Io sono cattocomunista
di Gianluca Bifolchi Subecumene
Decisamente io devo essere un cattocomunista, e anche della specie più “vetero” e ottusa. Sono ateo e non voglio il crocifisso negli edifici pubblici, ma quando sentite i liberali, la destra, e i “riformisti” che pronunciano la parola “cattocomunista” come se fosse un insulto, sappiate che è proprio a quelli come me che si rivolgono.
Avete presente l’attacco di Giovanardi all’Ikea per il cartellone con i due uomini che si tengono per mano? Avete presente gli insulti omofobi a Roma alla senatrice Concia e alla sua compagna? Come avete reagito voi? Probabilmente con indignazione; probabilmente avete sentito il bisogno di urlare la vostra protesta.
Questo perché siete più evoluti di me dal punto di vista dei diritti e delle libertà civili. Sì, perché la mia reazione è stata una bella dose di indifferenza e freddezza. Anzi, direi che non me ne è importato un fico secco.
Non che io non veda in Giovanardi una via di mezzo tra l’uomo di Neanderthal e il Tartufo di Moliere. Non che da un punto di vista puramente teorico e intellettuale mi sfugga l’importanza di una legislazione civile che elimini la discriminazione omofoba. Il problema è che mentre voi che siete più evoluti di me riuscite a investire su questi temi anche una considerevole dose di passione, la mia partecipazione a queste diatribe è tiepida e poco convinta.
L’ho detto, sono cattocomunista. Le mie priorità sono fuori moda, poco in linea con il sentire della cosiddetta “cultura laica” italiana.
La Chiesa cattolica ha espresso sconcerto per la rapidità con cui l’Europa si è trovata d’accordo nell’andare a bombardare la Libia proprio mentre i governi si impegolavano in un litigio tra loro sulla responsabilità di dare accoglienza a qualche migliaio di migranti provenienti dalla zone di bombardamento. La Chiesa cattolica ha appena espresso l’invito a un cessate il fuoco in Libia. La Chiesa cattolica è anche l’organizzazione che in questi anni si è maggiormente esposta nel contrastare gli imprenditori della paura che cercavano di capitalizzare nelle urne elettorali gli inevitabili attriti che un fenomeno immigratorio produce nei paesi ospitanti.
Considerate invece questi laicisti del cazzo (uso poco il turpiloquio, ma qui sento qualcosa che trabocca e che non voglio tenermi dentro). Se gli toccano Ikea o le parlamentari lesbiche reagiscono con riflesso rotuleo e tirano fuori tutto il formulario dell’indignazione liberaldemocratica. Sono veramente bravi e preparati nel pronunciare tutte le frasette giuste che il caso richiede. Un mese fa, però, queste persone stavano inneggiando all’intervento umanitario in Libia e non gli sembrava vero di avere questa luminosa occasione per esercitare la loro preziosa “responsabilità di proteggere”. Guardateli ora nel loro vigliacco silenzio, mentre il disastro libico si dispiega sotto i loro occhi (mi riferisco soprattutto ai “sinistri”). Chiunque non avesse l’intelletto ottenebrato dai mille opportunismi e dalle mille ipocrisie caratteristici della loro condizione di professionisti della politica o del giornalismo avrebbe potuto capire in base ai precedenti e all’analisi delle motivazioni dei “liberatori” che l’”intervento umanitario” era una sciagura per la Libia (ve lo ricordate il Barack Obama di “E’ una questione di giorni, non settimane”?). Che i Tomahawk fiocchino su Tripoli, tra la Concia e Giovanardi chi ha tempo da perdere con queste minuzie?
E Pomigliano? C’è ancora qualcuno che dubita, con la cronaca finanziaria che ci racconta la scalata di Marchionne alla Chrysler, che la Fiat ha interessi zero verso Italia? Che arriverà prima o poi il momento della liquidazione degli asset italiani e che verrà conservato solo ciò che non dà grattacapi dal punto di vista delle relazioni industriali (cioè gli stabilimenti cinesizzati)? All’epoca del referendum i tizi di cui sopra si dividevano in due schiere: chi era dalla parte di Marchionne e chi cercava di apparire con il piede in due staffe. Però se qualcuno propone una legge sulle quote rosa nei consigli di amministrazione delle imprese, eccoli li tutti pronti a ingaggiare questa grande battaglia di civiltà per le pari opportunità tra i top manager (a proposito, se proprio crediamo in questa cosa delle quote rosa non sarebbe meglio cominciare dalla burocrazia statale?).
L’idealismo dei giorni nostri, quello alla moda, si basa su un meccanismo selettivo che esclude tutto ciò che ha costi politici o impone una rimessa in discussione degli interessi consolidati. Naturalmente però l’elite al potere deve pur dividersi su qualcosa e fare finta di tenerci parecchio. La campagna per i diritti gay e lesbo cade come il cacio sui maccheroni. Dai toni appassionati che capita di sentire in queste diatribe la gente è portata a credere che sono queste le cose veramente importanti, e che tutto ciò che rimane sotto un cono d’ombra evidentemente non merita attenzione.
Io sono un cattocomunista e se mi chiedete di scegliere fra la Chiesa cattolica e la grande cultura laica italiana… io mi appello al Quinto Emendamento.
I pronunciamenti della Chiesa cattolica sono capolavori di cautela, Ci sarebbe bisogno di profeti urlanti di indignazione, che ci afferassero le spalle e ci scuotessero, invece abbiamo solo dei preti che emettono belati. Tuttavia l'intenzione di Bifolchi non è l'elogio della Chiesa ma la denuncia di una cultura laico-liberal-social-democratica che merita il suo e nostro disprezzo.
Basta che qualcosa faccia notizia e tutti bravi ad accodarsi al capo del trenino per fare il loro giro in bella mostra, se invece la notizia è scomoda, vedi Fiat, tutti a nascondersi, far finta di niente, nascondere il sudicio come fanno i gatti, nella speranza che venga dimenticato, che si arrivi a un "ormai è fatto! non possiamo farci più nulla!" e addirittura disegnare un passato ben peggiore di quanto fosse realmente per far vedere che ora è meglio, adesso abbiamo risolto. Orwell dovrebbe essere letto obbligatoriamente a scuola, se conosci impari a difenderti.
Caro Leonardo, benvenuto. Spero che l'incontro sull'autobus ti abbia offerto buone letture.
Ciao