Siria: il rebus delle alleanze nella battaglia di Raqqa
di LOOKOUT NEWS (Rocco Bellantone)
Dopo la caduta di Al Bab turchi, siriani, iraniani e curdi prepareranno l’offensiva finale per la presa della capitale dello Stato Islamico. USA e Russia valutano a quale partner affidarsi
Mentre ad Al Bab procede l’avanzata di forze turche e ribelli del Free Syrian Army da una parte e dell’esercito siriano dall’altra, in parallelo inizia a prendere forma il piano per sferrare l’attacco a Raqqa, capitale dello Stato Islamico in Siria.
Nel percorso di preparazione di quella che, al pari di Mosul, è destinata a essere la battaglia decisiva per sconfiggere il Califfato nel Siraq (Siria-Iraq) negli ultimi giorni Washington si è mossa principalmente sull’asse che la collega ad Ankara. Il 17 febbraio il direttore della CIA Mike Pompeo è volato nella capitale turca. Lo stesso giorno, nella base aerea di Incirlik c’è stato un incontro tra il generale americano Joseph Dunford, capo del Joint Chiefs of Staff, e il capo di stato maggiore delle forze armate turche Hulusi Akar. Mentre il 18 e 19 febbraio, alla Conferenza internazionale sulla sicurezza di Monaco, c’è stato un faccia a faccia tra il premier turco Binali Yildirim e il vicepresidente americano Mike Pence. Dopo questi incontri, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump attende per il 28 febbraio dal Dipartimento della Difesa un dettagliato quadro della situazione del conflitto nel nord del Paese.
USA-Turchia: pro e contro dell’alleanza
Il percorso che Washington e Ankara potrebbero apprestarsi a percorrere insieme in questa fase cruciale della guerra siriana non è privo di ostacoli. Il primo di questi rimanda a Manbij, città siriana controllata dalle milizie curdo-siriane dell’YPG situata a ovest del fiume Eufrate e a sud di Jarablus. La Turchia vuole Manbij. La città è infatti uno degli obiettivi della sua operazione militare “Scudo sull’Eufrate”, lanciata alla fine dell’agosto 2016 per bloccare l’avanzata delle forze curde nel nord della Siria e tagliare la strada a un ricongiungimento con i territori da loro controllati a nord-ovest.
Gli USA hanno considerato finora i curdi i loro alleati più affidabili in Siria, li hanno sostenuti con copertura aerea e invio di armi nella loro campagna contro ISIS per la riconquista di Kobane e, in questo frangente, restano una pedina imprescindibile in attesa di definire i dettagli di una eventuale comune strategia con Mosca.
L’altro punto di frizione tra Ankara e Washington riguarda il luogo da cui si decideranno di avviare le operazioni per attaccare Raqqa. Gli USA sono favorevoli a far scattare l’avanzata da Al Bab, distante circa 180 km da Raqqa, una volta che sarà liberata da ISIS. La Turchia, invece, propende per partire da Tal Abyad, adiacente al confine turco a poco più di 100 km dalla roccaforte jihadista. Così facendo, avrebbe Ankara un corridoio diretto verso Raqqa e la possibilità di un rifornimento veloce e costante.
Perché la Turchia “serve” agli USA
La Turchia, superato l’accerchiamento diplomatico che fino a pochi mesi fa le aveva messo contro contemporaneamente Mosca (per via dell’abbattimento di un jet russo nel novembre del 2015) e Washington (che Ankara aveva accusato di complicità nel fallito golpe del 15 luglio 2016), proverà nelle prossime settimane a far valere le ragioni per cui intende guidare la campagna militare per la riconquista di Raqqa.
Queste ragioni sono principalmente tre. La prima è prettamente militare: soprattutto nella fase iniziale la guerra sarà di tipo convenzionale. All’interno della roccaforte, dove vivono attualmente circa 220.000 civili, lo Stato Islamico dispone di una forza pari a circa 8-10.000 miliziani. Così come si sta verificando adesso nella parte ovest di Mosul e ad Al Bab, ISIS opporrà strenua resistenza. I jihadisti punteranno su imboscate e attacchi a sorpresa che effettueranno sfruttando la rete di tunnel sotterranei che attraversa la città, sull’uso di missili anticarro, droni e attacchi suicidi con veicoli blindati imbottiti di esplosivi. Per neutralizzare questo tipo di controffensiva servono carri armati, veicoli blindati e altri mezzi di artiglieria pesante a supporto della fanteria. Ed è qui che il ruolo dell’esercito turco potrebbe rivelarsi determinante per gli USA, che vogliono sì controbilanciare il fronte guidato dalla Russia, ma a Raqqa preferiscono non esporre i propri soldati a una guerra di logoramento.
La Turchia “serve” agli Stati Uniti anche in un’ottica di più lungo termine: la stragrande maggioranza dei circa 220.000 residenti di Raqqa è formata infatti da sunniti, con il resto della popolazione rappresentato da due piccole minoranze, cristiana e curda. Se a Raqqa entrerà l’esercito turco non sarà considerato come un nemico dalla popolazione locale, a differenza delle forze curde dell’YPG, che verrebbero percepite dai residenti come una forza occupante. Questo metterebbe al riparo il Pentagono da eventuali rivolte, come è già accaduto in Iraq e in Afghanistan.
Se alla fine Turchia e Stati Uniti dovessero trovare un accordo per condurre insieme l’offensiva su Raqqa, Ankara potrebbe sbilanciarsi: oltre alle forze speciali e ai mezzi di artiglieria pesante, l’esercito potrebbe schierare quattro o cinque battaglioni, portando a circa 7-8.000 i propri effettivi sul terreno.
La battaglia di Raqqa è aperta e su di essa pesa l’incognita dei curdi che difficilmente arrivati a questo punto rinunceranno al sogno di costituire la Rojava, lo stato autonomo del Kurdistan siriano. Per quanto riguarda Mosca, presa Aleppo e attestatasi saldamente la titolarità dei negoziati tra Damasco, Ankara e Teheran, il Cremlino potrebbe addirittura sfilarsi in vista di futuri negoziati per la ricostruzione della “nuova Siria”.
Fonte: http://www.lookoutnews.it/siria-raqqa-isis-turchia-curdi-alleanze/
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