La battaglia di Damasco
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Mauro Indelicato)
Nei quartieri di Jobar e Berzeh gli ultimi fronti interni alla città di Damasco: l’esercito siriano è impegnato alla definitiva messa in sicurezza della capitale, tra duri scontri e velleitarie controffensive islamiste. Sono ore decisive sia per la città che per l’intero paese impegnato nella dura lotta contro il terrorismo.
Torna ad essere sotto i riflettori della guerra siriana la città di Damasco; la capitale, parzialmente sfuggita dalle fasi più cruente del conflitto, convive dal 2012 però con alcuni quartieri occupati dai terroristi islamisti ed in queste ore i rumori della battaglia tornano a farsi sentire non lontani dal centro. E’ la resa dei conti finale, è il colpo di coda di chi, circondato, ha oramai perso ogni possibilità di assediare militarmente il palazzo presidenziale e cerca in tutto i modi di prolungare la guerra e, con essa, l’agonia dell’intero popolo della capitale. In particolare, in ore così cruciali per il futuro della Siria dove, di fatto, si combatte su tutti i fronti eccezion fatta Aleppo, gli scontri a Damasco riguardano i quartieri di Jobar e di Qaboun/Berzeh, roccaforti islamiste a ridosso del centro della capitale siriana, da tempo assediate ed accerchiate.
Tra lo scorso mese di novembre ed il febbraio di quest’anno, l’esercito siriano è riuscito nell’intento di eliminare molte ‘sacche’ terroriste attorno la città: Daraya, Al Tal e le alture a sud di Damasco, sono solo alcuni dei territori ripresi dagli uomini fedeli al presidente Assad. Ciò ha consentito agli stessi damasceni di poter ritornare ad una vita quasi normale, con i fronti di guerra sempre più lontani, una sicurezza maggiore in centro e la consapevolezza che la città non farà la fine di un’Aleppo devastata e interamente da ricostruire. Pur tuttavia, i quartieri sopra citati sono ancora rimasti nelle mani degli islamisti, specie dei gruppi un tempo legati agli ex di Al Nusra, filiale siriana di Al Qaeda. Queste zone, altro non sono che il prolungamento dentro la cinta urbana di Damasco della ‘sacca’ del Ghouta Est, una porzione di territorio che dall’autostrada per Homs si spinge verso le campagne orientali della capitale difficile da espugnare sia per la conformazione del terreno che per il fatto che alcune città al suo interno sono state le prime roccaforti ‘ribelli’ e dunque negli ultimi sei anni i gruppi islamisti hanno potuto fortificarle sfruttando anche pericolosi tunnel sotterranei.
La sacca del Ghouta Est, ultimo vero spauracchio per Damasco assieme all’ex campo profughi palestinese di Yarmouk (controllato dall’ISIS), dall’ottobre 2015 ha subito drastici ridimensionamenti, la sua estensione è stata ridotta di circa il 40% rispetto ai mesi precedenti l’intervento russo anche se, prima di puntare al suo definitivo collasso, l’esercito siriano da qualche giorno ha iniziato a premere per eliminare la presenza terrorista nei quartieri di Jobar e Barzeh e la situazione viene ritenuta molto delicata. La reazione degli islamisti infatti, è stata feroce: i combattimenti, dagli inviati siriani sul fronte, vengono definiti molto cruenti, con perdite importanti in entrambi i fronti e con i gruppi ‘ribelli’ che, pur non avendo possibilità di scampo, provano velleitarie controffensive con centinaia di vittime per il controllo di appena qualche isolato.
Domenica scorsa, ad esempio, alcuni siti islamisti riportavano la notizia di una loro avanzata grazie al controllo di alcuni isolati in una zona industriale che fa da ‘cuscinetto’ tra Jobar e Barzeh; per conquistare questo piccolo territorio, si calcola che i terroristi possano aver perso più di 80 uomini e per giunta, già lunedì l’esercito era tornato in possesso di questi palazzi. Una battaglia urbana quindi, che a Damasco non si vedeva dal luglio del 2012, quando la capitale è stata per due giorni preda dei ‘ribelli’, respinti poi prima ancora che le bandiere siriane di epoca coloniale potessero sventolare in centro; la situazione, da allora, è drasticamente cambiata: la città, come detto, è molto più sicura e gli scontri riguardano le ultime periferie ancora in mano terrorista, sebbene gli scontri stiano producendo ulteriori danni e non poche paure legate alle reazioni di chi si appresta a perdere definitivamente terreno dopo cinque anni di intenso conflitto.
La situazione infatti, appare a vantaggio dell’esercito regolare. La strategia utilizzata è molto simile a quella vista all’opera ad Aleppo negli ultimi mesi si battaglia per la presa della seconda città siriana: le forze di Assad premono, gli islamisti reagiscono duramente e, dopo minimi guadagni territoriali, con oramai pochi uomini e mezzi a disposizione cedono bruscamente. Nei quartieri damasceni ancora in mano islamista, i terroristi stanno cercando disperati contrattacchi ma al contempo stanno anche lasciando sul campo tanti uomini e tanti mezzi. Non ci vorrà molto prima che l’esercito riesca a liberare anche le ultime zone di Damasco ancora fuori controllo, consegnando anche ai cittadini della capitale la fine di ogni ostilità urbana.
Intanto in Siria, come detto, sono ore decisive e frenetiche: si combatte nella parte orientale del paese, dove le truppe di Assad avanzano contro l’ISIS a Deir Hafer (ultima roccaforte del califfato nella provincia di Aleppo), così come sempre nelle zone desertiche orientali i curdi aiutati dagli americani stringono il cerchio su Raqqa; a Palmyra, l’esercito sta creando un’ampia zona cuscinetto attorno alla città, con il califfato in fuga anche da questo territorio, mentre da 48 ore si è tornati a combattere a nord di Hama, con gli islamisti che in questo caso avanzano e l’esercito fatica al momento a tenere testa in attesa dei rinforzi annunciati da Aleppo. Si sta quindi delineando l’intricato quadro dei principali fronti che caratterizzeranno i prossimi mesi del conflitto siriano, mentre Damasco attende di poter definitivamente allontanare lo spauracchio terrorista e spera, quanto prima, di poter tornare la capitale di un paese unito e nuovamente pacificato.
Fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/esteri-3/la-battaglia-di-damasco/
In questo video-intervento di Sebastiano Caputo, sebbene si parli di ultimo colpo di coda dei ribelli, c’è molta preoccupazione. Si osserva che si credeva che fossero un migliaio e invece sono molte migliaia, che quindi sono riuscite ad entrare nell’enclave dall’esterno, che quindi non era un’enclave, che con l’azione dei giorni scorsi i ribelli hanno creato anche un’altra enclave (https://www.facebook.com/sebastiano.caputo.3/posts/1479804318721092). Si aggiungano i micidiali attentati compiuti a Damasco nelle scorse settimane.
Secondo me l’articolo è troppo ottimista: la guerra durerà ancora a lungo. E addirittura, purtroppo, è vano l’auspicio finale: che Damasco torni “la capitale di un paese unito e nuovamente pacificato”. La Turchia non è entrata ad Al Bab per fare un piacere ad Assad; i Curdi non si immoleranno nel combattere contro lo Stato Islamico a Raqqa per fare un piacere ad Assad, tanto più che saranno appoggiati dai bombardamenti aerei statunitensi. I deserti resteranno in mano allo Stato Islamico almeno per un paio di anni. Se i ribelli di Aleppo sono entrati a Damasco, fino a quando avranno la possibilità di far entrare uomini e armi, resteranno, almeno come restavano ad Aleppo. Sono probabilmente armati e finanziati dall’Arabia Saudita, che non vuol restare fuori dai processi di pace.
Sono dunque molto pessimista sulla possibilità che la Siria torni ad essere un paese unito e mi sembra che i colloqui di Astana e Ginevra siano completamente falliti.