Io sono diverso
di CARLO CLERICETTI
“Io sono diverso”: così Matteo Renzi nel suo discorso dopo il risultato del referendum, in cui ha annunciato le sue dimissioni da presidente del Consiglio. Annunciate davanti alla stampa e alle televisioni, né in Parlamento, né al presidente della Repubblica. Il leader si rivolge al popolo senza mediazioni, neanche istituzionali.
Le dimissioni in caso di bocciatura della “sua” riforma Renzi le aveva annunciate più volte, dapprima in modo più radicale (“cambio mestiere”, “lascio la politica”), poi, man mano che il risultato si faceva più incerto, un po’ più attenuato, ma sempre con molta nettezza. C’è chi ha raccolto alcune di queste dichiarazioni, pronunciate in varie e numerose occasioni.
In politica sono importanti le parole ed è importante l’affidabilità. Nessuno aveva chiesto a Renzi impegni di quel genere, ma una volta che li ha presi – e più volte ribaditi – ci si aspetta che li mantenga. I suoi fan potranno replicare: infatti si è subito dimesso dalla guida del governo. Vero, ma non dalla guida del partito senza il quale nessuna maggioranza parlamentare è possibile. Non solo. Esaminiamo quello che è accaduto finora da due punti di vista, quello del partito e quello del governo del paese.
Nel partito Renzi ha convocato la direzione, ossia il più importante organo collegiale. Per fare cosa? Un discorso senza un cenno di autocritica, ma con un’orgogliosa rivendicazione delle cose fatte e in particolare di aver abbassato le tasse, cosa vera per le imprese, falsa per il complesso del paese. Segue dibattito? Ma no, che idea: tanto la direzione è “convocata in permanenza”, quindi prima o poi si farà (forse). Ma a babbo morto, mica su come gestire la crisi, che proposte fare, quale sbocco cercare di darle. A quello ci pensa il “dimissionario”.
Riflettiamo ora sulla questione del governo. L’esito del referendum non ne comportava le dimissioni, derivate dunque da una scelta individuale del presidente del Consiglio. Lo aveva detto, e almeno per questa parte l’ha fatto. Benissimo. Ma come? Mettiamo che una coppia viva una situazione di tensione e il marito dica alla moglie: “Guarda che se fai quella certa cosa me ne vado”. La moglie fa proprio quella cosa e il marito decide di andarsene. Però lascia tutte le pentole sui fornelli accessi, i rubinetti aperti e le porte di casa spalancate, le bollette in scadenza da pagare. Ha fatto quel che aveva detto? Sì, ma ci ha aggiunto un di più, ha fatto di tutto per creare difficoltà alla moglie. Renzi aveva sul fuoco una Legge di bilancio a cui il Senato avrebbe dovuto apportare alcune modifiche, come ad esempio il ripristino dei fondi per i malati di Taranto a causa dell’inquinamento dell’Ilva.: approvata in fretta e furia senza modifiche, con un paradossale voto di fiducia dato ad un governo dimissionario. Era aperta – e in allarme rosso – la questione Monte dei Paschi. In corso la gestione delle urgenze per i terremoti. In questione l’approvazione dei nostri conti pubblici da parte della Commissione Ue. Le dimissioni, libera scelta dell’interessato, avrebbero potuta aspettare almeno il minimo indispensabile per tamponare le emergenze. Tanto più che non c’è stato né il ritiro dal partito, né quello dalla politica: Renzi si è dato da fare, e molto, solo per condizionare la sua successione, ignorando le urgenze dei problemi collettivi.
Ora, sotto la pressione di queste urgenze, abbiamo un governo guidato da uno stretto sodale del suo predecessore, il quale ha pilotato la crisi verso tale esito e si prepara a dare battaglia per il congresso del partito. “Io sono diverso”: è proprio vero? In fondo sì: Renzi è il primo che se n’è andato senza andarsene.
fonte: http://clericetti.blogautore.repubblica.it/
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