di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Matteo Roselli)
Esattamente cinquantanni fa il 17 ottobre 1967 fu approvata la prima legge realmente fedele ai principi costituzionali in materia di sfruttamento minorile. Questa legge ridusse al minimo le categorie dei minori e delle attività non soggette alla sua disciplina, ed estese la tutela anche ai minori impegnati in lavori agricoli o domestici. Successivamente, nel corso degli anni ’90, sono state fatte diverse integrazioni alla legge originaria, giungendo nel 2000 ad una definizione chiara dei confini tra ciò che è sfruttamento e ciò che non lo è.
In concreto la legge 17 ottobre 1967, n. 977 stabilisce che:
1) I bambini di età inferiore a 15 anni non possono svolgere nessuna attività lavorativa, fanno eccezione soltanto iniziative di carattere culturale, artistico, sportivo, pubblicitario e nel settore dello spettacolo;
2) I minorenni di età compresa tra i 15 e i 18 anni non possono svolgere lavori che arresterebbero il loro pieno sviluppo fisico: non devono essere esposti a rumori sopra gli 87 db e non devono venire a contatto con sostanze dannose, non possono lavorare in luoghi dove si utilizzano arnesi taglienti, devono evitare di usare saldatrici, non possono compiere lavori che includono l’utilizzo di martelli pneumatici, pistole fissachiodi, strumenti vibranti e apparecchi di sollevamento meccanici, non devono svolgere lavori su navi in costruzione, nelle gallerie o utilizzando forni ad elevate temperature e infine devono evitare di eseguire lavori all’interno di cantieri edili per rischio crolli;
3) Prima di essere avviato al lavoro il minorenne deve essere sottoposto ad una visita medica preventiva.
Poco più di una settimana fa (il 7 Ottobre) viene diffusa la notizia di un diciasettenne di La Spezia che si è fratturato la tibia guidando un muletto: come si è arrivati a questo? Facciamo un passo indietro.
È il 13 Luglio 2015 quando viene approvata la “Buona Scuola”, ovvero la riforma dell’istruzione voluta dal Governo Renzi. Uno dei provvedimenti principali contenuti in questo testo è la così detta “Alternanza scuola-lavoro”. La norma prevede l’obbligo per gli studenti del triennio delle scuole superiori di alternare alla formazione scolastica dalle 200 alle 400 ore (200 per i Licei e 400 per gli Istituti Professionali) di lavoro in aziende, imprese, enti, istituzioni e ordini professionali.
L’Alternanza deve configurarsi (come spiegato dalla legge) come progetto formativo e non come rapporto di lavoro. Il concetto base esposto dal provvedimento sembra superficialmente lodevole, ma andando ad osservare i dettagli si può facilmente capire il mostro legislativo creato da questa riforma. Innanzitutto andiamo ad osservare i soggetti aderenti: a fianco di istituzioni culturali e sportive troviamo le più disparate realtà aziendali; da Mcdonald’s a Zara fino a Fico Eataly World, il nuovo giocattolo di Oscar Farinetti. La linea di demarcazione tra formazione e lavoro a costo zero è inesistente. Oltre a questo non vengono rispettate le norme citate poc’anzi in merito alle visite mediche preventive per i minorenni che si accingono a lavorare e il divieto di effettuare lavori pericolosi, o più in generale non inerenti la formazione degli studenti. Quella che si va configurando è una nuova forma di sfruttamento minorile, reintrodotta vigliaccamente per mezzo di una riforma mal scritta e allo stesso tempo mal digerita da tutto l’impianto scolastico.
Tornando alla vicenda del ragazzo di La Spezia possiamo dire che la sua esperienza è purtroppo una tra le tante. Quella che poteva essere un’occasione di formazione al di fuori delle mura scolastiche si è trasformata in una delle forme più subdole di sfruttamento. Questo fenomeno ricorda molto da vicino le pratiche industriali della seconda metà dell’Ottocento, che vedevano a lavoro molti minorenni perché costavano meno di un terzo del salario di un adulto, con il benestare delle famiglie, che pur di racimolare qualche soldo in più nella miseria, erano disposte a far lavorare i propri figli sin da piccoli.
La differenza rispetto a quell’epoca è che oggi i minorenni non vengono pagati, costano alle imprese nulla rispetto a un qualunque salario di un lavoratore normalmente assunto e le famiglie non hanno più voce in capitolo, perché questa “alternativa” è un obbligo imposto dalla legge. Non sorprende quindi vedere Mcdonald’s sfruttare 10.000 ragazzi, quando in tutta Italia da lavoro a 20.000 dipendenti, o peggio ancora la nuova invenzione di Oscar Farinetti (stranamente molto amico di Matteo Renzi) Fico Eataly World, che conterà circa 20.000 studenti per oltre 300.000 ore di alternanza, numeri che fanno presagire una sostituzione di manodopera pagata, in cambio di uno sfruttamento minorile a costo zero.
Il 13 Ottobre c’è stato un grande sciopero in tutta Italia che ha coinvolto migliaia di studenti, contro lo sfruttamento imposto da questa riforma. La Ministra Fedeli ha promesso più garanzie e più controlli, ma da un lato sorprende che queste misure minime per prevenire abusi (come i corsi sulla sicurezza, le visite mediche e più in generale il controllo dell’idoneità didattica dei percorsi) non siano state attuate già al momento del lancio dell’Alternanza e allo stesso tempo continuano a sussistere i contratti con multinazionali che nulla hanno a che vedere con i percorsi di studi, ma che hanno sottoscritto il contratto solo ed esclusivamente per sfruttare manodopera gratuita. Quello che emerge dalla riforma e dalle successive dichiarazioni di intenti da parte dei governi Renzi e Gentiloni è che questa modalità di Alternanza non sia stata un errore di ingenuità, ma un disegno preciso per reintrodurre subdolamente una pratica che si affianca alle già presenti azioni di sgretolamento dello Stato Sociale.
fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/italia-2/alternanza-scuola-lavoro/
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