenni scorsi e si prendono i volantini da esporre alla cassa perché domenica è un giorno importante; ragazzi venticinquenni freschi di laurea in economia che si succhiano la nicotina dai vaporizzatori al gelo della notte che si fermano a parlare per un’ora secca partendo da posizioni dubbiose e implicito europeismo finendo con il chiedere i contatti facebook perché voteranno NO e vogliono sapere di più del partito; giovani ben vestiti che vedono il NO, rifiutano sdegnosi e rispondono all’invito sorridente di informarsi di più con un nevrotico “si informi lei” mentre già hanno cominciato a fuggire; vecchi compagni di liceo con cui si diceva a sedici anni “qua fondiamo un partito e li sistemiamo tutti ‘sti cazzoni del governo” che oggi lavorano in banche di investimento svizzere che mandano foto di pranzi executive a Milano e dicono che votano sì convinti perché non si può mica stare a perdere tempo a sentire tutti i cazzoni che stanno al mondo; gruppetti di settantenni con la faccia da amici miei che ci mettono in mezzo pensando di avere trovato un modo insperato di farsi due risate e se ne vanno via seri seri e gentili come non gli capitava da chissà quanto; tanta gente normale che ci risponde sì grazie e no grazie con una smorfia o con un sorriso. Abbiamo passato una giornata e una nottata intera a toccare il corpo dolente, irriflessivo, dignitoso, delirante, delicato, tronfio, umiliato, allegro, assetato, intossicato, infine vivo di questo nostro paese, di un popolo che non è affatto quella massa informe, insulsa, immota ed amorale che ci viene continuamente proiettata davanti per convincerci ad identificarci con essa, di un popolo che è insieme peggiore e migliore di quello che si immagina fino a che non si allunga una mano per toccarlo, e che per questo ha ancora una capacità di reazione forte, forse anche dissennata, ma che non è finito, come non è finita la storia e l’ultimo uomo è ancora di là da essere concepito. Morale di oggi: Francis Fukuyama era un cazzaro, e la militanza politica restituisce la vita piena che non si immagina più di poter vivere, in mezzo alla gente, in mezzo al proprio popolo. Oggi e domani prosegue il dialogo sui social per aggiungere alla goccia nel mare dell’urna la goccia nel mare delle parole, fino all’ultimo.
Rossano Ferrazzano
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