La forza dell’Islam
di LUCA MANCINI (FSI Roma)
Teheran, 11 febbraio 1979. L’esercito nazionale, dopo numerose diserzioni, dichiara di non voler continuare la lotta contro la popolazione in rivolta. La rivoluzione iraniana è conclusa, lo Scià Reza Pahlavi fugge dai suoi amici americani, i quali rifiutano l’estradizione richiesta dalla neonata Repubblica Islamica dell’Iran.
Tale evento, apparentemente secondario e limitato ad una precisa area geografica, ha invece un’importanza epocale. Gli Iraniani compiono la rivoluzione senza appelli al marxismo o al comunismo, sfatando empiricamente uno degli assiomi della cultura marxista: la rivoluzione è solo quella comunista, altrimenti non può esser definita tale. Semplicemente questo sarebbe di per sé sufficiente per dare all’evento una portata epocale, poiché ha apportato il suo contributo all’abbattimento di un falso pregiudizio politico che ha dominato buona parte della cultura del secondo novecento. Come scrisse Monnerot in Sociologie de la revolution: “le mot revolution prends une bonne part. Quand il ne sera plus, nous aurons changé d’epoque”1.
Il fatto che la rivoluzione iraniana abbia segnato un cambio d’epoca è evidente, poiché è essa che rompe definitivamente il bipolarismo perfetto tra capitalismo e comunismo che si era creato durante gli anni della Guerra Fredda. Dal 1945 al 1979 nulla si è mosso senza l’autorizzazione di una delle due superpotenze: era questa la regola principale del gioco politico internazionale. Il mondo era diviso in due nette sfere d’influenza: al massimo, alcuni Paesi potevano passare dal controllo di uno al controllo dell’altro ma non erano ammesse iniziative di Paesi terzi che non facessero appello ad una delle due ideologie dominanti. Agli Iraniani, per rompere questo fortissimo bipolarismo ideologico, serviva un’ideologia altrettanto forte ed essi la trovarono nell’Islam.
In Occidente l’Islam è visto come un miscuglio di arretratezza e intolleranza e questa idea genera il più delle volte giudizi ingenui e ignoranti, poiché spesso si dimentica la grandezza dell’Islam durante la prima età moderna, allora indiscutibilmente superiore a quella dell’Europa cristiana in diversi campi del sapere e della cultura. Quando si parla di Islam è necessario tenere a mente che nella storia musulmana non esiste né una Chiesa né un clero e, soprattutto, non sussiste la divisione tra Stato e religione affermatasi nel mondo occidentale. Per gli islamici lo Stato non è altro che uno strumento di Dio per aiutare i fedeli a condurre una vita da buoni musulmani, grazie alle regole rivelate nel Corano.
Se nell’Occidente liberale il concetto di libertà prende il sopravvento su tutti gli altri, nell’Islam prevale quello di giustizia, intesa come fedeltà alla la legge sacra: la shari’ah. A questo principio di giustizia si sottopongono tutti i membri del mondo musulmano. Esso, da un lato impegna i governanti e dall’altro libera i governati dal dovere di obbedienza in caso di ordini contrari alla shari’ah. Tale istituzionalizzazione del potere religioso raggiunge un punto massimo nell’Iran rivoluzionario, dove i faqih (i dottori in legge) compongono una sorta di corte costituzionale incaricata di vegliare sulla fedeltà dello Stato ai precetti del Corano.
Un’ideologia simile, fortemente radicata nella popolazione, diventa una potentissima arma contro le ideologie dominanti di ieri e di oggi. È chiaro che uno Stato siffatto, che antepone il concetto di giustizia a quello di libertà, si connota in un senso fortemente anti-liberale e diventa fortemente attrattivo per le masse sfruttate ed esasperate da un eccessivo liberismo economico, che non solo aumenta le disuguaglianze sociali ma tende progressivamente a distruggere il tessuto sociale e culturale di una nazione. L’antiliberismo della rivoluzione iraniana fu subito manifestato dalla limitazione imposta all’entrata di capitali stranieri nelle attività produttive del Paese e soprattutto dall’immediata nazionalizzazione di vari settori strategici dell’industria nazionale, tra cui l’importantissimo settore petrolifero.
L’enorme successo dell’Islam nel mondo contemporaneo, dominato dall’ideologia liberista, è dovuto a questa sostanziale portata ideologica che esso ha dimostrato di possedere: ciò lo rende fortemente attrattivo per migliaia di persone che vivono ai margini delle opulenti società capitalistiche, dove, in nome della libertà, si continua a difendere l’avidità degli individui, come se questa fosse un valore.
Viva la Repubblica Sovrana!
1“La parola rivoluzione è connotata in un certo senso politico. Quando non sarà più così, noi avremo cambiato epoca.” J. Monnerot, Sociologie de la revolution, Fayard, Parigi, 1969, p. 7.
La grandezza dell’Islam durante il primo medio Evo quando l’Europa era in grave crisi (dopo il 1000 l’Europa ricomincio’ a essere superiore in quasi tutti i campi del sapere) e’ cmq discutibile, perche’ l’impero islamico acquisi’ certi vantaggi dalla conquista di Paesi allora ricchi ed evoluti, come la Siria e la Persia, non grazie alla fede islamica che resto’ quella creata per popolazioni arretrate culturalmente e giuridicamente.