Noi vogliamo l’uguaglianza (parte III)
di MARINO BADIALE (FSI Genova)
Il vero problema
Naturalmente, non tutte le obiezioni al DDL735 sono di così basso livello come quelle che abbiamo appena esaminato. Cercheremo adesso di prendere in considerazione quella che ritengo l’obiezione più seria, e uno dei motivi più profondi dei pesantissimi attacchi al DDL 735. Si tratta dell’obiezione di tipo economico: la nuova impostazione delle separazioni farebbe diminuire l’assegno che i padri separati passano alle madri separate, e questo da una parte creerebbe difficoltà economiche alle attuali madri separate, dall’altra renderebbe più difficile o quasi impossibile la separazione stessa per molte donne, che quindi sarebbero costrette a rimanere all’interno di rapporti non più accettati, per la difficoltà di impostare la propria vita da separata senza l’apporto economico dell’ex partner. Il resto di questo intervento sarà dedicato a questo tema.
Prima di iniziare la discussione, è però necessaria una precisazione. Il punto fondamentale nella richiesta di tempi paritari e mantenimento diretto sta, come si è detto sopra, nella necessità di mantenere la continuità del fondamentale rapporto fra padre e figli. È su questo punto, e non sugli aspetti economici, che insistono giustamente le associazioni dei padri separati. Il problema è che non ci si spiega il massiccio rifiuto di discutere seriamente di questi temi, se non si affronta il problema economico. Detto nella maniera più chiara possibile: la stragrande maggioranza delle obiezioni al DDL735 sono mistificazioni ideologiche che hanno lo scopo di coprire il vero punto sensibile, cioè il problema economico.
È inutile che i padri separati combattano solo contro le mistificazioni ideologiche, perché una volta confutata una gli avversari ne inventeranno un’altra. Occorre prendere il toro per le corna e affrontare in maniera esplicita quello che ritengo essere il vero nodo della questione. Per dirlo ancora in un altro modo, le lotte sfibranti sui figli, che generano sofferenza e traumi in tutte le persone coinvolte, genitori e figli, dipendono da un motivo semplicissimo: i soldi sono attaccati ai figli. Se vogliamo che in bambini coinvolti in una separazione soffrano il meno possibile, bisogna risolvere il problema economico, o, detto in altro modo, bisogna staccare i soldi dai figli. Le riflessioni che seguono vogliono essere un contributo in questa direzione.
Abbiamo detto che l’obiezione principale contro i fondamenti del DDL 735 (tempi paritari e mantenimento diretto) pone in campo il diritto della donna al divorzio, che verrebbe messo in questione dalle difficoltà economiche se mancasse, o diminuisse, il contributo economico del padre. Si afferma di conseguenza che il DDL 735 è un attacco ai diritti delle donne, conquistati in anni di battaglia per la parità.
Parliamo allora di diritti. Un principio fondamentale, quando si parla di diritti, è che le pretese ad un diritto devono basarsi su una nozione, socialmente accettata, di ciò che è giusto. Un altro principio è quello che afferma che il giusto diritto di ciascuno non può essere di detrimento al giusto diritto dell’altro. A me sembra che, per quanto riguarda il nostro paese, un principio di giustizia accettato da tutti sia quello espresso nell’art.3 della nostra Costituzione, quando si parla di pari “dignità sociale” dei cittadini, di eguaglianza di fronte alla legge, e si afferma che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
Possiamo anche citare l’art. 36 che parla di una “esistenza libera e dignitosa” del lavoratore. Ci si riferisce, in questo caso specifico, alla retribuzione del lavoratore stesso, ma mi sembra che questa idea della “esistenza libera e dignitosa” per tutti i cittadini possa rappresentare uno dei valori fondamentali che informano la nostra Costituzione e che sono passati nel sentire comune. Mi sembra cioè possibile affermare che la nozione dell’uguale diritto di tutti e tutte ad una esistenza libera e dignitosa sia uno dei valori fondamentali della nostra società, e rappresenti la bussola che ci permette di orizzontarci nei conflitti ideali e politici del nostro tempo.
Il diritto delle persone sposate a divorziare è naturalmente una conquista che va in questa direzione, perché una vita imprigionata in un matrimonio fallito non è, almeno per la nostra sensibilità di moderni, una vita libera e dignitosa. Il punto fondamentale, in merito al tema di cui stiamo discutendo, è che il diritto al divorzio deve essere compatibile col diritto di tutti i soggetti coinvolti a vivere una vita libera e dignitosa. In primo luogo, come si è detto, col diritto dei figli a continuare un rapporto significativo con entrambi i genitori, elemento fondamentale per il loro equilibrato sviluppo. In secondo luogo, col diritto di entrambi i membri della coppia che si separa a vivere una vita libera e dignitosa, e quindi a disporre dei mezzi economici basilari per poterlo fare. Il problema allora è che, nello schema attuale delle separazioni, che abbiamo più volte descritto, al padre separato viene tolta la possibilità di una vita libera e dignitosa. Questo succede naturalmente nei casi in cui si parte da un reddito medio o basso.
Come abbiamo detto, nello schema standard il padre perde la casa, deve pagarsi un affitto e deve corrispondere un assegno all’ex moglie. È facile rendersi conto di cosa significhi questo quando si parte dal reddito normale di un lavoratore dipendente, nel pubblico o nel privato. I casi che ogni tanto vengono riportati dai giornali (padri ridotti in miseria, senza casa, costretti a ricorrere alla Caritas) sono ovviamente casi estremi, ma comunque la situazione diffusa è quello di un netto impoverimento, che può portare fino al limite della miseria, oppure spingerci decisamente dentro lo sventurato. Come spesso succede in queste situazioni, la differenza fra l’essere ai limiti della miseria oppure caderci dentro può essere data dai particolari casi della vita, per esempio dal fatto di poter avere oppure no l’aiuto dei genitori.
Ma basta allora togliere dalle spalle dei padri separati i pesanti oneri economici imposti dalla prassi attuale, per risolvere il problema? Ovviamente no. Perché è chiaro che, sempre parlando di situazioni di redditi medi e bassi, se si allevia la situazione dei padri separati si aggrava quella delle madri separate. Il motivo è banale e lo abbiamo accennato all’inizio: se le entrate sono in tutto 1800 o 2000 euro, una singola famiglia può avere una vita dignitosa, con fatica e attenzione. Ma se la famiglia si rompe e ne nascono due, sempre con le stesse entrate, non c’è modo di venirne fuori in maniera dignitosa.
Questo ci permette di dare una prima risposta a chi affermava, nelle discussioni sul DDL 735, che esso avrebbe reso impossibile alle donne il divorzio. La risposta è che, nella situazione descritta, un divorzio è di fatto impossibile per ragioni economiche, se intendiamo parlare di un divorzio che lasci a tutte le persone coinvolte la possibilità di una vita libera e dignitosa. E questa impossibilità è stata finora occultata dal fatto che il suo prezzo è stato pagato, nella grande maggioranza dei casi, dai padri separati. In sostanza, nell’impossibilità di assicurare a tutte le parti coinvolte una vita dignitosa, si è scelto di assicurarla per quanto possibile alle madri separate, e di abbandonare al loro destino i padri separati, fosse pure un destino di miseria e degrado.
Si tratta con ogni evidenza di una situazione di profonda ingiustizia: nell’attuale prassi delle separazioni viene violata, in maniera del tutto evidente, il fondamentale principio della pari dignità di ogni essere umano. Ai padri separati non viene riconosciuto il diritto a una vita libera e dignitosa. La richiesta di cancellare questa ingiustizia dovrebbe essere fatta propria da tutte le persone di buona volontà.
Ma come fare? Abbiamo detto che, nella situazione di redditi medi e bassi, la situazione sembra non lasciare scampo. Se si vuole che il divorzio rispetti la pari dignità di tutti i soggetti coinvolti, sembra necessario concludere che, nei casi di redditi medi e bassi, “questo divorzio non s’ha da fare”, e quindi il diritto al divorzio resterebbe un diritto formale, garantito dalla legge, ma negato alla maggioranza a causa di vincoli materiali, economici.
La discussione sul rapporto fra diritti formali e diritti sostanziali ha ovviamente una lunga storia, nei nostri paesi avanzati. L’intera evoluzione delle società occidentali nel secondo dopoguerra è andata nella direzione di rendere effettiva, per la grande maggioranza della popolazione, la fruizione di una serie di diritti che nella società liberale erano assicurati ma solo sul piano formale. Così nella società liberale tutti avevano il diritto di curarsi se ammalati, di compiere studi superiori, di avere un reddito anche in vecchiaia, di vivere in una casa decente: ma concretamente tutti questi diritti erano effettivi solo per chi aveva i mezzi economici per poterseli permettere.
Il grande progresso delle società occidentali nel secondo dopoguerra è stato quello di costruire sistemi sociali che, come tutti sappiamo, hanno reso tali diritti concretamente fruibili questi per tutti: i sistemi nazionali di assistenza sanitaria, di istruzione, le pensioni, le case popolari. Per tutto questo, come è noto, si è reso necessario l’intervento dello Stato, nella forma del Welfare State.
È chiaro allora quale sia l’unica soluzione possibile al problema che stiamo trattando: se vogliamo che il diritto al divorzio e a una vita libera e dignitosa per tutte le persone coinvolte sia un diritto effettivo, non solo formale, vi deve essere un intervento dello Stato. E poiché sono in realtà le madri separate, nella maggioranza dei casi, ad averne bisogno, deve essere un intervento che assicuri alle madri separate un sostegno economico e tolga ai padri separati il peso economico che attualmente grava su di loro. Naturalmente non è questo il luogo per discutere concretamente le forme di questo aiuto: può essere una forma di assistenza economica a tempo determinato, che vada assieme a forme di aiuto per l’inserimento nel mondo del lavoro. Ciò che conta è avere chiaro che tale proposta è l’unica soluzione equa del problema che abbiamo fin qui discusso.
Ancora sull’ingiustizia
Quanto abbiamo detto finora ci permette di comprendere meglio, e di ribadire, la profonda ingiustizia della situazione attuale. Ripetiamo il punto fondamentale: la forma attuale delle separazioni è tale da garantire, per quanto possibile, la sicurezza economica alle madri separate senza preoccuparsi in alcun modo dei padri separati. Viene cioè assicurato che il diritto formale al divorzio divenga diritto sostanziale, concreto, ma solo per le mogli, specie se sono madri, e a spese del marito e padre. Ciò ha due evidenti conseguenze:
1) In primo luogo, appare in piena evidenza che l’attuale forma delle separazioni non è altro che un Welfare State, una forma di assistenza sociale, a favore delle mogli/madri e a spese dei mariti/padri. Ma si tratta di una forma di Welfare State assolutamente iniqua. L’equità del Welfare State, nella fase storica in cui esso si è imposto, prevede infatti due condizioni necessarie: in primo luogo esso deve essere a carico dell’intera società, in secondo luogo deve gravare di più sulle fasce di popolazione più abbienti. La realizzazione di queste condizioni è stata ottenuta, come è noto, finanziando il Welfare State con la tassazione universale e progressiva. L’attuale sistema delle separazioni è un Welfare State assolutamente iniquo perché viola entrambe queste condizioni: in primo luogo è in capo solo ad una parte della popolazione e, in secondo luogo, data la sua assoluta casualità (chi può sapere se un matrimonio durerà o si sfascerà?) viene ad essere caricato anche su fasce di popolazione dai redditi medi o bassi. Per capire l’iniquità e l’ingiustizia dell’attuale sistema, proviamo a pensare di organizzare l’assistenza sanitaria sullo stesso modello: invece di un sistema sanitario nazionale offerto a tutti e finanziato tramite le risorse fiscali dello Stato, potremmo decidere che quando si ammala una persona non in grado di pagarsi le cure, si estrae a sorte un qualsiasi altro cittadino che è vincolato per legge a pagare le spese sanitarie al primo. Sarebbe un sistema iniquo e assurdo, che manderebbe sul lastrico le persone di reddito medio o basso che avessero la disgrazia di doversi assumere l’intero carico di spese sanitarie di un’altra persona. Questo sistema assurdo, folle, iniquo, è l’attuale schema delle separazioni in Italia.
2) Il secondo punto si collega al primo. Nelle discussioni sul DDL735 si è molto parlato del diritto delle donne al divorzio e di come il DDL potesse metterlo in questione. È sorprendente che nessuno, ma proprio nessuno, abbia posto la questione seguente: nella situazione attuale, è rispettato il diritto degli uomini al divorzio? Abbiamo detto che il sistema attuale è una specie di iniquo Welfare State costruito per rendere concreto il diritto formale delle donne al divorzio. Ma è evidente che esso tenderà a togliere lo stesso diritto agli uomini. Se l’uomo che desidera uscire da un rapporto che giudica sbagliato sa che per farlo deve rischiare la perdita dei figli e della casa e il massacro economico, probabilmente riterrà di non poter rischiare, se non a partire da una situazione di elevata agiatezza economica. Si potrebbe dunque ipotizzare che siano gli uomini di redditi medi e bassi, nella situazione attuale, ad essere privati del diritto concreto di divorziare. È solo un’ipotesi, e potrebbe essere un tema per uno studio specifico. La cosa davvero interessante, e che la dice lunga sul modo in cui tali questioni sono attualmente affrontati da media e politica, è proprio il fatto che, nei mesi di più accese discussioni sul DDL735, nessuno abbia mai posto tale questione.
Considerazioni finali
Le considerazioni fin qui svolte si basano su una serie di valori che dovrebbero essere basilari nelle società contemporanee, valori ribaditi dalla nostra Costituzione: il diritto di ciascuno ad una vita libera e dignitosa, la solidarietà sociale che permette di rendere concreti quei diritti che giudichiamo necessari ad una vita libera e dignitosa. E tutto questo a partire dalla fondamentale uguaglianza di diritti degli esseri umani.
“Noi vogliamo l’uguaglianza”, potrebbero ripetere i padri separati, citando il verso di una vecchia canzone di lotta che mi cantava mia madre. Sono valori che dovrebbero essere comuni a tutte le parti politiche. Appunto per questo non ho finora mai parlato di destra o sinistra, perché il discorso fin qui svolto si basa su quelli che giudico valori comuni a tutte le persone di buona volontà. Arrivato alla fine, non posso però non fare qualche rapida considerazione sul fatto che lo scontro svoltosi nei mesi passati attorno al DDL735 ha visto la sinistra impegnata con estrema virulenza a opporsi in toto al DDL stesso.
La sinistra ha quindi scelto nettamente di schierarsi a difesa della situazione attuale delle separazioni, con tutta la sua ingiustizia e la sua iniquità. Possiamo aggiungere un’ulteriore considerazione: la situazione attuale, come si è detto più volte, è particolarmente grave per le famiglie di reddito medio o basso. In questi casi non c’è speranza di poter uscire dignitosamente da una separazione, e questa diventa una lotta spietata per scaricare sull’ex partner il rischio della miseria. Si tratta cioè di una guerra fra poveri. E si sa che nelle guerre fra poveri i poveri non vincono mai. Quando la parola “sinistra” aveva ancora un senso, evitare le guerre fra poveri era per essa un obbligo morale e politico.
Oggi ciò che si chiama “sinistra” sceglie di difendere strenuamente una situazione che genera iniquità, disuguaglianze, guerre fra poveri. Non so perché la sinistra abbia fatto una simile scelta. Posso solo constatarlo. I padri separati, e in generale le persone di buona volontà, devono prendere atto che la sinistra ha scelto l’ingiustizia, l’iniquità e la guerra fra poveri, e trarne le conseguenze.
[fine]
Qui e qui rispettivamente la prima e la seconda parte dell’articolo
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