Sciopero SDA e ruolo strategico della logistica
di SINISTRA IN RETE (Carmine Tomeo)
Le lotte della logistica stanno scoprendo la zona franca che il padronato sta costruendo. Occorre un nuovo approccio strategico di lotta a partire dalla logistica
“Zitto e lavora!”
“Mandateli a casa sti asini!”, “Io giuro che vi darei tante di quelle legnate”; “se per caso per colpa degli scioperi l’appalto in sda và a puttane e mi ritrovo per strada io tiro fuori il 357magnum dalla cassaforte e vi vengo a prendere a uno a uno”. Sono alcuni commenti che si possono leggere sui social nei post che raccontano la vertenza in corso alla SDA di Carpiano, in provincia di Milano. Una avversione alimentata anche dai giornali nazionali e dalle posizioni politiche che nascondendosi dietro un finto buon senso, manifestano ostilità nei confronti dello sciopero del sindacato di base.
Il quotidiano Libero, lo scorso 24 settembre titolava “Oddio, adesso scioperano anche gli immigrati”. Con quel titolo, Libero, sintesi della peggiore destra liberista e della peggiore destra reazionaria, si scagliava contro lo sciopero dei lavoratori SDA che non accettano l’imposizione di cambi d’appalto utilizzati per azzerare i diritti dei lavoratori e fare maggiori profitti sul peggioramento delle condizioni di lavoro.
Quel titolo si legge come: “Già lo sciopero è odioso quando lo fanno gli italiani, ma quando lo fanno gli immigrati è pure peggio”. Perché secondo la logica sottesa un immigrato dovrebbe ringraziare e abbassare la testa, stare buono buono, accettare le condizioni di sfruttamento. Che non è diverso (se non a volte nell’intensità dell’attacco, ma non nella logica di fondo) dalla considerazione per cui un lavoratore non dovrebbe lamentarsi, ma semmai essere grato all’impresa che lo fa lavorare e che, specie in periodo di crisi, lo paga pure. “Oddio, adesso scioperano anche gli immigrati”, produce lo stesso disgraziato concetto di un “Hai un lavoro ed hai il coraggio di lamentarti?”.
La fatica del lavoro nella logistica
La logistica è esternalizzazione di una parte del processo di valorizzazione del capitale e perciò risponde allo stesso meccanismo di compressione dei costi, intensificazione dei ritmi ed in sostanza, di aumento dello sfruttamento per estrarre maggiore plusvalore. In termini pratici, nella logistica si notano, praticamente senza troppi filtri, quei rapporti di produzione che impongono lavori massacranti, con ritmi estenuanti, riduzione dei diritti e salari bassi. Oltre ad essere uno dei settori in cui più pressante è l’attacco al diritto di sciopero. Finché, appunto, i lavoratori, specie se consapevoli del ruolo strategico che la logistica ha assunto nel processo di valorizzazione del capitale, non si organizzano per lottare contro quelle condizioni di lavoro così vicine alla schiavitù. Ed è quello che sta avvenendo anche nell’Hub di Carpiano.
Qui ci sono circa 400 lavoratori, di cui 365 a tempo indeterminato. Già nel 2011 ci fu un’importante lotta del sindacato di base SI.Cobas che ha permesso l’applicazione integrale dei CCNL. Migliori condizioni di lavoro furono poi ottenute nel 2015 con una battaglia sindacale che aveva rigettato il cosiddetto accordo ribalta (che prevedeva penalizzazioni salariali in cambio di una finta stabilizzazione lavorativa) ottenendo miglioramenti del CCNL, ad esempio con integrazioni per la malattia e introduzione di passaggi automatici di livello. Dal 2016 nel sito SDA di Carpiano entrano 43 lavoratori con contratto a tempo determinato, con scadenza alla fine del 2017 e che il 4 settembre il Consorzio Progresso Logistico (CPL, che ha gestito fino a pochi giorni fa la piattaforma logistica di Carpiano) ha deciso di sospendere dalle attività. Ѐ a questo punto che i sindacati entrano in sciopero, che SI.Cobas sta portando avanti da solo dopo l’accordo firmato da SolCobas.
Le agitazioni sindacali all’SDA di Carpiano
Pochi giorni dopo l’inizio delle agitazioni, SDA annuncia l’estromissione di CPL e l’affidamento con gara urgente per la gestione dell’Hub al consorzio Ucsa. Un’operazione che non è affatto nuova, soprattutto nel settore della logistica e che il Jobs act ha reso ancora più appetibile per il padronato, dove i cambi d’appalto sono di solito usati per abbattere le tutele dei lavoratori, ridurre i costi con attacchi ai salari e per intensificare i ritmi di lavoro. Una operazione unilaterale da parte di SDA, tanto che CPL considera “illegittimo il cambio di fornitore”, parlando di una relazione contrattuale “arbitrariamente interrotta”. Una operazione da parte di SDA che determina un immediato cambio d’appalto per la gestione della piattaforma logistica di Carpiano.
Ѐ a questo punto che avviene la rottura sindacale tra SolCobas, che firma un accordo con il nuovo gestore, Ucsa ed il SI.Cobas, che definisce quell’accordo un “bidone”. Un accordo che, stando a quanto riporta il SI.Cobas, da un lato introduce (ma solo sulla carta) un premio di risultato di poca entità, ma che non accenna a criteri con i quali il premio verrà corrisposto. Il rischio per i lavoratori è di vedersi imporre per questa strada nuovi aumenti dei ritmi di lavoro. Ma soprattutto, l’accordo non prevede la non applicazione del Jobs act. Si tratta, chiaramente, di un punto fondamentale perché attiene esattamente alla strategia aziendale di abbassare le tutele sindacali, ridurre i salari, facilitare i licenziamenti e per questa via minare la capacità di lotta del sindacato. Non può bastare, ovviamente, un comunicato dell’Ucsa che rassicura in tal senso, avendo quel comunicato il valore di una intesa scritta sulla neve che può sciogliersi al caldo delle lotte sindacali. Né può bastare a far accettare un accordo su queste basi la considerazione per cui si stanno così garantendo i 43 lavoratori a tempo determinato, dal momento che di fatto quell’accordo rende precari tutti i lavoratori, anche chi oggi è assunto con contratto a tempo indeterminato. Il risultato, alla fine, è stato la rottura del fronte di lotta del sindacato di base, ovviamente favorevole a SDA e auspicato anche dal governo e da chi lo sostiene.
Prove generali di corporativismo
Il senatore del PD, Stefano Esposito nei giorni scorsi ha chiesto nella Commissione Trasporti del Senato un’audizione urgente dei vertici di Poste. SDA, infatti, fa parte del gruppo Poste Italiane per la gestione della logistica, della distribuzione e della vendita a distanza ed è controllato dal Ministero dell’Economia. Ѐ evidente, quindi, la preoccupazione che lo sciopero del sindacato di classe sta portando dentro le stanze del governo. I timori di Esposito sono dovuti al fatto che “Sda Express cura le spedizioni di aziende importanti, a partire da Amazon, in un settore in cui ritardi e carenze sono puniti dal mercato”. E non ci si può permettere di deludere un colosso del commercio e della distribuzione che pare interessato all’acquisizione di un operatore di trasporti capace di rendere competitivo il colosso dell’e-commerce nelle consegne dell’ultimo miglio, importante nodo della catena logistica. E tra i candidati pare esserci proprio SDA. Ovviamente, ad un gigante commerciale conosciuto per il grado di sfruttamento dei propri dipendenti non risulterebbe troppo appetibile un’azienda con un alto livello conflittuale dei lavoratori.
Ecco quindi che parte, come al solito, il divide et impera. Ecco, quindi, di nuovo Esposito che si appella al ministro Minniti (lo “sbirro”, com’è stato definito da Gino Strada per la sua guerra alle categorie sociali più fragili) perché intervenga, dal momento che “La situazione all’interno dell’azienda è di una guerra tra poveri, tra i lavoratori che vogliono continuare ad astenersi dal lavoro e chi invece teme per il futuro e vuole riprendere”. Sarebbe comico, se già non fosse grottesco, sentire un esponente del PD chiedere di evitare una guerra tra poveri, dopo che il suo partito ha contribuito in maniera determinante a mettere nelle mani del padronato gli strumenti legislativi per mettere i lavoratori gli uni contro gli altri. E dopo che quello stesso partito al governo con la destra, ha contribuito a costruire e ad alimentare una artificiosa tensione tra lavoratori giovani e anziani, tra italiani e immigrati, tra chi ha un contratto a tempo indeterminato e chi è precario.
Nello stesso tempo SDA, con un comunicato stampa, sostiene che lo sciopero “mette a repentaglio il lavoro di migliaia di maestranze dirette e indirette dell’indotto dell’e-commerce”, a cui “si aggiunge il danno diretto per i cittadini ed imprese che riceveranno in forte ritardo la consegna dei pacchi a loro destinati”. Fino ad arrivare a quelle che appaiono dirette intimidazioni ai lavoratori che esercitano il diritto di sciopero, attraverso denunce da parte dell’azienda alle competenti Procure della Repubblica.
Una soluzione dalla quale non ha purtroppo preso le distanze nemmeno la Filt Cgil, che lo scorso 27 settembre ha avuto un incontro presso la Fedit (Federazione dei Trasportatori) con il responsabile delle relazioni sindacali di SDA, Cocchiaro. In quella sede la Filt Cgil, senza risparmiare attacchi a quelle che definisce “sedicenti realtà sindacali”, ha “proposto alla direzione di SDA (che si è riservata di dare risposta dopo aver sentito l’amministratore delegato) di richiedere congiuntamente un incontro urgente ai Ministri dell’Interno, del Lavoro e dello Sviluppo economico per affrontare le tematiche della legalità e dell’ordine pubblico” rispetto alle vicende in corso. Fa specie che analoghe proposte non siano state fatte circa i cambi d’appalto, rispetto ai quali è stato sommessamente “chiesto ad SDA un radicale cambio di passo in tema di appalti”, pur sottolineando che le attuali condizioni di difficoltà dei lavoratori “sono il frutto di una politica degli appalti al massimo ribasso”.
La solidarietà delle organizzazioni di base dei lavoratori
Nel frattempo, invece, arriva la solidarietà di diverse organizzazioni di base dei lavoratori, soprattutto dopo il vile attacco squadristico che i lavoratori in sciopero hanno subito. Pochi giorni dopo il vergognoso titolo di Libero, i lavoratori in sciopero hanno subito un attacco violento da parte di una squadraccia armata di bastoni e coltelli. Una azione tipicamente fascista, che ha provocato feriti tra i lavoratori ma che gli stessi hanno prontamente respinto. Un’aggressione oggi come allora favorita e tollerata dalla borghesia perbene che rinnova il linguaggio e le pretese corporativiste. Non si è notata, tra esponenti politici e sui giornali, una condanna dell’episodio portata con la stessa premura con cui invece era stata incitata una smobilitazione forzata del presidio dei lavoratori in sciopero.
L’USB di Melfi, che in solidarietà ai facchini SDA di Carpiano ha indetto un’ora di sciopero in tutto lo stabilimento FCA, in un comunicato afferma che “In altri tempi avremmo chiesto alle istituzioni di intervenire per fare giustizia ma la realtà è che i veri responsabili di quanto accade oggi in Italia sono da cercare proprio nelle istituzioni”. E per quanto riguarda l’episodio squadrista, le responsabilità sarebbero da cercare anche altrove: a detta del SI.Cobas si è trattata “di una aggressione organizzata e preannunciata da qualche giorno sulla lista chiusa di Facebook “SDA Express Courier”, nella quale sono presenti anche dirigenti e capi SDA, oltre a padroncini di furgone, con un forte livore razzista contro gli immigrati e contro le lotte operaie e i cobas (uno di loro ha la foto di Mussolini sul proprio profilo), e provenienti da diverse province, soprattutto del Sud e del Centro”.
Lo spartiacque nella gestione del conflitto
Non si tratta della prima volta. Una incursione del genere c’era stata anche due anni fa: il 19 maggio 2015 una squadraccia di picchiatori si scaglia contro lavoratori SDA. Uno rimane gravemente ferito. Ma per i lavoratori, maltrattati e malpagati, inizia una stagione di scioperi, di consapevolezza della propria condizione e della necessità di lottare per cambiarla: “Prima ci trattavano (metaforicamente) con i bastoni, eravamo maltrattati, adesso va meglio. È cambiato tutto con gli scioperi. Al magazzino Sda siamo in 150, circa 50 eritrei (di cui alcuni da Piazza Indipendenza) e 70 italiani”, affermava un lavoratore.
La lotta dei lavoratori SDA sembra segnare uno spartiacque nella gestione del conflitto. Sembra essere di fronte ad una accelerazione in senso repressivo, perché le lotte della logistica stanno scoprendo la zona franca che il padronato sta progressivamente delineando intorno al mondo del lavoro. Una gestione del conflitto che richiama alla memoria i metodi del fascismo tradizionale, con azioni tipicamente fasciste, proprie di quel primo fascismo che organizzava squadracce per colpire fisicamente i lavoratori, favoriti dalla posizione reazionaria della borghesia del tempo. Non si sottovaluti l’ascesa repressiva, che pare nutrirsi di metodi nuovi di propaganda, vecchi metodi di azione e accenni di neocorporativismo.
Da vicende come questa appare evidente come il padronato usi i mezzi legali (e non) messi a loro disposizione: norme che alimentano precarietà, contrattazione al ribasso, condizione sociali difficili, lavoro nero; fino alle violenze squadriste, per attaccare prima di tutto la parte più debole della classe lavoratrice, quella più precaria e ricattabile ma per trascinare nell’abisso della precarietà la più ampia massa di lavoratori. L’uso (in questo senso) politico dei cambi d’appalto, è un esempio emblematico di come si possa in questo modo dettare le regole dei ritmi di lavoro, dell’intensità dello sfruttamento, del diritto al lavoro e ad una paga decente. Un uso contornato da retorica neocorporativa che nasconde le meno presentabili soluzioni reazionarie, ma sempre più presenti sul piatto delle opzioni per la regolazione del conflitto sociale.
Quale approccio strategico dallo sciopero della logistica?
Un approccio, quello descritto, che sta riguardando diverse realtà in varie aree d’Italia. Ovvio che se delle merci sono bloccate in un Hub non arrivano a destinazione e mettono in difficoltà altre produzioni. La retorica neocorporativista che oggi sembra essere dominante, chiude ogni possibile lettura della struttura produttiva in termini utili alla lotta dei lavoratori nel loro complesso.
Di vertenze come quella dei lavoratori SDA di Carpiano, si dovrebbe arrivare alla corretta interpretazione dell’attuale frammentazione del processo produttivo e conseguentemente di quella dei lavoratori, percependo la logistica come il nervo scoperto dell’attuale catena del valore.
In un mondo del lavoro estremamente frammentato, la logistica può giocare il ruolo di anello di congiunzione delle fasi di lavoro per ritrovare l’unione dei lavoratori. Per capirci: se dalla catena di montaggio si è passati alla esternalizzazione di fasi di produzione, lavoratori un tempo uniti dal processo produttivo sono stati fisicamente separati. Ora, si tratta di recuperare l’unione prima realizzata attraverso la catena di montaggio e la logistica può essere considerato un pezzo (importante) dell’ingranaggio che muove la catena di montaggio della valorizzazione del capitale, un ingranaggio della catena di montaggio necessaria a realizzare i profitti.
Gli scioperi nella logistica, come quello dei lavoratori SDA di Carpiano, potrebbero rappresentare, nella odierna organizzazione e divisione del lavoro, quello che qualche decennio fa veniva chiamato sciopero a gatto selvaggio, e cioè lo sciopero improvviso di singoli reparti di produzione che riuscivano a fermare l’intera linea produttiva per produrre maggior danno all’azienda. In questo caso, lo sciopero dei facchini di Carpiano è lo sciopero a gatto selvaggio che ferma la linea di produzione del profitto, che interrompe la catena della valorizzazione del capitale.
Allora, un aspetto importante (fondamentale) viene fuori, ancora una volta, dalla lotta dei lavoratori della logistica: l’evidente e sempre più urgente necessità di ricomporre pezzi della frammentazione di classe che scientemente le classi dominanti tentano continuamente di produrre. Si può cominciare a realizzare quella ricomposizione da qui.
Occorre, quindi, prima di tutto solidarizzare con i lavoratori SDA, considerando che il meccanismo che oggi rende precari i facchini colpirà domani altre e sempre più ampie categorie di lavoratori, perché sta nel meccanismo di funzionamento di quella catena di montaggio della valorizzazione del capitale alla quale tutti siamo legati e, soprattutto che ancora, seppure non fisicamente, tiene oggettivamente uniti i lavoratori.
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