Quale Liberazione
Che senso hanno le ricorrenze?
Una ricorrenza si celebra per contrastare l'usura che lo scorrere del tempo esercita sulla memoria. La memoria è sempre memoria di un determinato evento storico, un evento che, per qualche ragione, si pensa abbia qualcosa da insegnare ai contemporanei. L'evento storico diventa, così, un riferimento, un modello, una guida per l'azione. Questo modello viene propugnato, inevitabilmente, dall'alto. E' difficile che una comunità grande ed eterogenea come un popolo celebri una ricorrenza spontaneamente, come se il sentimento fiorisse in milioni di cuori simultaneamente; in genere sono le autorità che organizzano e stimolano il ricordo e le manifestazioni di quel ricordo. Si potrebbe pensare, ingenuamente, che la prima ad adattarsi al modello, e ad accogliere la lezione che l'evento storico commemorato offre, sia proprio l'autorità; dopotutto è quest'ultima che si prende il disturbo di promuovere la celebrazione, di diffonderne il messaggio, di organizzare fanfare e orazioni. Questo è il suggerimento della logica, ma la logica è assolutamente inadeguata a comprendere un paese come l'Italia.
Guardo le immagini del palco delle autorità al Vittoriano. I signori ministri e i valorosi generali cingono come una corona S.E. il Presidente della Repubblica. Di fronte, il reparto d'onore dell'Arma dei Carabinieri, e altri corpi scelti dell'esercito professionale; ai lati, i parenti e le famiglie dei militari, intenti a sbadigliare, grattarsi le narici e commemorare il giorno della Liberazione.
Il ministro della Difesa prende la parola, e ricorda l'impegno per la Pace e la Democrazia della nostra amata Italia, oggi come ieri. Impegno per la Pace e la Democrazia che si sostanzia, nelle parole del ministro, nella permanenza di oltre diecimila nostri soldati in territori esteri, in piena sintonia con l'onorevole presidente della camera dei deputati il quale, recatosi in uno di quei territori, suggerisce una equivalenza tra i partigiani e gli odierni "volontari della libertà".
Ecco un fatto degno di essere filosoficamente interrogato. Un paese che celebra la liberazione da una occupazione straniera partecipando all'occupazione di terre straniere. Se al quadro aggiungiamo che il paese in questione si trova tutt'ora sotto occupazione da parte di una potenza straniera, si avverte immediatamente il bisogno di essere soccorsi da un robusto senso dell'umorismo.
Qui non siamo in presenza di una contraddizione tra parole e fatti, così tipica tra i politicanti mediocri, ma tra parole e fatti e quello che si pretende essere il momento fondativo della nostra comunità nazionale. La retorica di questo 25 aprile, come di tutti quelli degli ultimi anni, tenta di tenere assieme i due poli di una immensa contraddizione: da una parte l'immagine di un paese che si libera dalla morsa dell'imperialismo, e dall'altra la realtà di una potenza di medio rango che partecipa a savariate avventure imperialistiche. Questo tentativo può riuscire solo al prezzo, salatissimo, dello smarrimento di ogni pathos dalla celebrazione, di ogni afflato che non sia quello della contingente lotta tra fazioni. In quanto tale, la ricorrenza del 25 aprile è oggi forse la più inautentica tra quelle che caratterizzano il nostro calendario isituzionale; molto più insincera, di sicuro, di quella da poco re-istituita del 4 novembre, dove le autorità della potenza di medio rango rivendicano con orgoglio (genuino!) la partecipazione al grande macello inter-imperialistico del '15-18.
Non è però l'ipocrisia sopra descritta a costituire l'essenza dell'odierno sfacelo: essa è infatti rappresentata non dall'immonda trasfigurazione "partigiani"-"alpini in Afghanistan", ma dalla mancata rivolta di chi dovrebbe preservare incontaminata la memoria dei caduti della Resistenza. Sto parlando degli eredi di quello che fu l'asse portante della guerra di Liberazione, e cioè il movimento comunista. Il 25 aprile non è mai stata, come si dice con stucchevole retorica, la "festa di tutti", ma sempre la festa di una parte, quella che ha vinto. Per divenire davvero la "festa di tutti" quella parte, trionfatrice in guerra, avrebbe dovuto ripetere il risulato nelle urne (in un altro giorno di aprile, precisamente il 18). Ai militanti di quella parte, dunque, è stato devoluto il mantenimento del senso vero del 25 aprile. Eppure, non solo gli eredi del comunismo non si ribellano al compelto svuotamento della ricorrenza, ma anzi sono all'avanguardia di quello svuotamento. Il marasma ideologico della sinistra produce aberrazioni, come l'analogia, proposta oggi in piazza a Milano, tra il rais Gheddafi e il rais Berlusconi (entrambi da abbattere), oppure l'acritica accoglienza riservata, in corteo, alla delegazione "Amici di Israele" (ma non era da un imperialismo razzista che Milano si è sollevata?), o ancora, visto la sera a Blob, l'inverecondo parallelo tra resistenti italiani e "resistenti" cirenaici…
Il 25 aprile non è solo il giorno simbolo della liberazione armata della parte settentrionale della nostra Patria, ma è anche un frammento del grandioso sconvolgimento dell'ordine coloniale e oppressivo del mondo, diretto all' emancipazione di popoli e classi, un movimento storico che vede nella distruzione del Terzo Reich ad opera dell'Armata Rossa il suo apogeo, e negli eventi degli anni '60 e '70 le sue estreme propaggini.
Oggi, con il nostro paese occupato e asservito, il lavoro alla mercé impunita del capitale, e l'egemonia oppressiva degli USA ancora lontana dal venire meno, le persone che hanno conservato il raziocinio non possono che ammettere l'amara realtà: i partigiani, la Resistenza, le gloriose brigate Garibaldi, i GAP, il diciottenne che perse la vita in combattimento e e che ancora oggi dà il nome alla via in cui abito, sono stati sconfitti, e i loro nemici hanno vinto.
Che il 25 aprile, da pretesto per il vaniloquio insultante dei vari Napolitano, diventi occasione di riflettere su come riscattare la preziosa eredità di coloro che diedero la vita per la Libertà e l'Emancipazione.
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