L’ideologia è necessaria
di JACOPO D’ALESSIO (FSI Siena)
“Diventare genitori di se stessi è una follia pari a quella che sostiene l’Io come padrone in casa propria. La libertà che ne deriva coincide con un fantasma di onnipotenza che scongiura il carattere finito dell’esistenza. Questa libertà non sorge dalla castrazione, dalla finitudine […] ma esprime la follia dell’Io come follia di appropriazione del proprio fondamento”
Massimo Recalcati
L’antefatto. La scena a Roma
In questa scena, tratta da ll ventre dell’architetto (The belly of an architect – 1987), di Peter Greenaway, notiamo il professionista americano Stourley Kracklite (Brian Dennehey) mentre osserva numerose fotografie che sono appese alla parete di un ampio salone nell’appartamento dove sta soggiornando da alcuni mesi a Roma.
Il racconto delle fotografie. L’Io si guarda dall’esterno. La consapevolezza
Le numerosissime foto scorrono davanti ai suoi occhi (che sono anche i nostri) in soggettiva, come fossero le scene del film della propria esistenza.
Quest’ultime custodiscono un racconto: quello di un prestigioso architetto cui è stata commissionata la costruzione di un importante museo in Italia, e dell’adulterio che si consuma tra la moglie, Livia, e il giovane italiano Caspasian. Inoltre mostrano il lancinante malore allo stomaco che gli ha impedito finora di completare l’opera ispirata ai lavori dell’artista francese Étienne Louis Boullée.
Kracklite cammina affranto lungo la parete della stanza e, guardandosi al di fuori di quelle foto, si sdoppia, rendendosi conto di essere il personaggio di carta del film che impersona. Sta seguendo alla lettera il copione di una trama di cui, suo mal grado, capisce di esserne il protagonista. Tuttavia, sa anche che uscire da quella narrazione non servirà a nulla, nella misura in cui sarebbe costretto ad annullare la sua stessa vita, l’unica che Kracklite possiede e con la quale è costretto puntualmente a fare i conti.
L’evasione dal film
Neanche l’incontro d’amore con la fotografa Stefania Casini (Flavia Speck), sorella di Caspasian, si può realizzare liberamente, in quanto segue delle regole altrettanto codificate. Stefania conduce Kracklite in fondo al salone dove iniziano a baciarsi e ad abbracciarsi dietro a una tenda che rappresenta l’equivalente di un telo cinematografico. Mentre la finestra dietro le loro spalle allude all’inquadratura della macchina da presa.
In altre parole, a Kracklite e Stefania è concesso di amarsi solo ed esclusivamente all’interno di una cornice, della quale, a loro volta, diventano una digressione. Nemmeno l’amore, infatti, sembra rimanere immune alle regole imposte da un regista a loro esterno. La vita di Kracklite è un quadro dipinto, non dalla propria persona, ma da un altro artista. E’ l’oggetto della pellicola di Greenaway su cui l’architetto sembra non avere alcun controllo.
Dunque, la vita si riduce a recita, a una maschera artificiale, così come i rapporti umani sembrano essere sempre dissimulati da contratti che non corrisponderanno mai alla sostanza di un’autentica realtà sociale. E l’inquadratura della telecamera, come le foto a Roma, stanno lì a rammentare che, se vogliamo emanciparci, dobbiamo trovare una via di fuga. Potremmo sostenere così che l’estetica di Peter Greenway consiste principalmente in questo sforzo continuo di estraniare il suo pubblico dalla forma artistica dalla quale si cerca faticosamente di evadere ogni volta (i).
Il tramonto delle ideologie
L’uomo contemporaneo è cultore delle immagini per eccellenza mentre respinge con diffidenza qualsiasi tipo di narrazione che condanna subito come ideologica. Ha trionfato il soggettivismo estremo del decostruzionismo francese dei Deleuze e dei Lyotard (ii). Tuttavia, secondo Massimo Recalcati, ci siamo illusi che saremmo stati in grado di assegnarci un’identità da soli, rinunciando d’un tratto al fardello di ogni linguaggio, e diventare così, paradossalmente, ‘genitori di noi stessi‘. Che saremmo diventati tutti creatori d’impresa, dei free lance al di fuori di qualsiasi codice convenzionale storicamente fondato, il quale viene connotato unicamente alla stregua di una prigione (iii).
Perché, è vero, siamo sempre noi che narriamo le nostre vicissitudini. Ci raccontiamo ad esempio dottori prima di intraprendere la carriera accademica; diventiamo protagonisti di un amore prima di immergerci nella trama di un incontro; ci raffiguriamo socialisti e patriottici mentre costruiamo le fondamenta della militanza politica. Ma si tratterà sempre di un noi inserito nel rapporto dialettico, conflittuale o meno, che ci lega con la cornice più vasta della Storia: quella artistica, familiare, di classe, e del nostro paese di origine.
Difatti, anziché offrirci l’emancipazione tanto agognata, il tramonto di tutte le ideologie, seguito al collasso dell’URSS, si è tramutato nell’angusta prospettiva entro la quale il liberismo ci ha imbrigliato finora.
La libertà è nella cornice
Pertanto, l’esistenza è, e sarà, sempre necessariamente anche il prodotto di un nostro racconto, il quale però andrà iscritto simultaneamente nell’ambito di una narrazione più ampia. Il punto è: c’è la possibilità di gestire tale relazione? Oppure, come succede a Kracklite, siamo condannati fin dal principio a subirne tutte le conseguenze e le determinazioni?
Nonostante l’auto consapevolezza, Kracklite si arrenderà infatti al ruolo di personaggio sacrificale che gli ha imposto il film, accettando il rigido rituale che lo condurrà, per desiderio altrui, a gettarsi infine dal balcone del suo museo per suicidarsi. E la stessa sorte sembra toccare alla smarrita generazione nata tra gli anni ’70-’80, che si comporta alla stregua di un oggetto inerte, guidato dal punto di vista di una trama a lei del tutto sconosciuta. Tuttavia, spetta proprio a tale generazione decidere se accettare passivamente il destino che gli attribuisce l’una o l’altra cornice, oppure diventare il soggetto di una di queste narrazioni e perciò dell’ideologia. Ma prima di arrivare a tanto, si dovrà riconoscerla e smettere di fuggirne.
Non esistono né scorciatoie né vie di fuga ma solo scelte.
NOTE
(i) In generale, sull’idea di un’estetica dinamica, irreprensibile, si può vedere Gilles Deleuze, L’immagine-movimento, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2016, in contrapposizione con quella di forma in Gyorgy Luckàcs, L’anima e le forme, Edizioni SE, Milano, 2000.
(ii) Jean-Francois Lyotard, La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano 2008.
(iii) Massimo Recalcati, L’uomo senza inconscio, Raffaele Cortina Editore, Milano, 2010.
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