L’euro: agonia e negazione
Per Sapir la presente situazione politica non può più essere descritta in termini politici, richiede le risorse concettuali della psicoanalisi: di fronte agli avvertimenti degli economisti sui danni dell’euro, di fronte agli operatori economici che non credono più nella possibilità dell’Italia di restare nell’euro e reagiscono provocando l’inarrestabile fuga dei suoi capitali documentata in Target2, gli operatori politici negano la realtà per tenersi abbracciati al loro sogno. La moneta unica implicava la perdita di sovranità degli Stati, dunque la rinuncia alla loro politica economica nella speranza che l’ortodossia liberale fosse nel vero, che il solo meccanismo del mercato promuovesse la convergenza tra le economie. Si è invece verificata una loro progressiva divergenza, rispetto alla quale la politica monetaria di Draghi doveva solo ritardare la fine dell’Unione, così da consentire la svendita delle risorse economiche del mezzogiorno a vantaggio della finanza anglosassone e del capitalismo settentrionale.
L’articolo è disponibile al seguente indirizzo:
http://russeurope.hypotheses.org/5511
Traduzione di PAOLO DI REMIGIO (FSI Teramo)
L’euro: agonia e negazione
di Jacques Sapir • 15 dicembre 2016
Il problema posto dalla natura dannosa dell’euro per le economie europee è oggi evidente. È stato ricordato dal premio Nobel di quest’anno, Oliver Hart , dopo esserlo stato da molti grandi economisti insigniti di premio Nobel, come Joseph Stiglitz , Christopher Pissarides e da qualcun altro come Peter Bofinger, Heiner Flassbeck, Hans Werner Sinn, o Alfred Steinherr in Germania, Brendan Brown, Rendall Wray e Mark Weisbrot nel mondo anglosassone.
Tuttavia è anche chiaro che la chiusura autistica non è mai stata così forte, almeno in Francia. D’altronde lo si può capire. Gli individui che hanno fatto investimenti enormi in termini di lavoro ma anche e soprattutto in termini simbolici hanno difficoltà enormi a riconoscere che si sono ingannati o che la realtà non corrisponde alle loro attese. Entrano allora in un atteggiamento di negazione – il «reale» non esiste o non è che l’immagine costruita da un complotto di gente malintenzionata – e al tempo stesso in un atteggiamento volto a reprimere tutti quelli che non condividono il loro punto di vista. Questo tipo di comportamento è umano. Fu adottato sia dai dirigenti sovietici sia dai militanti del PCF di fronte all’affondamento dell’URSS. L’investimento simbolico nell’euro è stato enorme, perché al di là della moneta unica è in pericolo la federalizzazione dell’Unione europea, è in pericolo la ripresa del progetto sovranazionale denunciato a suo tempo dal Generale de Gaulle.
Quando accetta di entrare in una unione monetaria, e bisogna sapere che ce ne sono state di numerose dalla fine del XIX secolo, un paese accetta di fatto di perdere il controllo della sua politica monetaria, di comportarsi come una regione di una compagine superiore. Perdere la propria sovranità monetaria è perdere la propria sovranità in generale. La questione è allora di sapere se si era chiesto agli abitanti del paese considerato se volessero fondersi in uno spazio più vasto, se pensassero che con gli altri popoli esistessero legami di forte solidarietà, legami di solidarietà senza i quali è illusorio voler pensare a uno Stato, se la cultura politica di questo paese fosse sufficientemente simile a quella di altri paesi di questa unione, così che le condizioni di messa in opera delle istituzione dello Stato divenissero possibili. Altrimenti la perdita della sovranità monetaria esprime un processo coloniale o imperiale. È una delle ragioni per le quali le numerose unioni monetarie costituite sono molto spesso fallite. I processi di dissociazione monetaria sono stati in realtà ben più importanti dei processi di unificazione monetaria. Il fallimento della zona euro è in realtà «normale» nella prospettica storica.
Oggi è dunque chiaro che l’eventualità di un’esplosione della zona euro fa parte degli scenari ai quali lavorano le Banche Centrali dei paesi membri. Ciò non implica affatto che i loro responsabili auspichino l’esplosione della zona, ma questi sono i fatti. Il sistema di compensazione in tempo reale dei movimenti dei capitali interni alla zona, il «sistema Target2» (Trans-European Automated Real-time Gross Settlement Express Transfer System), permette d’altronde di misurare direttamente le tensioni tra i paesi membri. Le tensioni apparse dal 2007 in questo sistema in cui la Germania è ampiamente in eccedenza hanno condotto certi economisti a parlare di una «trappola» monetaria che si sta richiudendo sulla Germania . D’altronde, seguendo le evoluzioni dei montanti nel sistema Target2 si possono vedere al meglio la progressione della crisi dell’euro e in particolare l’impatto degli avvenimenti che si verificano attualmente in Italia. Le tensioni nel sistema erano arrivate a un punto molto elevato alla fine del 2012. L’azione della BCE e del suo nuovo presidente M. Draghi aveva permesso un relativo allentamento. Ma dalla fine del 2014 e dall’inizio della crisi greca hanno iniziato a risalire.
Grafico 1
Si vede che oggi sono al di là del livello raggiunto nel dicembre 2012. Mai questo scarto è stato così importante. L’ampiezza delle «fughe» di capitali che si verifica in Spagna e in Italia mostra bene che in questi due paesi la credibilità di una permanenza nella zona euro è messa largamente in dubbio dagli operatori economici.
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