Il risultato di Ostia: linee di tendenza verso le politiche?
di ALDO GIANNULI
Risultato per certi versi incerto ma che indica linee di tendenza per le prossime politiche:
M5s: ad Ostia ce l’ha fatta, ed anche bene in percentuale (circa il 60%) ma con due grossi nei: il fatto che, sin dal primo turno, abbiano votato in quattro gatti, e che, al primo turno, c’è stata una flessione di ben 14 punti sul risultato delle comunali, per cui, in cifra assoluta il M5s subisce un forte travaso a favore dell’astensione in primo luogo. Va preso atto, tuttavia, come il M5s, sia riuscito a contenere il deflusso di consensi, nonostante i disastri della giunta Raggi. Comunque, questa vittoria in parte compensa il risultato siciliano che, pur decoroso in voti assoluti, ha segnato la sconfitta nel tentativo di conquistare la regione.
C’è un altro aspetto positivo per il M5s: nonostante l’invito di molti dirigenti del Pd all’astensione, la flessione dei votanti è limitatissima (meno 2,5%), per cui è presumibile che il grosso degli elettori dem abbia votato M5s contro la destra.
Centro destra: nonostante il risultato decoroso in termini percentuali (ma sempre su un numero molto basso di votanti) fallisce l’obiettivo della conquista del municipio, il che dice che non si tratterà di una passeggiata vincere le politiche. La candidata attribuisce la sua sconfitta al passaggio in campo grillino di Casa Pound e del clan Spada. Numeri alla mano, si tratta di una analisi che può avere una sua fondatezza, ma occorrerebbe fare una analisi dei flussi seggio per seggio. In ogni caso, questo risultato conferma la difficoltà del centro destra di sfondare oltre il suo bacino naturale.
Pd: escluso dal ballottaggio e terzo, ora subisce l’onta della disobbedienza del suo elettorato che non si astiene affatto e si divide nel gruppo maggioritario che vota 5s e quello più piccolo che vota per la destra. I dirigenti del Pd farebbero bene a riflettere sulle caratteristiche del proprio residuo elettorale che è abituato a votare, pur nella logica del meno peggio, e non accoglie inviti all’astensione, e, in secondo luogo, è visceralmente ostile alla destra, per cui vota contro i suoi candidati.
Quali sono le tendenze che si possono ricavare:
a. insieme all’astensione, cresce la quota degli elettori che non votano per qualcuno ma contro qualcuno: è il discorso del voto utile, per il quale, più che per eleggere un parlamentare, si vota per impedire l’elezione del suo concorrente
b. Nonostante la comune avversione per i “populisti” 5s di Pd e destra, i rispettivi elettorati detestano molto di più l’altro polo. Quando la sfida era fra M5s e centrosinistra, gli elettori di destra preferivano votare 5s nei ballottaggi, ora che la sfida è fra M5s e destra, gli elettori dem preferiscono votare 5s.
c. Pertanto, il M5s inizia a configurarsi come un partito Condorcet-vincente (cioè un partito in grado di vincere qualsiasi competizione a due, secondo la legge di Condorcet)
d. Il che è un po’ paradossale, ove si consideri che il partito Condorcet vincente è, tradizionalmente un partito di centro, mentre il M5s continua ad essere scelto da una importante fetta di elettorato come un partito anti sistema (non si capisce se da destra o da sinistra, ma comunque anti sistema). Insomma, la parte più solida del suo elettorato è composta da elettori che lo indivuidiano come l’unica alternativa credibile a questa classe politica nel suo complesso ed, in nome di questo “perdona” ogni scivolone, ma a questo corpo centrale si affiancano alternativamente due ali che lo premiano per contrastare la fazione opposta.
e. Tutto questo, ovviamente, rende difficile immaginare qualsiasi coalizione: una coalizione Pd-Fi comporterebbe una reazione molto negativa dei rispettivi elettorali ed in particolare di quello del partito minore, che apparirebbe come subalterno all’altro, ma rende difficile anche una coalizione fra M5s ed uno degli altri due, perché potrebbero reagire male sia la fascia centrale dell’elettorato grillino (che vuole il movimento alternativo ad entrambi gli altri poli) sia l’ala aggiuntiva del partito opposto a quello in coalizione con i 5s. Al massimo si può pensare ad un governo 5s con l’appoggio esterno e non contrattato di uno dei due, ma con il rischio di una crisi per ogni singolo provvedimento di qualche importanza.
f. E’ difficile dire quale sarà il comportamento dell’elettorato in una votazione che lo sollecita in direzioni contrastanti: il voto di collegio uninominale spingerebbe al comportamento del voto utile e, quindi, penalizzerebbe il partito terzo, ma il voto proporzionale (che elegge i 2/3 dei parlamentari) sollecita al voto di fedeltà. Quello che appare probabile è che nessuno dei tre poli possa prendere il 40% e la maggioranza assoluta dei seggi.
g. Ultima conseguenza: la tendenza attuale dice che nessuno prenderà il 40%, che il M5s, come lista, prenderà la maggioranza relativa (in quanto l’elettorato di destra è spezzato fra Fi e Lega), ma, come coalizione, sarà prima la destra (essendo poco immaginabile che il M5s da solo possa batterla). Il che porrà un delicato problema istituzionale al Presidente: è tradizione che, in assenza di una maggioranza predeterminata, il primo incarico venga dato al partito di maggioranza relativa, ma, in questo caso, va tenuto in considerazione il singolo partito o la coalizione?
Probabilmente il M5s sosterrà che è al partito che bisogna guardare, mentre la destra alla coalizione. Il paradosso è che ad essere avvantaggiato, non sarà il primo incaricato, ma il secondo, che potrebbe valersi del fallimento precedente e presentarsi come quello che salva la legislatura. Ci sarà da vedere.
Fonte: http://www.aldogiannuli.it/il-risultato-di-ostia/
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