Ordoliberismo ed €uro. La lunga marcia della restaurazione
di LUCIANO BARRA CARACCIOLO
1) Ordoliberismo
Per parlare dell’ordoliberismo (o “ordoliberalismo”: la distinzione, fatta in italiano, deriva dalla non conoscenza della lingua inglese, dove non esiste la parola liberism, ma solo quella “liberalism”, che indica indistintamente una dottrina economica e la sua inscindibile ideologia politica) prendiamo spunto da questa citazione di una frase di Giuliano Amato in un’intervista rilasciata in inglese.
La traduciamo così non ci sono equivoci:
“Non penso che sia una buona idea rimpiazzare questo metodo lento ed efficace – che solleva gli Stati nazionali dall’ansia mentre vengono privati del potere– con grandi balzi istituzionali…Perciò preferisco andare lentamente, frantumando i pezzi di sovranità poco a poco, evitando brusche transizioni dal potere nazionale a quello federale. Questa è il modo in cui ritengo che dovremo costruire le politiche comuni europee...”.
Rammentiamo poi questa sintesi della natura strumentale dell’ordoliberismo:
“Ordoliberismo: veste €uro-attuale del neo-liberismo che, imperniata sull’obiettivo del lavoro-merce, prende atto dell’ostacolo delle Costituzioni sociali contemporanee (fondate sul lavoro), ed agisce divenendo “ordinamentale”, cioè impadronendosi delle istituzioni democratiche per portarle gradualmente ad agire in senso invertito rispetto alle previsioni costituzionali.”
Questa vicenda di gradualità nell’impossessamento delle istituzioni democratiche, per invertirne la direzione di intervento, cioè per portarle a tutelare e realizzare interessi di segno opposto a quello per cui vennero concepite dalle Costituzioni nate dalla Resistena al nazifascimo, ha una avuto una fase operativa che ne ha consentito l’attuazione tecnocratica, secondo una precisa ideologia economica di tipo restaurativo, come fine ultimo.
2) Le radici restauratrici
Qui una ricostruzione delle radici restauratrici:
“…lo stesso instaurarsi del consumismo di massa in sè, indicava una via di reazione che il sistema conteneva già in sè e consentiva, quindi, un’evoluzione adattativa che restaurasse il modello capitalista auspicato (quello del famoso passaggio di Kalecky).
E questo nella coscienza che ciò potesse farsi con la dovuta gradualità, per attendere sia il consolidarsi della imminente vittoria definitiva sul socialismo “reale”, che lo sfaldamento della linea politico-elettorale caratterizzata da diversi livelli di concessione sul fronte del welfare (che pareva accomunare nella irreversibilità tutti i partiti in campo nei paesi occidentali, nei limiti della funzionalità alla strategia di sedazione dell’avanzata dei partiti comunisti).
Inutile dire che era, specie in partiti come il Repubblicano USA, una linea “rebus sic stantibus” e tatticamente accettata obtorto collo. Lo stesso, poteva dirsi di settori della democrazia cristiana, come dimostra la vicenda dell’evoluzione delle posizioni sulla banca centrale da quella di Carli anni ’70 a quella di Andreatta-Ciampi, primi anni ’80)…”.
3) La rivincita
Ora questa aspirazione alla restaurazione aveva già espresso, in Europa, (cioè nel contesto in cui sarebbe stato connaturato cercare di applicarlo), un sistema di pensiero economico-politico, in sé compiuto.
Quest’ultimo va identificato nella assoluta contiguità – storicamente attestata da prove inconfutabili (tanto che coloro che si identificano in questa “scuola” non intendono confutarlo ma semmai confermarlo) tra la scuola austriaca di von Mises e von Hayek, e la elaborazione della c.d. “terza via” di Roepke, cioè l’ordoliberalismo in senso proprio (la distinzione attiene più alle biografie dei rispettivi protagonisti, cioè a fortune politiche e mutevoli sedi di insegnamento accademico, che ad una reale separazione politico-ideologica, come vedremo).
L’ordoliberalismo, infatti, fin dalla sua genesi, si pone come un tentativo linguisticamente e ideologicamente (nel senso della enunciazione dei valori perseguiti) mirato a rendere accettabile la sostanziale realizzazione -o “rivincita”- del liberismo, cioè del “governo del mercato” sull’intera società; e questo era considerato attuabile conservando la facciata del soggetto, lo Stato strutturato, che era visto come la principale interferenza contraria a tale realizzazione.
4) L’avversario
E’ ovvio che, nella fase storica del nazifascismo, questa visione si potè valere, certamente in Germania e, per certi innegabili aspetti in Italia, della coincidenza (transitoria) dello Stato centrale, – l’avversario tout-court di ogni dottrina liberista-, con quanto storicamente manifestatosi nel totalitarismo militarista e guerrafondaio di tale epoca (almeno nei luoghi di nascita dello stesso ordoliberismo).
La legittimazione, addirittura “pacifista“, del liberismo compromissorio (nella sola fase iniziale) e strumentale (data la permanente mira alla restaurazione del modello liberista nella sua sostanza integrale), poté quindi godere di un’ambigua investitura “etica” di opposizione al totalitarismo.
In effetti, però, l’ordoliberalismo al totalitarismo non rimproverava affatto la soppressione di quelle libertà “attive” (contro cui si era sempre mobilitato) che contraddistinguevano la democrazia abbattutadagli stessi totalitarismi: in altri termini, rispetto alla soppressione-negazione (eventuale) dei diritti c.d. sociali (ovvero di tutela del lavoro e del welfare), considerati dai neo-liberisti di ogni “scuola” quali inaccettabili distorsioni del mercato (in particolare e soprattutto, di quello del lavoro), l’ordoliberismo rimaneva in posizione neutra.
La posizione ordoliberista sulla progressiva natura “interventista” dei totalitarismi, poi, divenne inevitabilmente critica, in nome di un indistinto richiamo alla libertà, dato che i “fascismi“, seppure con livelli quantitativi “non inflattivi” e compatibili con l’alleanza organica col capitalismo industriale nazionale, aderirono in vario modo all’idea rinnovata, (post crisi del ’29), dell’erogazione delle “sicurezze” sociali alle masse governate, come pure a quella di una forte presenza pubblica nel settore bancario.
Anzi, questo versante della critica al nazifascismo, è tutt’ora utilizzato dalla parte liberista più ostinatamente (e strumentalmente) ignara delle reali vicende storiche e dei relativi dati economici: estrapolando le politiche sociali dei totalitarismi come elemento caratterizzante principale (se non unico) degli stessi, il neo-liberismo propone la mistificatoria equazione tra i totalitarismi e lo stesso Stato democratico pluriclasse del welfare (si tratta del fenomeno dell’ Antistalismo libertario “liceale“)
5) La legittimazione
Questa confusione – se non altro sulla natura e sulle reali ragioni dell’opposizione del liberismo agli stessi totalitarismi-non può certo dirsi casuale, dato che i totalitarismi fascisti si rivelarono come efficaci rimedi proprio al fallimento dei metodi di controllo sociale in precedenza predicati dall’imperante liberismo, quello dell’epoca del gold-standard, del colonialismo e dell’avversione al “monopolio” sindacale.
Nondimeno, questa militanza oppositiva al nazifascismo, – determinata in ultima analisi dalla (consueta) insofferenza liberista verso mediatori “politici” estranei all’oligarchia liberista, e la cui stessa esistenza attestava la natura fallimentare della società (neo)liberista-, consentì ai liberisti di sedersi al tavolo della “ricostruzione” con un’insperata legittimazione.
Ancorchè, quantomeno in Italia, gli stessi (ordo)liberisti, in sede di Assemblea Costituente, risultassero recessivi; e parliamo proprio degli Einaudi, dei Nitti, e dei vetero-liberisti strettamente connessi, nella loro traiettoria culturale, proprio ai von Hayek-von Mises e ai Roepke.
6) La costruzione europea
Tutti i passaggi finora accennati possono trovare, senza grandi sforzi bibliografici, un’agevole conferma sia storica che contenutistica, nelle vicende e nelle biografie che contrassegnarono i protagonisti prima del dopoguerra (ri-costruzione), poi della stessa “costruzione europea”, nelle sue fasi “comunitarie” e, successivamente “federal-unioniste”.
Per semplificare questa conclusione consigliamo la lettura integrale di questo paper sul principale teorico dell’ordoliberismo e della (apparente) “terza via“, cioè di quella che sarà poi la struttura fondamentale del Trattato di Maastricht. Va peraltro precisato, secondo la stessa letteratura scientifica che ne ricostruisce la vicenda personale e scientifica, che lo stesso Roepke non proponeva la definizione di “terza via” :
“Röpke non disegna una terza via tra l’economia di mercato e l’economia collettivista. Lo dice lui stesso in forma esplicita nel già citato importante scritto del 1961 (L’anticamera del collettivismo): “Chiunque tema il rimprovero d’aver ignorato i segnali della storia mondiale si guarderà bene dal parlare ancora di un “sistema misto”, come se ci fosse una terza possibilità, atta a risparmiare la scelta, spesso scomoda, fra economia di mercato e collettivismo quali principi dell’ordine economico”.
Ma questa esplicitazione semmai conferma la natura “cosmetica” dell’uso del termine “sociale”, accanto a “economia di mercato“, da parte dell’ordoliberalismo e, quindi, degli stessi trattati europei, che tale terminologia pongono al centro della disposizione fondamentale dell’art.3 (par.3) del trattato sull’Unione.
Significativa è stata anche la partecipazione (di R.), nel 1938, al Colloque di Walter Lippman, famoso tra gli intellettuali di indirizzo liberale dell’epoca, nonchè l’incontro con Luigi Einaudi nel 1944, che diventerà un suo grande amico e con il quale condividerà ampiamente il suo pensiero e le sue teorie: sarà Einaudi ad applicare la teoria della “terza via” di Röpke in Italia per la rinascita economica del secondo dopoguerra; ed infine il periodo passato a Graz (1928-1929), dove entra in contatto con la Scuola di economia austriaca, rappresentata da von Hayek e von Mises.
L’Ordoliberalismo nasce quindi come espressione di due scuole di economia: quella austriaca (Friedrich von Hayek, Ludwig von Mises) e quella friburghese (Walter Euken , Eugen von Böhm-Bawerk , Alexander Rüstow e Wilhelm Röpke) rappresentata da eminenti intellettuali, considerati i padri dell’economia sociale di mercato…
…E’ importante precisare che l’Ordoliberalismo ha dato i natali a quella “terza via” che si imponeva come opzione tra il liberalismo economico e la pianificazione economica, generando quello che è oramai conosciuto come “economia sociale di mercato”, dove lo Stato assume un ruolo di regolatore al fine ultimo di realizzare il benessere della società in un contesto di libero mercato attraverso i punti programmatici fondamentali dell’economia sociale di mercato.
Questi punti programmatici, nella versione dei padri fondatori dell’ordoliberalismo, si possono sintetizzare così (poniamo in corsivo la corrispondente “traduzione” in previsioni dei trattati UE):
—> un severo ordinamento monetario (che implica l’adesione al monetarismo ed alla convinzione che l’inflazione sia determinata dall’offerta di moneta);
—> un credito conforme alle norme di concorrenza(che pone l’accento sulla privatizzazione “bancaria” dell’emissione di moneta, che consentirebbe la miglior regolazione dell’offerta monetaria, svincolandola dall’interferenza delle politiche di deficit pubblico);
—> la regolamentazione della concorrenza per scongiurare la formazione di monopoli(nella convinzione che la libera formazione dei prezzi, incluso quello del lavoro, sia indicativa di un inappellabile giudizio di efficienza compiuto dal mercato, nella presunta condizione di concorrenza perfetta dell’offerta, ignorando perciò la prevalente struttura oligopolistica della produzione);
—> una politica tributaria neutrale rispetto alla concorrenza (cosa che aspira alla rinunzia a ogni effetto redistributivo della tassazione, visto come interferenza collettivistica sulla libera iniziativa e competizione economica);
—> una politica che eviti sovvenzioni che alterino la concorrenza (ammettendo politiche settoriali mirate sul solo lato dell’offerta, ed eliminando in radice l’ammissibilità di ogni politica fiscale di sostegno alla domanda);
—> la protezione dell’ambiente (con fissazione di standard tali da agevolare la realtà della grande impresa, capace di sostenere la ricerca, la produzione e i costi privati di tali standards;tale “protezione è inoltrevista come politica sostitutiva della tutela sanitaria pubblica generalizzata, da sostituire progressivamente, con un sistema sanitario assicurativo privato);
—> l’ordinamento territoriale (tale da privilegiare le realtà localistiche per assottigliare la presenza degli Stati nazionali, legati “pericolosamente” alle Costituzioni democratiche “interventiste”, cioè che prevedono il sostegno alla domanda e all’occupazione mediante il welfare);
—> la protezione dei consumatori da truffe negli atti d’acquisto (la tutela del consumatore consente di creare un’apparente protezione della “parte debole”, sostitutiva della tutela legale del lavoro, col fine di svincolarlo dalla tutela del welfare e dalla spesa pubblica relativa).”
7) Trattati europei
Si può dunque senza particolare sforzo riconoscere che questi “punti fondamentali” sono ritrovabili con esattezza quasi compilativa nei trattati sull’Unione Europea; nei loro riflessi IMMANCABILI, in termini di regole dominanti nella società interessata (in pratica, quella dei paesi aderenti all’UEM), questi “punti” avrebbero svolto un ruolo fondamentale nella restaurazione del mercato del lavoro perfettamente flessibile che è, poi, in sostanza, la rivendicazione fondamentale del liberismo.
Al momento in cui, come abbiamo visto sopra, maturarono le condizioni per passare dalla fase difensiva (cioè dalle mere resistenze in sede Costituente e nell’attuazione della Costituzione) alla fase “operativa”, l’ordoliberismo si affidò a uomini come Mitterand, soprattutto, lo stesso Amato e Carli in Italia, Tony Blair, Olof Palme.
Con ciò era saldata, adeguandosi ai tempi – di una minaccia “comunista” che si andava dissolvendo, fino alla caduta del Muro di Berlino-, la tradizione “cristiano-democratica” con quella “socialista-liberale”, essendo la seconda molto più in grado, per la sua pregressa legittimazione pro-welfare, di far accettare con immediatezza il “T.I.N.A.”, il “nuovo mondo”, insito nella restaurazione.
Questa restaurazione, (lo vediamo in questi giorni più che mai), veniva quindi proposta come “nuovo”, reso necessario dalla “globalizzazione” e, in realtà, da una liberalizzazione dei capitali e dei movimenti di forza lavoro, e non solo più delle merci, che veniva simultaneamente propugnata e costruita in sede europea fin dagli anni ’80 del secolo scorso.
Sul piano della comunicazione politico-economica, quindi si è andata creando una sorta di petizione di principio: cioè la causazione artificiale (per via del funzionamento effettivo dei trattati)della situazione di squilibrio economico, e poi di inevitabile crisi, giustifica l’affidamento di eccezionali poteri sovranazionali, erosivo delle sovranità nazionali. Quei poteri di cui parla appunto Amato nell’incipit.
8) La costruzione europea attraverso l’ordoliberismo
Ci sarebbe da interrogarsi sulle mutazioni politico-internazionali che condussero a tale saldatura.
L’auto-proposizione dell’ordoliberismo come “terza via“, (nominalistica e tattica), rese quasi naturale ciò per un processo di “interpolazione“: se occorreva configurare un’alternativa di riequilibrio tra capitalismo sfrenato, divenuto socialmente inaccettabile nell’evoluzione del conflitto di classe nel corso del ‘900, ed ogni forma di economia pianificata e tendente all’inefficiente “collettivismo“, quest’ultimo – via via che si dissolveva, implodendo, il socialismo reale-, finì per essere identificato col modello economico-misto delle Costituzioni democratiche del welfare.
La costruzione europea attraverso l’ordoliberismo, dunque, si rivelò come occasione storica di rigenerazione dei partiti socialdemocratici (o riqualificatisi tali) in funzione antitetica al “costituzionalismo“: si considera eticamente “correct” superare la sovranità costituzionale nazionale in nome della “efficienza” sovranazionale, il “vincolo esterno“. Inizia così, specialmente in Italia, la grande stagione della “revisione” delle Costituzioni del dopoguerra (basate sulla non modificabilità dei principi sottostanti ai diritti sociali).
In generale, in tutta Europa inizia l’offensiva (OCSE-led) delle “riforme“, variamente proposte come soluzioni imposte da una supernorma addirittura sovra-costituzionale. Una proposizione che tende a fardimenticare ogni passato collegamento con il marxismo dei politici che la propugnano e che “nova” la sinistra filo-europea da pro-labor a “progressista“: si crea così una sinistra che viene legittimata, dall’idea di “progresso”, a derogare o a sospendere l’applicazione dei fondamenti costituzionali del dopoguerra.
9) La BCE e le riforme strutturali
Questa conclusione sul ruolo dell’ordoliberismo (alquanto lineare per un osservatore non superficiale) può trovare un’autorevole interpretazione autentica nelle stesse complessive parole di Draghi:
– sia nella qualificazione della natura della BCE:
“In this context, it is worth recalling that the monetary constitution of the ECB is firmly grounded in the principles of ‘ordoliberalism’, particularly two of its central tenets:
–> First, a clear separation of power and objectives between authorities;
–> And second, adherence to the principles of an open market economy with free competition, favouring an efficient allocation of resources.”
– sia nel costante e significativo invito di quest’ultimo all’effettuazione di riforme strutturali che altro che non sono che il completamento del mercato del lavoro perfettamente flessibile, auspicato come “essenza autosufficiente” della rivendicazione liberista.
10) La saldatura della sinistra europea e dei conservatori
E sul punto specifico, poi, non esiste un fondamentale dissenso tra, più o meno rivendicate, posizioni ordoliberiste “di sinistra” e posizioni più prettamente “conservatrici“.
Entrambe condannano la tutela collettiva dei lavoratori, vista sia come miope perseguimento di “interessi sezionali” forieri addirittura del conflitto tra le Nazioni, sia che fosse, come oggi, sanzionata come principale caso di monopolio “avversario” del funzionamento del magico “sistema dei prezzi” di mercato, tanto più se legittimato dal deprecato riconoscimento normativo dello Stato.
E che questo disegno abbia, per l’Europa, utilizzato come perno la “costruzione federalista” – salvo poi rinnegarlanei fatti, ma nel modo tecnico-paludato e mimetico dei trattati, -, è un fatto storico su cui, il crescendo culminato nei fatti odierni, non dovrebbe lasciare più alcun dubbio.
11) Svuotare dall’interno la democrazia, conservandone le istituzioni
L’ordoliberismo, quindi, per la sua natura tattica (cioè di compromesso o “terza via”, abilmente propagandati, per rendere accettabili i suoi fini ultimi) è uno strumento ideologico-politico più efficace della dura teorizzazione anti-keynesiana e darwinista-sociale di Hayek, perlomeno assunta al suo stato più puro: questi è portato ad ammettere apertamente la preferenza per la dittatura rispetto ad una democrazia (evidentemente “sociale”, cioè pluriclasse e non oligarchica) che ostacoli la Grande Società del mercato.
L’ordoliberismo, invece, svuota gradualmente dall’interno la democrazia, predicando il riduzionismo “idraulico-sanitario” della democrazia già definito da Hayek, ma preferendo farlo in una cornice di apparente conservazione del quadro istituzionale.
Cioè, attraverso la mitologia tecnocratica dell’UE, l’ordoliberismo consente lo svuotamento della democrazia sostanziale (“necessitata“) del secondo dopoguerra, con un’alternanza di gradualità ed accelerazioni, sostenute da una forte cornice moralistica, ma tutta e sempre diretta solo contro lo Stato, portatore di sprechi e corruzione, e mai contro il settore finanziario e della grande impresa.
Questa proclamazione “moralistica” fa “assomigliare” l’ordoliberismo all’ordinamento democratico, naturalmente imperniato su valori solidaristico-umanistici, eliminando così, almeno ad un primo impatto, il senso di minaccia per le comunità sociali coinvolte.
Almeno fino a quando la minaccia non sia stata tradotta in un risultato acquisito ed irreversibile: la disarticolazione dell’azione pubblica a favore dell’interesse generale di tutti i cittadini, nell’obiettivo di realizzare l’eguaglianza sostanziale (e non solo formale, cioè che prescinde dalle divergenti condizioni sociali di partenza dei diversi individui). Il che ci riporta direttamente al “metodo” teorizzato da Giuliano Amato all’inizio di questa trattazione .
Ma ciò conferma anche il significato dello “stile” della tecnocrazia rivestita da slogan moralistici (pop), quale ci descrive il famoso brocardo di Juncker, che riassume in tutta la sua efficienza la tattica politica ordoliberista:
“Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo un po’ per vedere cosa succede. Se non provoca proteste né rivolte, perché la gente non capisce niente di cosa è stato deciso, andiamo avanti fino al punto di non ritorno” (Jean-Claude Juncker, Presidente gruppo ministri finanze Unione Europea)
Fonte: https://www.sinistrainrete.info/europa/9610-luciano-barra-caracciolo-ordoliberismo-ed-uro.html
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