Il problema del calcetto
di ALESSANDRO GILIOLI
Ovviamente, Poletti ha ragione. In termini di lettura del reale, dico: cioè del Paese di cui è ministro. Le amicizie e le relazioni, nell’Italia del 2017, sono molto più utili a trovare un lavoro rispetto a un buon curriculum, agli studi, all’impegno, allo sforzo, agli skill acquisiti. E “giocare a calcetto” può consentirti di allargare la tua rete di relazioni.
Se quindi ci si limita alla constatazione dello stato delle cose, c’è poco da arrabbiarsi con Poletti: ha detto la verità.
Peccato che ci siano due o tre questioni grandi come montagne, dietro. Che cagionano ragionevolmente furia nei confronti del Poletti medesimo, o quanto meno delle sue frasi.
Primo, se la dinamica purtroppo è questa – cioè che per trovare un lavoro le relazioni sono purtroppo più importanti degli skill – un politico decente non se ne compiace per nulla.
Anzi la denuncia.
La indica con ogni forza come un modello sbagliato, da lasciarsi alle spalle. Invoca quindi una rivoluzione del modo di pensare di tutti. Chiede agli imprenditori privati di assumere per capacità e non per conoscenze. Agisce fattivamente perché lo stesso avvenga nelle università e nel pubblico in generale. Chiede a tutta la società di valorizzare le capacità, gli sforzi, gli studi, le esperienze: non le relazioni amicali o familiste. Anzi accusa il familismo e il clanismo come un male sociale, come un cancro subculturale da estirpare: non come una cornice a cui adeguarsi.
Poletti è un ministro: non un sociologo, né un giornalista. Il suo compito quindi dovrebbe andare un po’ oltre la presa d’atto compiaciuta di una dinamica distorta e (incredibile) l’invito ad adeguarvisi. Dovrebbe essere quello di provare a modificare le cose, a migliorarle. Altrimenti che cosa sta lì a fare?
E poi: quello che Poletti non sa o non aggiunge è che non conta tanto giocare a calcetto in sé, ma soprattutto con chi giochi a calcetto.
Già: le relazioni contano – purtroppo – e contano così tanto che poi a decidere il tuo destino è spesso la qualità delle relazioni che hai, fin da ragazzo. È improbabile che le rete di rapporti allacciata in un cortile di periferia – figli di sottoproletari, di immigrati e magari perfino di zingari – sia pari a quella di chi a calcetto gioca con figli di imprenditori, professionisti, politici, alti boiardi pubblici o privati.
Ed è proprio questo il punto: il famoso ascensore sociale bloccato. Bloccato proprio dal tipo di relazioni che hai. E se conosci quelli giusti – per origine familiare, per quartiere in cui abiti, per contesto economico – il tuo punto di caduta nella società sarà comunque più elevato. E le tue difficoltà nella vita saranno comunque minori. Molto minori. Proprio per via di quelle relazioni.
Il che è tanto più vero in un quadro in cui – per la crisi economica, per la sparizione dei corpi intermedi, per la desertificazione del welfare – le relazioni contano sempre di più, quasi restano solo quelle. A ogni livello: per trovare un posto di lavoro così come per ottenere una Tac. E ci si divide, con vari gradi, tra chi conosce e chi no. Con grande – e non ingiustificato – livore di questi ultimi verso i primi. Che poi sono i famosi dimenticati, i “forgotten” che si vendicano scegliendo ogni contro nelle urne.
Non so se Poletti aveva presente tutto questo, nell’invitare i ragazzi a concorrere nella gara di relazioni, anziché a sovvertire la piramide sociale basata sulle relazioni.
Non credo che se ne sia reso conto, no. E forse questa stolida incoscienza è perfino peggiore – e più pericolosa- della cattiveria.
fonte: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/03/28/il-problema-del-calcetto/
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