Dissonanze a 5 stelle
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Paolo Rocco Cipriano)
La marcia etica è solo una copertura: a comandare è un algoritmo.
os e Ananke sono i progenitori dell’umanità – affermava Sigmund Freud – e, se sul primo si possono avere oggi dei dubbi, sul ruolo della “necessità” possiamo essere certi. Pensiamo al Movimento 5 Stelle che, negli ultimi giorni, è stato protagonista della scena politica italiana ed europea per due eventi decisamente significativi: la riforma del proprio codice etico, modellato ad hoc sul caso Raggi-Marra e la scandalosa proposta di accordo con gli europeisti liberaldemocratici dell’Alde. Alla luce di alcune sue posizioni dentro e oltre i giochi della retorica istituzionale, affrontare un discorso che abbia il MoVimento 5 Stelle come sua tematica principale risulta essere un compito particolarmente arduo. Esso è rappresentazione instabile di una dicotomia che abita lo scenario politico del Bel Paese: Amore e Odio. Però, come la storia del pensiero ci ha insegnato, amore ed odio non sono altro che due facce della stessa medaglia; sebbene, in realtà, essi non si trovano mai in uno stato che potremmo definire “puro”, ma sono sempre presenti come impasto. Al contempo, quando si parla di pulsioni – ovvero la spinta o, meglio, il “tendere verso” – bisogna sempre mettere in conto la possibilità di un “disimpasto”. È questa la conseguenza delle scelte politiche dei Cinque Stelle:
Un disimpasto pulsione che ha portato in auge un amore coatto verso il liberismo, indice della dissonanza che attraversa trasversalmente l’intero movimento
L’esempio chiave per comprendere quanto fin ora affermato è la riforma del codice etico promossa da Grillo che, ovviamente, ha comportato una pioggia di critiche e, dato il suo contenuto, potrebbe minare le basi della loro ostentata estetica del giusto e del “puro”. Tale riforma, ovviamente votata sul web, si articola in sei punti e ha due principali conseguenze: la prima è che I sottosegretari di Stato sono nominati e revocati dal Re, su proposta del capo del governo di concerto col ministro competente (leggi fascistissime); mentre la seconda conseguenza concerne, come ha evidenziato Tommaso Ciriaco su Repubblica, una miscela di garantismo e giustizialismo. In tal merito, cavalcando il polverone della critica all’informazione da lui stesso innalzato, Grillo ha affermato:
«Il codice di comportamento di M5S (votato ieri dalla stragrande maggioranza degli iscritti) rappresenta una svolta garantista? Falso. È un’altra bufala di giornali e tv»
Ora, tralasciando l’ironia nel paragonare – come una fetta di critici ha fatto – la figura di Grillo a quella di una sorta di dittatore (e da qui il parallelismo forzato con le leggi fascistissime del 1929), è pur vero che Grillo ha accentrato sotto la sua figura il potere di sentenziare sulla vita e la morte dei deputati Cinque Stellee non solo; dato che nell’ultimo punto della riforma, che riguarda gli amministratori, si può leggere che un eletto Cinque Stelle deve far sì che il nuovo codice etico venga rispettato da tutta la propria giunta anche se gli assessori non risultano iscritti e/o eletti nel Movimento 5 Stelle. Si potrebbe affermare che il re dei pentastellati, nel gioco perverso dell’etica delle intenzioni pre-politiche, abbia deciso di sperimentare nuove forme di autoreferenzialità oltre lo spazio delle responsabilità. Allora, ecco cosa succede: il sindaco di Quarto Rosa Capuozzo viene espulsa con “dolcezza”; in merito alle firme false di Palermo si travisa la realtà generando una confusione totale tra chi dice di non sapere e chi non vuole saperne; mentre su Roma ci scappa “l’io te l’avevo detto” con tanto di pacca sulla spalla consolatoria indice di un tacito invito al ora et labora.
In aggiunta ai ripiegamenti rivoltosi pentastellati dell’era post-Casaleggio, c’è stato un evento che a definirlo paradossale risulterebbe eccessivamente docile e riduttivo: l’aver spinto per un’alleanza con Alde (Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa) in favore del già ridicolo accordo con l’Ukip. Difatti, anche Nigel Farage, con un’area tendenzialmente sarcastica, ha sottolineato come già l’alleanza dell’Ukip con i Cinque Stelle è stata solo per “necessità”: un matrimonio combinato. Ritorna ancora il termine Ananke, il pilastro su cui si è edificato il destino politico del nostro Paese. La logica del superamento dell’orizzonte classico del campo politico – destra e sinistra – apre un’irrazionale o machiavellico ricorso alla dissonanza tattica. Ci troviamo costretti ad ammettere che la rivoluzione del web non è certo ciò che distingue un partito da un movimento. E se del movimento si ignora la fondante materialità dei corpi in atto, del noi che si fa prospettiva, si rivela esclusivamente un labile assioma:
«Io, il capo, sono il movimento/popolo».
Al di là dell’ancora oscuro intento di Grillo nella separazione dal gruppo EFDD, sorge spontaneo chiedersi cosa rappresentino, alla luce della democrazia diretta e della purezza tanto paventate dal M5S, questi eventi nefasti. Potremmo parlare, non a torto, di tradimento. D’altronde, tradire non è altro che cedere sul proprio desiderio (Lacan), venir meno alla propria identità per un’eccessiva accomodazione all’altro. In Europa Grillo è di certo un personaggio in cerca d’autore. Il tradimento, in qualità di comportamento dissimile rispetto ai propri intenti, sintetizza il fenomeno che, in psicologia, prende il nome di dissonanza:Il livello di scarto che intercorre, appunto, tra ciò che si dice e ciò che si fa. Ecco la diagnosi di Grillo. Ma tradire, che deriva dal latino trādĕre, si rifà anche al tema della tradizione, del racconto, dell’eredità: qual è allora la fenomenologia del Movimento 5 Stelle? Ci sono due punti su cui riflettere: la purezza e il populismo. La purezza è stato uno degli elementi chiave del Movimento sin dalla sua fondazione nel 2009; mentre la cosiddetta democrazia diretta è stata, invece, la loro arma più potente.
«La Casa Comunale è spesso sede di inciuci, intrallazzi, cariche da spartire e interessi da salvaguardare. Il cittadino deve tornare ad essere il beneficiario delle azioni messe in campo nella gestione della cosa pubblica»
Queste sono le parole che, presenti sul blog di Beppe Grillo, hanno fatto la fortuna di un partito il quale, grazie al cambiamento apportato dal punto di vista comunicativo – eliminando le riunioni in sede dei partiti con “ampie” votazioni sul web –, si è autoproclamato movimento popolare. Ma, a questo punto, è doveroso interrogarsi sul ruolo che ha davvero il popolo, sperando che non prendano come esempio la vicenda già citata di Palermo. Grillo e il suo movimento sono stati accusati di populismo da più fronti e proprio le molteplici querele – insieme alle problematiche comunali e non solo – sono parte degli elementi che hanno portato alla riforma del codice etico. Il populismo, che è un movimento politico-culturale russo sviluppatosi a cavallo tra l’’800 e il ‘900, viene oggi definito come l’ideale secondo cui il popolo è sovrano portatore di giusti valori. Esso è divenuto lo spauracchio del nostro intero continente; difatti, se c’è realmente uno spettro che si aggira per l’Europa oggi, questo è certamente lo spettro del populismo. Molti ne hanno discusso, altrettanti ne hanno esasperato l’imminenza e le sue conseguenze, mentre pochi hanno saputo analizzare con chiarezza il fenomeno. Jacques Rancière, ad esempio, ha evidenziato come:
«Ciò che si indica oggi in Europa con il termine populismo […] è un certo atteggiamento di rifiuto nei confronti delle pratiche governamentali»
Ancora: esso è un’arma virtuale che, attraverso la dittatura mediatica di cui siamo succubi, modella le nostre scelte in favore di chi, da tempi immemori, ha costruito la propria fortuna sulle paure dei popoli, sempre più ignoranti ed ignari.
Oggi, però, non viviamo più gli stessi tempi che portarono Gustave Le Bon a considerare il popolo alla stregua di un gregge di pecore e, al contempo, la democrazia e la tirannide hanno subito veri e propri stravolgimenti concettuali. Con questo, ovviamente, non intendiamo affermare né che essi abbiamo subito un’estinzione, né tantomeno miriamo a cavalcare il parossistico vociferare dei media. Cosa sono allora, ai giorni nostri, la democrazia e la tirannide? E ancora: Cos’è il popolo? Nel dilagante mare dis-informativo che abitiamo, rischiamo di venire affogati da “dicerie” – che non meritano l’appellativo di informazioni – fuorvianti, le quali traghettano gli interessi di un’unica fetta di popolazione. “Un popolo” non può esistere che nella sua eterogeneità e complessità: la democrazia pentastellata è fallita prima ancora di nascere. E nello spazio virtuale di un sistema di votazioni farsesche, fallisce un’ideologia che non regge alla prova del Reale. Non possiamo che paventare anche noi, con il visionario Woody Allen, l’avvento di un “dittatore delle banane”. Probabilmente, però, in questo caso, differentemente dalla commedia americana, verrà ordinato di trasferire l’Italia a Bruxelles e nuovamente celebrare, con Fukuyama, il funerale della Storia e la cristallizzazione dell’ordine neo-liberale. Il motivo è, dunque, sempre il medesimo: la dialettica servo-padrone non deve cessare.
Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/italia-2/dissonanze-a-5-stelle/
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