Il giorno dopo
Nonostante il trionfo al ballottaggio, i numeri mostrano che Macron ha scarsi consensi al suo progetto di deflazione salariale. Egli tenterà di accrescere la sua base elettorale attingendo dalla destra e dalla sinistra, ma ogni suo movimento potrebbe condurre a risultati che rafforzano le ali estreme dello schieramento politico francese. Lo scenario su cui dovrà agire sarà reso ancora più impervio dalla refrattarietà dei poteri della UE a transigere sulle riforme ‘di cui la Francia ha bisogno’.
L’articolo originale è reperibile con il seguente collegamento
http://russeurope.hypotheses.org/5997
Traduzione di Paolo Di Remigio
Il giorno dopo
di Jacques Sapir
Emmanuel Macron è stato eletto con una larga maggioranza dei voti espressi il 7 maggio, cioè praticamente con il 66,1% dei “votanti”. È arrivato a un risultato impressionante in percentuale, ma che è anche un risultato ingannevole. È stato detto in numerosi commenti. Ora che sono disponibili i numeri definitivi del secondo turno delle elezioni presidenziali, conviene fare un bilancio più preciso di quello che è accaduto. È anche il momento di pensare al futuro. Dopo le emozioni, finte o reali, delle elezioni presidenziali, è venuto il momento del giorno dopo.
I risultati del secondo turno
Arrivando dopo il tuono del primo turno che ha visto la politica francese passare dal bipartitismo, o dal tripartitismo, al quadripartitismo, anche il secondo turno riserva la sua dose di sorpresa. Conviene analizzare più precisamente la distribuzione di questo voto. La rilevanza del numero delle astensioni e dei voti “bianchi o nulli” riduce in effetti il risultato di Macron al 43% degli iscritti. Del resto si noterà l’importanza delle astensioni e delle schede bianche che, sommate, rappresentano quasi 31,8% degli iscritti.
TAVOLA 1 | |
In percentuale degli iscritti | |
Macron | 43,63% |
Le Pen | 22,38% |
Astensioni | 25,44% |
Bianche | 6,35% |
Nulle | 2,21% |
Si impone una prima constatazione: il risultato di Emmanuel Macron non è affatto impressionante. Si è a mille miglia dal “maremoto” descritto dalla stampa. Invece, il fatto che egli registri quasi il doppio di voti più della sua avversaria va sottolineato. Questo rapporto va messo in parallelo con quello ottenuto nel 2002 da Jacques Chirac in una elezione presidenziale in cui, già allora, un candidato del Fronte Nazionale era al secondo turno. Jacques Chirac, bisogna ricordarlo, era presidente uscente. Si ripresentava dopo il settennato che aveva compiuto in seguito alle elezioni presidenziali del 1995. Inoltre aveva realizzato un risultato pessimo nel primo turno delle elezioni del 2002. In teoria era assai mal posizionato per realizzare un risultato eclatante nel secondo turno delle elezioni, perfino se le adesioni fossero affluite da ogni parte.
In questo caso molto particolare, Jacques Chirac ottenne tuttavia il suffragio del 62% degli iscritti. In 15 anni, tra le elezioni di Jacques Chirac e quelle di Emmanuel Macron, si è aperto uno scarto di 19 punti. Questo scarto è molto significativo. Mostra che si è avuto perlopiù un voto per défault. I sondaggi, presi con precauzione, indicano che solo il 41% delle persone che hanno scelto il voto per Macron approvano il suo programma. Un sondaggio di Louis Harris lo conferma. Questo sondaggio riguarda gli elettori che hanno votato sia per Emmanuel Macron sia per Marine Le Pen.
TAVOLA 2 | ||
Grado di approvazione del programma di ogni candidato |
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Aderente al progetto | Non aderente al progetto | |
Macron | 41% | 59% |
Le Pen | 60% | 40% |
In proporzione degli iscritti | ||
Macron | 17,9% | 25,7% |
Le Pen | 13,4% | 9,0% |
Fonte: Harris Interactive
Se si confrontano questi risultati con quelli delle elezioni del 2012, in cui al secondo turno François Hollande aveva riunito sotto il suo nome quasi il 42,5% degli iscritti, e il 55% dei suoi elettori si dichiaravano persuasi (più o meno) del suo programma, allora c’erano il 23,3% degli iscritti che si potevano definire “aderenti al progetto” di François Hollande, da confrontare al 17, 9% di Emmanuel Macron. Ciò non ha impedito a François Hollande di essere uno dei peggiori presidenti della storia francese dal 1873.
Ciò porta dunque a relativizzare non tanto la vittoria stessa Emmanuel Macron, che è indiscutibile, quanto la portata e il significato di questa vittoria.
La strategia elettorale di Emmanuel Macron
Per il momento perdurano le fratture del primo turno. E peseranno molto nelle prossime elezioni legislative. Già da ora si può scorgere la strategia di Emmanuel Macron su questo punto: cercherà di rompere I Repubblicani, finendo di prosciugare il P “S”. Ma questo rischia di rivelarsi contraddittorio. Ogni passo che farà in direzione dei “Repubblicani” farà aumentare gli antagonismi alla sua sinistra. Ora poiché l’atto di morte del P”S” è difatti attuato con l’adesione a Macron subito offerta da tenori alla ricerca di voce come Manuel Valls, diventa possibile a Jean-Luc Mélenchon guadagnarsi il consenso di una buona parte degli elettori che si erano portati su Benoît Hamon al primo turno. In ogni caso non è detto che la strategia elettorale di Emmanuel Macron funzioni. Così alle legislative si potrebbe trovare una Francia segmentata in quattro, ma con un polo a sinistra più forte di quanto fosse al primo turno. E se anche funzionasse, questa strategia rischierebbe di prendere l’aspetto di una pesante sbobba elettorale che provocherebbe un conato di vomito nella maggioranza degli elettori. In questo caso, si avrebbe una tripartizione della vita politica francese, ma l’esplosione della destra tradizionale non accadrebbe senza conseguenze, e potrebbe rafforzare il partito che sarà nato dal Fronte Nazionale. Proprio questo è il dilemma nel quale si trova Emmanuel Macron: deve darsi da fare per provocare l’esplosione della destra tradizionale, ma con il rischio di provocare il passaggio di ciò che resta dell’elettorato di sinistra nel P « S » verso Jean-Luc Mélenchon, e di provocare il passaggio di una parte dell’elettorato di destra verso Marine Le Pen.
Quest’ultima mostra l’intenzione di far evolvere il Fronte Nazionale. Se questa evoluzione dovesse limitarsi a un cambiamento di nome, l’effetto che ella se ne potrebbe attendere sarebbe molto limitato. Ella ha pagato ad alto prezzo i voltafaccia di fine campagna e un dibattito esecrabile. Infatti, lanciata su una dinamica chiaramente ascendente dopo il primo turno, quando le intenzioni di voto la ponevano al 38%, era giunta in qualche giorno al 42%. Da quest’altezza è ricaduta al 34% la sera del secondo turno. Si può valutare che abbia perduto almeno 2 milioni e mezzo di voti per le sue tergiversazioni e le sue palinodie su argomenti della più grande importanza come la questione dell’uscita dall’euro o la questione dell’età di inizio pensione. Resta da capire se l’elettorato conserverà nella memoria la pessima immagine che ella ha dato nell’ultima settimana di campagna. Se così dovesse essere, la capacità di attirare elettori dei Repubblicani per le elezioni legislative ne sarebbe alterata.
Quanto a Jean-Luc Mélenchon, egli può non arrossire per la sua campagna del primo turno, in cui si è battuto come un diavolo contro una stampa estremamente ostile, che non ha esitato a snaturare e ridicolizzare le sue posizioni. Il suo atteggiamento per il secondo turno, a dispetto di pressioni vergognose, è stato un successo. Ma le divergenze che oggi esistono tra la France Insoumise e l’apparato del PCF, gli accordi e i piccoli espedienti dell’ultima ora, peseranno sfortunatamente non solo sulla campagna ma sui risultati.
La posta in gioco delle legislative
Oramai si vede bene che la questione principale delle prossime legislative sarà sapere se il partito di Emmanuel Macron, la cui strategia è oggi a un passo dal chiarirsi, arrivi alla maggioranza assoluta dei deputati oppure possa arrivare a questa stessa maggioranza al prezzo di un’alleanza con ciò che sopravvive del P « S ». È una questione essenziale. Se ottiene una maggioranza assoluta in parlamento, Emmanuel Macron potrà mettere in opera attraverso il meccanismo delle ordinanze il suo progetto economico: un abbassamento dei costi salariali di circa il 20% per restituire la competitività che manca alla Francia a causa dell’esistenza dell’euro. Infatti questo abbassamento dei salari, che sarà ottenuto o direttamente o indirettamente con la distruzione del codice del lavoro e con il trasferimento sull’imposta delle riduzioni dei contributi sociali, corrisponde allo scarto dei salari reali qual è stabilito dal Fondo Monetario Internazionale. Ciò provocherà un’esplosione delle ineguaglianze e un rafforzamento del potere sociale dei più ricchi e dei più potenti.
Proprio qui è la posta in gioco nascosta di queste prossime elezioni legislative. E non è la sola. L’impegno europeo di Emmanuel Macron, che durante la campagna si era impegnato a “rifondare” l’Europa, urta con l’atteggiamento della Commissione Europea, ma anche con quello dei dirigenti tedeschi. Egli non avrà alternative e dovrà scegliere tra la battaglia, che gli ripugna, e il subire nuove perdite di sovranità. Nelle prossime settimane si vedrà senza dubbio la sua personalità svelarsi su questo punto.
È per questo che è particolarmente importante che il partito di Emmanuel Macron non ottenga, né da vicino né da lontano, la maggioranza al Parlamento. Ciò non risolverà i problemi, ma impedirà almeno che siano prese misure nocive e distruttrici.
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