Perché Trump fa la voce grossa con il Messico
di AGENZIA NOVA (Fabio Squillante)
Il confronto tra il nuovo presidente Usa ed il Messico sorprende gli osservatori per la sua durezza. Trump, infatti, avvia la revisione dell’Accordo nord-americano di libero scambio (Nafta), firma l’ordine esecutivo per completare la barriera ai confini comuni, e minaccia di applicare dazi del 20 per cento su tutte le merci importate dal Messico, in modo da far pagare al vicino meridionale la costruzione del “muro”. Accade così che il presidente messicano, Enrique Pan Nieto, annulli l’incontro con Trump, programmato per martedì 31 gennaio a Washington, ed il ministro degli Esteri, Luis Caso, interrompa bruscamente la sua visita nella capitale Usa, pochi minuti prima di un incontro fissato con il responsabile della Sicurezza interna, John Kelly.
L’atteggiamento di Trump appare incomprensibile, se non si tiene conto di alcuni importanti elementi. Il Messico è il paese che più ha tratto benefici dal Nafta e vanta un surplus commerciale di 60 miliardi di dollari con gli Stati Uniti: il 12 per cento dell’intero deficit commerciale Usa. Giusto per fare un paragone, nel 2015 l’Italia ha esportato in Germania, il nostro primo partner commerciale, beni e servizi per un totale di 56,58 miliardi di dollari, ma il Pil del Messico non raggiunge nemmeno il 60 per cento di quello italiano. Cifre che rendono evidente l’enormità del trasferimento di ricchezza dal nord al sud del Rio Grande.
Forse ancor più importanti sono, però, le considerazioni geopolitiche. Per quanto possa sembrare curioso, il Messico costituisce infatti il rischio potenzialmente più grave per l’integrità territoriale degli Stati Uniti. Secondo lo Us Census Bureau, i cittadini statunitensi che hanno origini messicane sono 35,8 milioni e costituiscono l’11,1 per cento della popolazione del paese: il 63,4 per cento di tutti gli statunitensi di origine ispanica o “latina”. La cifra non comprende, tuttavia, gli immigrati, regolari o clandestini.
Il 24 per cento di tutti i messicani viventi, risiede negli Usa, concentrato essenzialmente negli Stati del Sud, in particolare California e Texas. Stati che, come Arizona, Colorado, Nevada, New Mexico e Utah, erano parte integrante del Messico fino a, grosso modo, 150 anni fa.
Solo nel 2015 gli Usa hanno accolto legalmente oltre 157 mila migranti messicani, e nel novembre scorso 1,31 milioni di messicani erano in lista per immigrare legalmente negli Stati Uniti. Il tasso di natalità, tra i messicani, è assai più alto che fra gli statunitensi di origine europea, e la possibilità che, nel giro di pochi decenni, l’equilibrio etnico venga ribaltato in alcuni Stati della cintura meridionale, è tutt’altro che assurda.
Appare evidente che il peso elettorale che la minoranza messicana esercita, essenzialmente in favore del Partito democratico, è il minore dei problemi per il presidente degli Stati Uniti. La forza della storia, dell’appartenenza etnica, linguistica e la continuità territoriale con la madrepatria, potrebbero infatti favorire, in un futuro non ipotetico, l’emergere di un movimento irredentista messicano negli Stati Uniti.
Detto per inciso, è questo il problema che nel febbraio dello scorso anno ha provocato, durante la visita compiuta da Papa Francesco a Ciudad Juarez, al confine fra Messico e Stati Uniti, un ruvido scontro verbale tra il pontefice e Trump. Per Francesco, ovviamente, il riferimento è la comunità cattolica. Per Trump, invece, l’interesse nazionale Usa.
Il presidente farà dunque quanto in suo potere per limitare l’immigrazione e, se possibile, anche per invertire la tendenza. Il Messico farebbe bene a prendere molto sul serio le minacce d’introdurre dazi, per evitare danni peggiori alla propria economia e alla propria moneta, che dal giorno dell’elezione di Trump ha già perso il 14 per cento del valore, nei confronti del dollaro.
In verità sarebbe saggio, da parte del governo messicano, contrastare l’emigrazione clandestina verso gli Stati Uniti, negoziando allo stesso tempo con Washington, in modo da tutelare gli interessi delle industrie esportatrici. Su questo terreno non sarebbe difficile trovare un’intesa con Trump, il quale ha tutto l’interesse a non impoverire il Messico, proprio per evitare un aumento dei flussi migratori.
fonte: http://www.agenzianova.com/rs/52854/2017-01-28+18%3A39%3A32/atlantide#a-1495671
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