di ORIZZONTE48 (Luciano Barra Caracciolo)
1. Inutile dire che lo spin televisivo pro-€uropa, cioè pro-vincolo-esterno (perchè-è-chiaro-che-non-siamo-capaci-di governarci-da-soli: appena sentito dire in TV da un “politologo” che sa-tutto-di-economia), sta assumendo in queste ore un’accelerazione grottesca in concomitanza con l’attualizzazione in agenda dell’adozione della “manovrina” aggiuntiva.
Quest’ultima, a sua volta, si connette ai saldi fiscali che ne conseguiranno e, dunque, – sebbene gli espertologi (politologi, filosofi, e, ahimé, giuristi di varia estrazione) non abbiano ancora compreso il punto- all’impatto sulla crescita del PIL (o “ripresa” come ormai ridicolmente la si definisce) dell’austerità…espansiva imposta in modo irrevocabile dall’€uropa.
2. La crescita del PIL, influendo direttamente sul livello delle entrate fiscali effettive (essendo il PIL la misura della base imponibile complessiva), condizionerà infatti il deficit pubblico di fine 2017 e determinerà la misura dell’ulteriore, e ben maggiore, aggiustamento, che dovrà essere progettato fin da settembre (secondo la quantificazione dei dati effettivi in corso d’anno fiscale, operata nella nota di aggiornamento del DEF di aprile) in vista dell’approvazione, da parte dell’€uropa, (perché il passaggio parlamentare è solo uno scontato rito TINA in nome degli “impegni €uropei”) della legge di stabilità.
Un aggiustamento che, nella manovrina aggiuntiva, sarà il consueto mix di tasse&tagli a effetto recessivo con un moltiplicatore che supera l’unità, e che nella manovrona di stabilità, (nelle misure attualmente previste inevitabilmente recessiva), amplierà i suoi orizzonti di austerità espansiva su aumenti del carico fiscale e tagli del tutto contraddittori e controproducenti della spesa pubblica (stabilizzando e allargando lo split-payment, aumentando l’IVA, e tagliando drasticamente le detrazioni e deduzioni fiscali, pomposamente dette “fiscal expenditures” per dare in pasto all’opinione di massa l’idea che si tratti di sprechi e di inutili privilegi, mentre si aumenta in sostanza la base imponibile e il prelievo, in omaggio alla tecnica della “illusione finanziaria”).
3. Su tutto, naturalmente, pende la minaccia, per maggio rispetto alla manovra aggiuntiva, e per gli inizi del 2018 per la legge di stabilità, dell’apertura della procedura di infrazione che, si dice, comporterebbe la perdita della “credibilità” e il conseguente innalzamento degli spread sul collocamento dei titoli del debito pubblico italiano, specialmente in concomitanza con il tapering (diminuzione progressiva dei volumi d’acquisto), prima, e la cessazione, poi (col 2018), del programma d’acquisto dei titoli da parte della BCE.
Altrettanto ovviamente, la procedura di infrazione ha una versione tutta sua, su misura per l’Italia e gli italiani che-non-sanno-governarsi-da-sé. E questo nonostante lo stesso DEF 2016 tentasse, timidamente, di chiarire qualche dato in proposito, offrendo dei dati comparati che pongono in evidenza che, certamente, fra i paesi maggiori dell’eurozona non siamo certo i fanalini di cosa quanto a “austerità espansiva”:
4. E siccome del debito pubblico non si sono comprese né la mancata correlazione con la crescita, né le ragioni dell’incremento costante (qui, p.1), guardandosi al suo ammontare in assoluto e dimenticandosi (filosofi e politologi), che i tetti €uropei riguardano un rapporto, col PIL come numeratore, mentre si ignorano costantemente i criteri della sua “sostenibilità” (che ha molto a che fare con la crescita del PIL), l’€uropa del “rilancio nell’unità di intenti e bla, bla, bla”, ha buon gioco a imporci la consueta ondata di privatizzazioni e l’idea della super-patrimoniale sulla ricchezza residua dei privati cittadini italiani.
Tralasciando, per evidente default di consapevolezza (culturale e mediatica), il non trascurabile punto dell’impatto sulla crescita e sui conti dello Stato di privatizzazioni che investirebbero la stessa “universalità” del servizio postale e di quello ferroviario – in cui le consuete “mani estere” si impadronirebbero degli utili derivanti dalle aumentate partecipazioni azionarie con la scontata contrazione dei livelli occupazionali-, tralasciando l’impatto sullo stesso controllo delle filiere industriali nazionali, proprio in termini di competitività, di una ulteriore privatizzazione/cessione a investitori esteri, sul settore di porti e aeroporti, veniamo alle certezze su quali impegni il governo italiano abbia già assunto verso l’€uropa.
5. Ricorriamo naturalmente alla nota di aggiornamento del DEF di settembre, corredata da interessantissime tabelle, sempre rammentando che il DEF è divenuto, in base alle regole attuative del fiscal compact (regolamento CE del Consiglio n.473/2013 del 21 maggio 2013), una “lettera di sottomissione unilaterale” verso le istituzioni dell’eurozona e ha perso ogni connotato di indicazione dell’indirizzo economico-fiscale che il governo presenta all’approvazione parlamentare.
Più sotto riportiamo le obbligazioni “di fare” assunte dal governo, ma conviene prima fare la precisazione che il loro adempimento bypassa ormai ogni libertà di scelta parlamentare e quindi, ogni possibile esito delle elezioni:
6. E veniamo perciò alle obbligazioni, in tema di privatizzazioni delle partecipazioni pubbliche industriali (e immobiliari), già assunte in nome del rigore fiscale e del contenimento del debito:
Le previsioni di incasso pluriennale sono contenute dunque nel DEF di aprile, in quanto confermate, e risultano dal rigo “evidenziato” relativo agli “altri incassi in conto capitale”: ebbene, per il 2017, guarda caso, gli incassi sono pari proprio allo 0,2% del PIL, misura dell’aggiustamento richiesto dall’€uropa:
E questi, sempre in base alla nota di aggiornamento del DEF (tutt’ora vincolante), sono i settori investiti dalle privatizzazioni:
7. Ma le “riforme”, e la immancabile corsa alla riduzione del debito che altrimenti raggiungerebbe, con l’aumento degli spread, i livelli di onere degli interessi che non consentirebbero “gli investimenti pubblici per la crescita” (investimenti su cosa? Per assecondare la propensione all’investimento di chi? Tutte risposte che gli stilemi degli spaghetti €uropeisti non sanno dare), possono allargare gli appetiti di “aggiustamento&risanamento“, perché si sa, l’unica condizione per il “ritorno alla crescita”, è “avere i conti in ordine”.
Ecco dunque i settori “riformati” da tenere d’occhio in vista del nuovo DEF prossimo venturo che “scoprirà” la esigenza TINA di tener conto dell’aumento degli spread e della fine del QE e di procedere a cessioni di quote di partecipazione pubblica a “investitori esteri”, a prezzi disastrosi, da saldo, e con scontate riduzioni dei livelli occupazionali:
Insomma, prevedibilmente, anzi scontatamente, i porti, gli aeroporti, aree demaniali urbane (con gli immobili che ci sono sopra, spesso di interesse storico e artistico ma, per mancanza di fondi da “spending review” tanto degradati e da affidare alle solide mani estere di “risanatori”), e trasporto locale nelle sue varie modalità.
8. Una “riforma”, moderna e €uropea, sempre attuativa di qualche “condizionalità” tesa a smantellare lo Statobrutto, fonte di corruzione, chissà come mai, finisce sempre, prima o poi, scadenze elettorali permettendo, per arrivare a cessioni di assets pubblici a investitori esteri.
Ma, una volta completata la colonizzazione (cioè il passaggio del potere decisionale effettivo al capitale estero, politicamente strutturale in un ordinamento neo-liberista) tutto questo è scontato: sulla preservazione della proprietà e gestione nell’interesse nazionale di tali (immensi) assets non scommetterei una “lira”.
Opporsi, avendo un’idea conforme a Costituzione del ruolo e della gestione dei beni pubblici (non dei “beni comuni”, per carità!), sarebbe populismo. O no?
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