L’investitura. La continuità. Il decreto.
di SINISTRAINRETE (Quarantotto – Luciano Barra Caracciolo)
“…bisogna impedire qualunque interpretazione che un giorno possa far pensare a sovranità trasferite o comunque delegate. Ecco perché al termine «appartiene», come pure al termine «emana», preferisco il termine «risiede».
Gli organi attraverso i quali la sovranità e i poteri si esercitano nella vita di un popolo, sono organi i quali agiscono in nome del popolo, ma che non hanno la sovranità, perché questa deve restare al popolo. Ecco perché è preferibile il termine «risiede» in confronto a quello di «appartiene».
Quell’«emana», originario, dà il senso di una sovranità che si può trasferire agli organi i quali la esercitano; quell’«appartiene» dà un senso di proprietà; mentre il termine «risiede» consolida il possesso; non la proprietà. Il popolo, cioè, rimane possessore di questa che è la suprema potestà democratica.
Può sembrare una sottigliezza, ma sottigliezza non è. La verità è un’altra. Esistono fra gli uomini due categorie di persone di fronte ai problemi costituzionali: quelli che credono nelle Costituzioni e quelli che non credono nelle Costituzioni.
Per quelli che non credono nelle Costituzioni, cioè che pensano che il giorno che avessero la maggioranza farebbero quello che vogliono, un’affermazione di principio può sembrare una sfumatura, e non ha importanza; ma per coloro che, come me, credono profondamente nelle Costituzioni e nelle leggi, ogni parola ha il suo peso e la sua importanza per il legislatore di domani. Noi ci dobbiamo preoccupare del documento che facciamo, guardando verso l’avvenire, cioè dando norme sicure ai legislatori di domani, in modo che la volontà di oggi non possa essere violata per improprietà di linguaggio, voluta o non voluta che sia.” (Dai lavori dell’Assemblea Costituente: intervento dell’on.Lucifero nella seduta del 22 marzo 1947)
1. Nell’evidenziare la sua perplessità su quello che definisce “il trenino di Pisapia”, Stefano Fassina, sull’Huffington Post, fa un rapido (e nitido) riassunto della linea politica rivendicata dal presidente del consiglio dimissionario, indicando come ogni ripensamento o critica di tale linea sia assolutamente escluso in partenza da parte della c.d. “sinistra” coinvolta in qualsiasi livello di governo:
“È stato, per autonoma determinazione, proprio il Pd a volere e a rivendicare orgogliosamente, anche domenica notte nel discorso del commiato del presidente del Consiglio: il Jobs Act e la cosiddetta “buona scuola”; la legge per le trivelle facili e l’assoggettamento del sistema radio-televisivo pubblico all’esecutivo; una politica economica neo-liberista, mix spregiudicato di misure supply side per le imprese e laurismo prima di ogni passaggio elettorale; l’eliminazione della Tasi per tutti; il condono fiscale nell’intervento demagogico su Equitalia; i tagli espliciti e mascherati alla Sanità pubblica; l’esaltazione del Ceta e del Ttip”.
2. L’attuale incarico per la formazione di un nuovo governo, pare obiettivamente intervenire a confermare questa analisi; svolta da Fassina ma non solo: se non altro, nell’ambito della sinistra di governo, era stata, ancor prima, compiuta anche da Prodi, in occasione della sconfitta alle elezioni amministrative, come abbiamo visto nel precedente post (“Ci siamo illusi che la gente si rassegnasse a un welfare smontato a piccole dosi, un ticket in più, un asilo in meno, una coda più lunga…Se non cambi le politiche, il politico cambiato invecchia anche in un paio d’anni…”).
L’attuale incarico, constatata l’indisponibilità delle varie forze parlamentari ad un governo di vasta coalizione, infatti, si appunta su un esponente del precedente governo che esprime una precisa connotazione: quella di una forte continuità con la linea del governo dimissionario, e, anzi, un’inclinazione ancora più marcata all’€uropeismo inteso come cessione di sovranità (che la Costituzione dice appartenere al popolo e che non può essere delegata, e tantomeno ceduta, da coloro che ricavano la loro legittimazione dal voto popolare e che, comunque, esercitano le loro funzioni avendo giurato di rispettarla).
3. Le ragioni che conducono alla nascita di questo nuovo governo e a questo (re)incarico sono state esplicitamente indicate dal Capo dello Stato nella sua dichiarazione finale al termine delle consultazioni e risultano sostanzialmente due:
a) quella principale, che peraltro emerge solo al termine delle consultazioni stesse, e che oggettivamente prescinde dall’attribuire ogni rilevanza alla volontà popolare espressa a larga maggioranza nel referendum, che non viene neppure menzionato: “Il nostro Paese ha bisogno in tempi brevi di un governo nella pienezza delle sue funzioni. Vi sono di fronte a noi adempimenti, impegni, scadenze che vanno affrontati e rispettati. Si tratta di adempimenti e scadenze interni, europee e internazionale”
b) quella già espressa in “prima battuta” e che, nel corso dell’evoluzione della crisi, diviene solo “concomitante” e, per il suo contenuto, anche secondaria, visto che l’investitura ritenuta legittima in base al punto a) è estremamente estesa: “armonizzare le leggi elettorali prima del voto“.
Sommando queste due ragioni di “investitura”, è agevole ricavare che non sarà solo il varo di una legge elettorale “armonizzata” la mission di questo governo, ben potendo gli “impegni europei” giustificare la sua permanenza fino alla scadenza della legislatura.
Rammentiamo infatti che (pp.2.1-3): la presente situazione di redde rationem bancario, che può diventare l’epicentro di una crisi finanziaria mondiale, si sarebbe egualmente manifestata in ogni suo elemento: anzi, probabilmente anche prima, perché, in assenza di una scadenza referendaria in cui il governo “deve” sostenere col consenso la propria proposta, si sarebbe giunti più rapidamente a chiarire che, per MPS, così come per le altre situazioni di bilancio di altri istituti bancari italiani, la situazione non è risolvibile dal “mercato” e che si arriverà al sacrificio degli obbligazionisti, (gli azionisti hanno visto e vedranno praticamente azzerati i loro valori), e, successivamente, dei depositanti.
Con, inoltre, il passaggio del controllo del sistema bancario nazionale in mano a “investitori esteri”, a prezzi stracciati, accompagnato dall’espropriazione accelerata del patrimonio immobiliare delle famiglie e degli assets aziendali delle imprese strozzate dal credit crunch e dall’austerità fiscal€”.
4. Aggiungiamo che, nel pieno di questa continuità, che fa leva sugli “adempimenti, impegni e scadenze” in chiave €uropea, e nonostante la crisi di governo, sarebbe stato già approntato un decreto che dovrebbe porre a carico dello Stato l’onere della ricapitalizzazione di MPS, dopo l’evidente fallimento della “soluzione di mercato” (cosa che non impedisce a JP.Morgan di richiedere 450 milioni di “commissioni” per i suoi servigi, in relazione all’avvenuta conversione volontaria dei bond in azioni). Tale decreto, però, riguarderà tutto il fronte dei problemi bancari che il governo uscente avrebbe dovuto comunque affrontare:
– sulla questione MPS: “La via tecnica ora allo studio di governo e management senese, [è] la “ricapitalizzazione precauzionale” (per 5 miliardi complessivi) nell’ambito della direttiva europea sul bail-in: lo Stato subentra al consorzio di garanzia; si passa attraverso l’azzeramento dei bond subordinati, con l’obiettivo di offrire il ristoro alla clientela retail esposta, come detto, per circa 2 miliardi” (tali “subordinate” risultano peraltro emesse per un valore di oltre 3,176 miliardi);
– sulle banche popolari e la loro trasformazione in ordinarie Spa: “L’intervento normativo allo studio del governo dovrebbe puntare dunque a dare una base giuridica solida per salvaguardare le banche che già hanno compiuto il processo. Per il futuro, però, non è escluso che si torni ad alzare l’asticella oltre la quale scatta l’obbligo di trasformazione: dagli attuali 8 miliardi di attivi, arrivare a 30 miliardi”
– vantaggi fiscali per gli istituti bancari: “si sommano altre norme volute sia dalle banche che dal Tesoro, che garantirebbero vantaggi fiscali agli istituti. Il capitolo più atteso riguarda le nuove risorse necessarie al Fondo di risoluzione, dal quale sono arrivate le risorse per la risoluzione – datata novembre 2015 – delle quattro banche (Etruria & co.). Il salvataggio – con la pulizia dei loro crediti deteriorati – non ha ancora permesso di concludere il percorso di vendita e così la dote gravosa è la difficoltà di recuperare gli 1,6 miliardi che devono esser rimborsati a Intesa, Unicredit e Ubi (proprio quest’ultima dovrebbe acquisire tre delle quattro banche, con l’eccezione di Cariferrara). Le risorse supplemetari dovrebbero esser ammortizzate dalle banche che vi contribuiscono in più anni (cinque), gravando meno sul bilancio“.
5. A questo quadro sono da aggiungere alcune fondamentali osservazioni:
5.1) la prima è che tale decreto-legge, solo perché tale, dovrà quantificare e indicare i mezzi di copertura della spesa pubblica e degli sgravi fiscali che esso comporta. Va rilevato che il suo contenuto pare essere già noto al Sole24ore il 6 dicembre scorso: esso, dunque, non può che essere ascrivibile al governo dimissionario, ma risulta prioritario per il nuovo governo per l’agire di quella “indifferenza” all’indirizzo politico espresso dal processo elettorale che caratterizza gli “impegni” derivanti dall’adesione all’UEM;
5.2) la seconda è che l’insostenibilità dei bilanci bancari deriva dalle politiche di bilancio imposte dall’adesione dell’Italia alla moneta unica, culminate nel fiscal compact e nella conseguente revisione costituzionale dell’art.81, con l’inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio, nonché dall’incessante effetto depressivo che provocano le altrettanto incessanti riforme strutturali imposte dall’€uropa (come ormai sostiene apertamente Stiglitz).
Non può sottacersi che, seppure il “crack” di MPS affonda le sue radici nella vicenda dell’acquisto di Antoveneta dal Banco Santander, – provocando forti dubbi sia sull’autorizzazione rilasciata che sulla vigilanza esercitata da Bankitalia sulle operazioni che ne conseguirono, in particolare sulle “ricoperture in derivati”-, è l’Unione bancaria ad attualizzare i problemi generali e specifici dell’intero sistema bancario italiano.
L’inevitabile addossare il costo di questi “impegni” presi con l’€uropa alle tasche di tutti gli italiani, è in fondo, null’altro che un altro “impegno” preso con la stessa fonte di “sovranità” (ceduta), senza che il popolo italiano ne abbia ricavato alcun vantaggio oggettivamente comprovabile;
5.3) la terza è che “l’€uropa “unita e democratica” a cui continuare a cedere la sovranità popolare, non corrisponde per definizione alla lettera e alla ratio delle norme fondamentali dei trattati che escludono, con clausole caratterizzanti e irrinunciabili, (anzi, costituenti base essenziale dell’adesione tedesca ai trattati stessi), ogni forma di solidarietà fiscale tra Stati-membri e ogni possibilità di istituire un governo federale che disponga di poteri di intervento perequativo degli squilibri inevitabili interni all’eurozona;
5.4) anzi, su questa evidente REALTA’ normativa dei trattati (che si vogliono anteporre alla Costituzione italiana, appena “confermata” nella sua cogenza suprema dal risultato del referendum), l’Unione europea è perfettamente cosciente che gli “Stati Uniti d’€uropa” sono irrealizzabili (v.pp.2-3) per volontà della Germania e ne prende atto, sottolineando la grande influenza che esercitano le prese di posizione della Corte costituzionale tedesca su tutti gli altri Stati dell’Unione:
“La corte spiega in modo minuzioso che lo Staatenverbund è un’associazione di Stati nazionali sovrani e poi descrive nei minimi dettagli le condizioni che consentono a uno Stato di mantenere la propria sovranità. Particolare interesse ha destato negli osservatori un elenco di diritti statali inalienabili che non potranno mai essere trasferiti al processo legislativo europeo se l’identità costituzionale e la sovranità degli Stati membri deve essere preservata.
Secondo Schönberger, si tratta soltanto di un’elencazione di pura convenienza politica (la corte vi cita pressoché la totalità dei settori in cui la competenza degli Stati membri è tuttora esclusiva o quantomeno prevalente) e non di un’interpretazione costituzionale fondata su principi. Altri autori concordano nel giudicarla una semplice raccolta e un elemento di tutela dei restanti poteri nazionali.
In alcuni passaggi la sentenza si dilunga anche sull’importanza della democrazia quale elemento costitutivo della sovranità di uno Stato membro, nella fattispecie della Germania.
È in questi paragrafi che la CCF ravvisa persino l’incapacità strutturale del Parlamento europeo (PE) di potere un giorno divenire una fonte di legittimità democratica diretta. Il motivo principale di tale impossibilità, secondo la corte, risiede nelle fortissime differenze d’impatto elettorale dei cittadini, da Stato membro a Stato membro, un aspetto che viene identificato come una violazione inaccettabile del principio di uguaglianza elettorale, per di più riconducibile al meccanismo di assegnazione dei seggi del PE in base alle quote nazionali.
Infine in questa sentenza, contrariamente a quanto accaduto in quella di Maastricht, la corte si è sentita in dovere di trattare minuziosamente il tema del divieto imposto dalla Legge fondamentale alla Repubblica federale di Germania di aderire a un eventuale Stato federale europeo. Questo tipo di decisione spetta, infatti, solo al potere costituente, ossia il popolo. I giudici sono tuttavia attenti a non porre il referendum come condizione, limitandosi invece ad accennare alle prerogative del potere costituente; rimangono dunque concepibili altri mezzi d’espressione della volontà di tale potere, anche ispirati alle origini della Legge fondamentale (che fu elaborata da una convenzione costituzionale sull’isola di Herrenchiemsee)”.
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