Italia-Libia: l’intesa sui migranti e l’incognita russa
di LOOKOUT NEWS (Luciano Tirinnanzi)
Il governo Gentiloni ha siglato col premier di Tripoli Serraj un accordo per la lotta al contrabbando e al traffico di esseri umani. Ma l’ombra del generale Haftar pesa come un macigno.
Il premier libico Fayez Al Serraj, che rappresenta il governo insediato a Tripoli con il supporto dell’ONU, ha trascorso gli ultimi due giorni a Bruxelles, dove ha incontrato i vertici delle istituzioni europee e della NATO, quindi è sceso a Roma, dove ha siglato un memorandum d’intesa tra Italia e la cosiddetta “Libia”, tra virgolette perché parlare di Libia oggi è affermare un concetto un po’ troppo vago. Il memorandum punta a rispolverare quel famoso Trattato di Amicizia e Cooperazione siglato dal Colonnello Gheddafi e Silvio Berlusconi nel 2008 che, in ossequio allo “spirito di buon vicinato”, prevedeva agli articoli 19 e 20 la «collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti, all’immigrazione clandestina e nel settore della difesa».
Il governo italiano, unico a sostenere esplicitamente il traballante esecutivo di Tripoli, ha fiducia che il memorandum siglato con Tripoli possa portare alla chiusura della rotta mediterranea e a sigillare le frontiere meridionali, grazie all’impegno libico nella lotta al contrabbando e al traffico di esseri umani. Per ottenere ciò, però, Roma dovrebbe mettere i tripolini nelle condizioni di istituire un blocco navale, fornendo loro naviglio e addestramento. Il premier italiano Paolo Gentiloni ha stretto con forza la mano a Fayez Al Serraj ma non ha fatto commenti entusiasti in merito, consapevole del fatto che non vi sono speranze che ciò possa accadere prima dell’estate e, soprattutto, che ciò possa accadere in ogni caso.
Il premier Al Serraj è infatti molto debole, sottoposto alle minacce continue del suo antagonista a Tripoli, Khalifa Ghwell – che con ripetute azioni dimostrative ha palesato il fatto che l’ex capitale libica non sia al riparo da colpi di stato o rivolgimenti improvvisi – e avversato tanto dai trafficanti della Tripolitania, che con la caduta di Gheddafi hanno creato uno stato nello stato, quanto dalle forze della Cirenaica, sempre più potenti.
Per parte sua, con questa sortita diplomatica, Al Serraj spera di potersi mantenere a galla: durante il tour europeo si sarebbe, infatti, convinto che l’UE è al suo fianco e che l’Italia lo aiuterà concretamente ad addestrare i suoi uomini e a costruire una guardia costiera (lui sperava in una marina militare) che sia capace di mantenere il controllo delle coste e, chissà, anche di bloccare possibili tentativi di assaltare Tripoli. Ma Al Serraj s’illude.
La Libia oggi
Già, perché fuori della capitale c’è tutto un mondo che non si cura né di lui né della legge. A est di Tripoli c’è la città-stato di Misurata, le cui milizie al momento difendono Serraj ma in realtà si professano indipendenti e controllano una parte della fascia costiera con i propri uomini.
A ovest di Tripoli, verso il confine con la Tunisia, ci sono le organizzazioni di trafficanti disseminate tra i porti e le calette intorno a Sabratah e Zawiyah, considerata la “capitale” di ogni traffico illecito. Nel sud-ovest ci sono i jihadisti di Ansar Al Sharia e dello Stato Islamico, che si stanno radunando nelle aree desertiche, probabilmente per tentare nuove imprese che attestino l’esistenza del loro Jihad e magnifichino la presenza del Califfato in Libia. Ma, soprattutto, a ovest c’è il vero antagonista di Tripoli, l’esercito del generale Khalifa Haftar, che ha il pieno appoggio della Russia e che punta a unificare l’intera Libia sotto il suo comando. Ciascuna di queste forze maggiori raggruppa decine e decine di milizie minori, più o meno fedeli, che gestiscono per loro conto intere città e territori, soprattutto lungo la fascia costiera.
L’Italia, ad esempio, attraverso l’ambasciata di Tripoli ha preso contatto con la polizia costiera locale che risponde ad Al Serraj. Uno dei comandanti, il colonnello Tarek Issa, intervistato da Vincenzo Nigro per La Repubblica ha confermato che il panorama appare frastagliato: «In tutta la Libia da Est a Ovest ci sono 10 basi e 55 punti di presenza, lungo 1.960 chilometri di coste». Il che significa che ci sono più polizie del mare, così come ci sono centinaia di milizie da mettere d’accordo. «Noi siamo la Coastal Police – dice ancora il colonnello a Vincenzo Nigro – che dipende dal Ministero dell’Interno, poi c’è la guardia costiera che dipende dalla Difesa, con le sue basi e sue barche, e poi ci sono le milizie». Dunque, le altre milizie o forze di polizia non lavoreranno né per difendere il memorandum italiano né per fermare i traffici di migranti. Questo perché «tanti lavorano proprio per i trafficanti, e vengono pagati dalle mafie criminali».
Conseguentemente, la domanda è: come potrà l’Italia mettere la Libia nelle condizioni di istituire un blocco navale e trattenere i migranti sul suo territorio, se il governo cui Roma fa affidamento non controlla che un 10% di quelle basi, cioè una percentuale risibile di uomini e, dunque, di fascia costiera? Oltre al fatto che il potere di Tripoli si estende su una parte risibile del Paese, meno di un quarto.
La variabile russa e il generale Haftar
Gli sforzi italiani rischiano di essere vanificati anche per il fatto che, nelle ore in cui Roma firmava il memorandum con Serraj, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov incontrava ad Abu Dhabi il suo omologo algerino Abdelkader Messahel. Scopo? Definire la collaborazione tra Mosca e Algeri per aggirare l’embargo ONU che oggi impedisce la fornitura di armi alla Libia. Lavrov e Messahel hanno messo a punto una “triangolazione” che, dalla Russia all’Algeria, arrivi a rifornire le truppe del generale Haftar.
Haftar, sponsor del governo di Tobruk, si è appena preso l’intera Bengasi e, dunque, adesso controlla davvero la Cirenaica. Con le armi che riceverà da Mosca – mezzi corazzati, munizioni, sistemi radar e di sorveglianza – potrà rinforzare ulteriormente il suo esercito, con il quale in passato il generale non ha escluso di marciare fino a Tripoli per «unificare la Libia sotto un unico comando», cioè il suo.
Inoltre, con il controllo dei terminal petroliferi che Haftar si è assicurato in questi mesi, la Cirenaica può adesso esportare qualcosa come 715mila barili giornalieri, il livello più alto dal 2014. Il che aumenta le credenziali del generale presso larga parte della popolazione e permette a Mosca di pianificare la penetrazione russa nei porti e negli aeroporti libici, secondo la medesima strategia usata in Siria a Latakia e Tartous. Di certo, il Cremlino ha scelto il generale Khalifa Haftar come il proprio uomo in Libia, e sembra sempre più intenzionato a farne un Bashar Al Assad locale. Questo fatto, prima o poi, potrebbe cozzare con le scelte italiane.
Un accordo è possibile solo con Mosca e Washington
Come si dipanerà la situazione politica di qui in avanti è presto detto: dipenderà molto da ciò che Vladimir Putin e Donald Trump decideranno sul futuro della Libia. Se cioè sceglieranno di sposare la medesima linea politica, e se poi questa linea politica convergerà sull’appoggio ad Haftar o su un più pericoloso laissez–faire.
Il generale Khalifa Haftar ha dovuto lottare non poco per avere la meglio sulle milizie islamiste di Ansar Al Sharia che imperversavano a Bengasi e, per assicurarsi la sovranità della Cirenaica, ha lasciato che parte di queste milizie si ritirasse armi in mano nel deserto. Il che la dice lunga sulle reali possibilità di Haftar nel riuscire a prendere Tripoli con la forza. Un fatto che, tra l’altro, sarebbe visto dalla comunità internazionale – ONU in primis – come un vero affronto e che minerebbe ogni speranza di pacificare la regione.
Discorso diverso è se, invece, Haftar accetterà un compromesso con la controparte rappresentata da Serraj: garantendosi, ad esempio, un ruolo di primo piano in un futuro governo unito, con il suo esercito a fare da garante per il rispetto della legge e dell’ordine. In ogni caso, che sia una colonna portante di una Libia unita o il governatore di una Libia divisa, con il generale della Cirenaica presto o tardi tutti dovranno fare i conti. Il che significa che Roma, memorandum o non memorandum, dovrà prima o dopo discutere di sicurezza e di prospettive geopolitiche non tanto e non solo con l’Unione Europea, ma anche e soprattutto con Mosca e Washington.
Fonte: http://www.lookoutnews.it/italia-libia-migranti-memorandum-intesa/
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