Noi vogliamo l’uguaglianza (parte I)
di MARINO BADIALE (FSI Genova)
- Introduzione
Nella stagione politica appena trascorsa, un tema di acceso dibattito è stato quello della riforma delle norme relative a separazioni e affidi, riforma proposta col DDL 735, poi divenuto mediaticamente noto come “DDL Pillon” dal nome del Sen. Simone Pillon, il personaggio politico più noto fra i sostenitori del DDL. La caduta del governo Lega-M5S ha cancellato questo tema dall’agenda politica. Può darsi che, appunto per questo, sia possibile adesso una riflessione più serena su questi temi, una riflessione che si distacchi dall’urgenza di attaccare questo o quel partito, questo o quell’esponente politico, e cerchi di andare alla radice dei problemi.
Non è facile discutere di questo tema. Uno degli elementi di difficoltà sta nel fatto che il problema è piuttosto serio e in certi casi anche drammatico, ma è in sostanza ignoto all’opinione pubblica, principalmente perché esso non gode di molto spazio sui media, che ne parlano solo in riferimento a casi particolarmente drammatici. Cerchiamo allora di riassumere i punti fondamentali.
È noto che, a partire dall’introduzione in Italia dell’istituto del divorzio, negli anni Settanta, le cause di separazione, in presenza di figli, sono state risolte, nella stragrande maggioranza dei casi, secondo lo schema per cui i figli venivano “affidati” alla madre, mentre il padre versava un contributo economico (i cosiddetti “alimenti”) e vedeva i figli a intervalli variabili a seconda dei casi ma, nella grande maggioranza dei casi, senza continuità. Questa organizzazione rifletteva naturalmente l’organizzazione famigliare tradizionale, secondo la quale la madre si occupa dei figli e il padre porta i soldi a casa: si tratta, con ogni evidenza, della traduzione di quest’ultimo schema nella nuova situazione della separazione/divorzio.
Si tratta di una organizzazione che era sempre meno adeguata alla direzione verso la quale si stava evolvendo la famiglia, segnata dalla tendenza ad una maggiore uguaglianza fra i genitori nell’ambito della gestione della vita domestica e in particolare dei figli. Questa nuova sensibilità è stata colta dalla legge 54/2006, che ha innovato lo schema delle separazioni stabilendo il diritto del figlio “di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi”. A seguito di tale legge si parla quindi di “affido condiviso” fra i due genitori, intendendo che la gestione dei figli e le varie scelte collegate (scuola, salute, ecc.) non sono più delegate ad uno solo dei genitori (il genitore “affidatario”, che in genere era la madre) ma sono appunto condivise fra i genitori.
È però chiaro che non basta parlare di “affido condiviso”. Per rendere concreto il diritto del figlio al rapporto “equilibrato e continuativo” con entrambi i genitori, sono necessarie le nozioni, sostenute dalle associazioni di padri separati, di tempi paritari e mantenimento diretto. Parlare di “tempi paritari” significa che, tendenzialmente, i figli dividono il loro tempo in maniera paritaria fra i due genitori; parlare di “mantenimento diretto” significa che ciascuno dei due genitori provvede ai bisogni dei figli nel tempo che condivide con essi, e l’eventuale passaggio di denaro da un genitore all’altro è ridotto al minimo. Essendo i tempi paritari, il mantenimento diretto divide le spese in maniera paritaria, e un eventuale assegno di mantenimento ha il solo scopo di riequilibrare situazioni troppo sbilanciate. È infatti evidente che, specie in situazione di redditi medi o bassi, il padre che si paga un affitto e mantiene il figlio per metà del tempo, difficilmente avrà ulteriori risorse economiche da versare alla madre.
Se questi principi fossero stati resi effettivi a seguito della legge 54/2006 si sarebbe trattato, come è chiaro, di un profondo cambiamento rispetto alla situazione precedente. Purtroppo non è quello che è successo. Infatti, nella gestione concreta delle separazioni, succede che molto spesso il giudice stabilisce che l’affido è condiviso ma i figli sono collocati presso la madre (che diventa quindi il genitore “collocatario” e non più “affidatario”), il padre li vede a fine settimana alternati, più uno o due giorni infrasettimanali, e il padre corrisponde alla madre il solito assegno di mantenimento. Cioè la situazione è la stessa che si aveva prima della legge 54/2006, ma, in ossequio alla legge stessa, a questa situazione immutata si appiccica l’etichetta “affido condiviso”. Ovviamente questo è reso possibile dal fatto che la legge 54/2006 lascia ampio spazio alla discrezionalità del giudice (e questo, a posteriori, appare un evidente errore del legislatore), ma è chiaro che in questo modo si contraddice allo spirito della legge.
Cerchiamo adesso di capire le ragioni per le quali le associazioni di padri separati insistono sulle nozioni di tempi paritari e mantenimento diretto. Esse sono di due ordini: da una parte in relazione al rapporto fra padri e figli, dall’altra in relazione all’aspetto economico delle separazioni. Per quanto riguarda il primo punto, non dovrebbe esserci bisogno di spendere molte parole: è evidente a tutti, o almeno a tutte le persone “di buona volontà”, che per l’equilibrio affettivo e la crescita armonica di un bambino sono fondamentali entrambe le figure genitoriali. Padre e madre hanno ruoli diversi, nella crescita emotiva dei figli, ma entrambi indispensabili. È dunque fondamentale che entrambi i genitori possano esercitare il loro ruolo educativo, anche se c’è una separazione. Ma è del tutto ovvio che l’esercizio della funzione educativa del genitore ha bisogno di tempo: tempo di vita quotidiana in comune.
Il genitore non è un insegnante, che può esercitare la sua specifica funzione educativa anche nel tempo ristretto di una lezione, mettendo in gioco una parte specifica e delimitata di sé. Il genitore nel rapporto col figlio mette in gioco tutto se stesso, educa con la sua intera persona, con la sua intera vita. Ma questo lo si può fare solo nel tempo della vita in comune, che quindi non può essere ristretto a un fine settimana alternato e qualche giorno sparso. La richiesta di tempi di divisione paritari fra genitori separati è dunque fondamentale per tutelare aspetti fondamentali della crescita dei bambini.
Lo schema attualmente operante di divisione del tempo fra i genitori semplicemente distrugge il ruolo educativo del padre, che viene in sostanza ridotto a un simpatico zio che va a trovare i bambini di tanto in tanto. Ma è chiaro che questa distruzione del ruolo educativo del padre rischia di avere conseguenze negative per lo sviluppo delle nuove generazioni, tanto più sicuramente quanto più separazioni e divorzi sono ormai diventati realtà diffuse. Per concludere su questo punto: i figli hanno diritto ad avere un padre. L’attuale situazione delle separazioni in Italia priva i bambini di un loro fondamentale diritto, e appare irrinunciabile l’esigenza di sanare questa situazione.
Per quanto riguarda il secondo punto, l’aspetto economico delle separazioni, occorre per prima cosa specificare che questo aspetto diventa fondamentale quando sono coinvolte famiglie a reddito medio o basso. Ovviamente alcuni aspetti di principio sono validi per tutti, ma nei casi in cui c’è un reddito di base alto i membri della coppia che si separa alla fine “cadono in piedi”. Nei casi di famiglie a reddito medio o basso, invece, la separazione o il divorzio presentano un rischio effettivo di finire nella miseria. Il motivo è facile da capire: a parità di entrate, la separazione significa che dove prima occorreva mantenere una famiglia, adesso bisogna mantenerne due.
Ora, in una situazione in cui il reddito disponibile consente a una famiglia di arrivare con fatica a vivere una vita dignitosa, la separazione significa un concreto rischio di povertà. Se in una famiglia entrano 2000 euro al mese, è chiaro che la vita è difficile. Ma se questa famiglia si rompe in due, significa che ci sono due famiglie che devono vivere con 1000 euro al mese, e questo comincia a diventare impossibile. È allora evidente che, per le famiglie a reddito medio o basso, la separazione significa in ogni caso un abbassamento del tenore di vita, e in molti casi un concreto rischio di povertà vera. Ora, qual è il problema con l’attuale sistema delle separazioni? Il problema è che tale rischio è in sostanza scaricato sui padri.
Il meccanismo standard, che abbiamo già delineato sopra, è che i figli restano con la madre nella casa familiare (qualunque sia la situazione proprietaria della casa stessa), mentre il padre esce dalla casa familiare, si prende un appartamento in affitto e corrisponde un assegno per i figli e talvolta un assegno divorzile per la madre. Questo schema, in una situazione di redditi medio-bassi, rappresenta sicuramente un abbassamento di tenore di vita per tutti, ma in maniera molto più netta per il padre, che può precipitare nella miseria vera, come si è detto. Si tratta quindi di una situazione fortemente squilibrata e sostanzialmente iniqua. La richiesta di tempi paritari e mantenimento diretto va nella direzione del riequilibrio, perché essa implica, almeno come linea di tendenza, la diminuzione del contributo che il padre verserebbe alla madre per il mantenimento dei figli, appunto perché il padre provvederebbe direttamente al mantenimento stesso nel periodo di tempo in cui i figli stanno con lui.
Se la situazione delle separazioni è quella che abbiamo descritto, è chiaro che si tratta di un problema serio. È chiaro che i padri separati e i loro figli stanno subendo ingiustizie. E si tratta di milioni di persone e di una situazione che dura da circa quarant’anni. Appare del tutto naturale che qualcuno, nel mondo della politica, cerchi di farsi carico di questi problemi e avanzi delle proposte che cerchino di rendere la realtà delle separazioni un po’ meno squilibrata e iniqua. Il DDL735 tentava di fare questo, introducendo come principi fondamentali le nozioni di tempi paritari e mantenimento diretto, e sottraendole alla discrezionalità del giudice. Ovviamente, poiché la perfezione non è di questo mondo, nessuno potrà proporre la legge perfetta che risolva ogni problema.
La democrazia, i parlamenti, servono appunto a discutere e correggere. Il DDL 735 poteva naturalmente presentare vari aspetti discutibili. Il punto è che, alla luce di quanto fin qui detto, ogni discussione sugli eventuali punti critici doveva partire dal riconoscimento del problema che abbiamo cercato di evidenziare (l’iniquità nell’attuale prassi separativa) e, di conseguenza, dall’accettazione dell’idea che eventuali correzioni e modificazione del DDL735 non potevano andare a toccare i suoi punti qualificanti, cioè le nozioni di tempi paritari fra i genitori e di mantenimento diretto dei figli.
Così non è stato, come è ben noto. Non solo gli attacchi al DDL 735 non hanno minimamente tenuto conto del problema che esso voleva risolvere, ma hanno dato la netta impressione di evitare il piano della discussione razionale per scadere nell’invettiva e nella negazione aprioristica. Contro il DDL 735 si sono dette le cose più assurde, si sono ripetuti slogan del tutto staccati dalla realtà. Cerchiamo di fornire qualche esempio, esaminando alcuni degli slogan che sono stati incessantemente ripetuti contro il DDL 735.
[continua]
2 risposte
[…] Qui la prima parte del saggio […]
[…] Qui e qui rispettivamente la prima e la seconda parte dell’articolo […]