Blondet e quando della contro-informazione rimane solo il prefisso
di DAVIDE VISIGALLI (FSI Genova)
Non dovrebbero esistere differenze tra l’informazione e la cosiddetta contro-informazione. Purtroppo però chi ha il megafono più potente sovente esagera. Ma non è sempre l’informazione mainstream ad esagerare. Nella controinformazione questo processo è molto diffuso oltre ad essere molto pericoloso. Infatti un lettore poco informato non sa più a cosa credere. Si rischia di passare da sostenitori acritici dell’informazione mainstream a sostenitori acritici dei maggiori canali di controinformazione presenti in rete.
Fulgido esempio di questo fenomeno è l’ultimo articolo sull’autismo di Maurizio Blondet, noto divulgatore e controinformatore.
Blondet trova un articolo scientifico in rete, liberamente scaricabile, lo traduce e arriva a delle conclusioni sulle cause dell’autismo, ovviamente (per lui) indotte da comportamenti fraudolenti delle più svariate lobbies.
In breve, farò un elenco non esaustivo delle “lievi imprecisioni” presenti nell’articolo.
Tradurre in modo approssimativo, probabilmente con Google Translate denota poca confidenza con l’argomento scientifico oltre che con il metodo.
Qui l’originale in inglese:
“Herein we have used transversely heated graphite furnace atomic absorption spectrometry to measure, for the first time, the aluminium content of brain tissue from donors with a diagnosis of autism. We have also used an aluminium-selective fluor to identify aluminium in brain tissue using fluorescence microscopy. The aluminium content of brain tissue in autism was consistently high.”
Qui la traduzione di Blondet:
“Noi abbiamo usato nel microscopio a fluorescenza con un fluoro selettivo all’alluminio per misurare, per la prima volta, la concentrazione di alluminio nei tessuti cerebrali provenienti da donatori diagnosticati per autismo. Il tenore in alluminio in questi pazienti è risultato elevato costantemente.”
Qui una mia traduzione allo scopo solo di riportarne il contenuto:
“In questo studio abbiamo usato un particolare tipo di spettrometria ad assorbimento atomico per misurare, per la prima volta, il contenuto di alluminio nel tessuto cerebrale proveniente da donatori con una diagnosi di autismo. Abbiamo inoltre usato un fluoroforo selettivo per l’alluminio per localizzare questo metallo nel cervello attraverso la microscopia a fluorescenza. La quantità di alluminio nel tessuto cerebrale nell’autismo era alta in maniera consistente”.
Direte che il concetto non cambia poi molto. Ma come detto sopra, una traduzione approssimata mi fa ritenere che non si conosca per niente la metodica e la tecnologia utilizzata e quindi entrare nel merito delle conclusioni scientifiche diventa quantomeno ostico.
Ora passiamo allo studio considerato. Nonostante la rivista e gli autori non siano di primissimo piano, l’articolo ha tutti i canoni bibliometrici per essere preso in considerazione. Detto questo, se fate una ricerca veloce in Pubmed, la banca dati on line dove sono pubblicati tutti gli articoli scientifici del campo biomedico, alle parole autismo e alluminio fanno capo almeno 35 studi. Quello più vicino come tematica e metodologia analizza il contenuto di alluminio nel sangue di soggetti autistici arrivando a conclusioni opposte rispetto allo studio citato da Blondet. Il punto è: a quale dobbiamo credere?
La cautela del linguaggio dei ricercatori notata da Blondet non è data dalla paura verso i potenti bensì da un meccanismo cardine del metodo scientifico che consiste nel solo supporre le conclusioni non sufficientemente provate dallo studio per evitare di incorrere in una dura peer review (revisione tra pari) ossia nella valutazione di altri ricercatori che criticano il lavoro prima di essere pubblicato, con facoltà di rifiutarlo.
Entrando, anche se non molto, dentro lo studio, si possono trovare gravi mancanze dal punto di vista del metodo scientifico e statistico, che portano inevitabilmente a considerare le conclusioni degli autori non sufficientemente provate:
- il numero dei soggetti esaminati è troppo basso (solo 5) per un qualsiasi studio statistico (lo ammettono loro stessi);
- non esiste alcun confronto diretto con i livelli di alluminio presenti in un cervello di un donatore sano;
- studi precedenti dello stesso gruppo dimostrano livelli di alluminio comparabili nel 67% dei tessuti analizzati provenienti da cervelli con altre malattie neurodegenerative, non supportando quindi la specificità della correlazione autismo-alluminio;
- mancano controlli negativi sufficienti per dimostrare che non siamo davanti ad un falso positivo dovuto alla tecnica di indagine.
Concludendo, possiamo dire che lo studio dice con certezza che nei cervelli analizzati c’è l’alluminio. Non ne spiega affatto le cause e se è patologico.
Dati del tutto insufficienti per dimostrare una correlazione fra autismo e livelli di alluminio, figurarsi addirittura una causalità. Prima si dovrebbe dimostrare che il cervello di un bambino autistico ha più alluminio di uno non affetto (in un congruo numero di pazienti), poi si dovrebbe spiegare la presenza dell’alluminio nei casi di non autismo, capire la via di assorbimento dell’alluminio e quale dovrebbe esserne la causa ambientale, e altro ancora. Con questo non voglio affermare il contrario, ossia che l’alluminio non c’entri con l’autismo. Semplicemente, non posso saperlo dai dati dell’articolo.
A proposito, in tutto questo i vaccini non vengono mai menzionati. Il rapporto causa-effetto che segue Blondet è una sua congettura senza nessun fondamento scientifico basato sulle prove che lui stesso cita.
Niente di personale contro il bravo blogger, per carità. Un consiglio per tutti: volersi esprimere su tutto porta inevitabilmente all’errore. Qui il rapporto causa-effetto è fortemente significativo.
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