La truffa dell’autoimprenditorialità – Esperienza pescarese
di GIANLUCA BALDINI (FSI Pescara)
L’Unione Europea promuove l’autoimprenditorialità, incentivando i giovani a “inventarsi un lavoro” con misure di finanziamento mirate.
Così accade che, nella foga di inventarsi imprenditori e motivati dall’impossibilità di trovare un impiego in altro modo, numerosi giovani senza esperienza lavorativa pregressa si lancino nell’inflazionatissimo mondo della “somministrazione di alimenti e bevande”, ché con la crisi che c’è è l’unico in cui si vedono girare un po’ di soldi.
Nella mia città, Pescara, questa corsa all’apertura di pub/birrerie-vinerie/lounge bar/ristoranti/paninoteche ha generato conflitti (nelle zone in cui questo fenomeno è stato ipertrofico l’eccessiva concentrazione di persone bisognose di divertimento e negli orari più lontani dalla luce del sole ha causato un crollo della qualità della vita dei residenti) e ha prodotto il risultato di portare la concorrenzialità delle attività a livelli inimmaginabili fino a qualche anno fa, prima della liberalizzazione delle licenze commerciali.
Essendo uno studioso appassionato delle materie economiche sono tenuto a dover nutrire una certa fiducia nelle forze del mercato e nel meccanismo virtuoso della concorrenza e in effetti è riscontrabile anche questo effetto “salto in alto”, in cui l’asticella della qualità dei prodotti e dei servizi si è decisamente spostata in favore del miglioramento dell’offerta.
Ma dato che l’economia mi piace davvero, non posso non tenere in considerazione le lezioni di Keynes, che un secolo fa ci spiegava perché non è tutt’oro quel che luccica e che, nella competizione ingaggiata tra le giraffe, non possiamo non tener conto del danno sociale dell’esclusione di quelle dal collo corto e delle foglie che rimarranno sul terreno, calpestate dalle giraffe che si azzufferanno nel tentativo di vincere la lotta per la sopravvivenza.
Così, analizzando i numeri sull’autoimprenditorialità, non possiamo non citare quelli degli osservatori sulle startup, che ci dicono che 7 attività su 10 chiudono i battenti entro i 5 anni dall’apertura e che una quota cospicua dei finanziamenti per l’avvio delle attività è coperta dai risparmi della famiglia d’origine, magari dal TFR di un padre operaio di una famiglia monoreddito che è riuscita a mandare i figli all’università con tanti sacrifici e che poi li vede costretti a ingaggiare una lotta per la sopravvivenza spillando birre a Pescara vecchia o in zona mercato.
Lo spirito imprenditoriale è innato, non siamo e non saremo tutti imprenditori, e le competenze necessarie ad avviare un’attività si acquisiscono con la formazione e l’esperienza e non ci si improvvisa ristoratori dal nulla. In questa lotta non possiamo non tener conto del valore distrutto. Il 70% dicono i dati. Vuol dire che spendi 100 per generare 30+il margine x che presumo non arrivi a coprire la spesa, visti i tempi.
Senza lo Stato che riprenda a svolgere la sua funzione economica, in particolar modo nei periodi in cui sono necessarie misure anticicliche per ripartire, non andiamo da nessuna parte. Altro che autoimprenditorialità…
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