La retorica della crisi e/o dell’emergenza
di AMERICO MARINI (FSI-Riconquistare l’Italia Viterbo)
In questo periodo siamo riusciti veramente a farci andare bene tutto, e dico proprio tutto tutto. I Governi possono fare qualsiasi cosa, d’altronde “il fine giustifica i mezzi”. Poco importa se lo Stato di diritto, come paradigma, ha quello di verificare la legittimità dei mezzi prima ancora che dei fini, poco importa se non esiste più argine al pubblico potere. Ragionandoci, neanche deve stupirci. In verità i presupposti di legittimità dell’azione del pubblico potere sono stati persi di vista molto prima dell’emergenza covid, perlomeno da quando abbiamo incominciato ad accettare la normalità del susseguirsi delle crisi. Siamo assuefatti dalla retorica dell’emergenza, ora sanitaria, allora economica, talora istituzionale.
È cavalcando le crisi che hanno potuto far nascere e crescere in molti, non solo la psicosi collettiva che tutto giustifica in funzione del perseguimento del nobile e ragionevole fine della tutela della salute, ma anche la cultura della sofferenza meritata, della rinuncia al nostro modello economico costituzionale in favore della “tenuta dei conti in ordine”, ed addirittura del favore verso le manovre lacrime e sangue perché “ce lo chiede l’Europa”, “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”, “se non facciamo così saranno guai seri per tutti” etc.
Naturalmente, in questa impostazione politico-dialettica, sfruttano l’ignoranza e la paura, da sempre formidabili strumenti di legittimazione e coercizione. Quante volte ci hanno indotto a pensare che ragionare al di fuori di una di quelle azioni imposte per il nostro bene fosse sbagliato? Quante volte abbiamo accettato stravolgimenti del nostro ordinamento perché ci dicevano che era ragionevole o avrebbe portato benefici? Quante volte abbiamo tollerato le azioni dei nostri governi, anche se extra ordinem, perché erano giustificate dai fini (per lo più etero-determinati)?
Sarebbe interessante indagarlo e rispondere, perché scopriremmo che è successo diverse volte, ma tra tutte è evidente che l’adesione alla politica economica ordoliberale dei Trattati UE ne costituisce l’esempio principe. In sostanza, si rinuncia alle prerogative costituzionali in funzione del perseguimento del benessere, segnatamente di quello che è stabilito “da chi ne sa di più”, e quindi noi (inteso come totalità del popolo) accettiamo di buon grado. Questa sorta di (ri)educazione in senso paternalistico ha permesso, anzitutto, l’affermazione e la coatta accettazione dell’oligarchia tecnocratica finanziaria ed economica, nella specie europea.
Il compito di chi ha chiaro tutto questo è di lottare per la liberazione, per la riaffermazione della democrazia e dei suoi corollari. Simone Weil, filosofa francese vissuta negli anni dei totalitarismi, sosteneva che non potesse esserci ordinamento o diritto laddove il sentimento di un’autorità legittima o permette di “abbassarsi”. Obbedire (rispettare la legge) non è “abbassarsi”! Il mio è un invito, per tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggere, a recuperare quel sentimento critico di “disturbo del manovratore”, di cogliere e difendere la “dignità dell’obiezione”. Solo così potremo smettere di accettare e tollerare, solo partendo da questo punto potremo riconquistare la nostra sovranità.
Commenti recenti