Le scimmie clonate e le contraddizioni della comunità scientifica
di CRITICA SCIENTIFICA (Enzo Pennetta)
Ormai la notizia la sanno tutti, clonate due scimmie, cosa comporta veramente questo passo?
Le immagini con i musetti teneri delle due scimmiette clonate in Cina hanno fatto il giro del mondo, la notizia è tra le più discusse e il motivo è ovviamente nella possibilità che una volta clonato un primate il prossimo o un possibile passo sia quello di procedere con la clonazione di un essere umano.
I problemi tecnici relativi all’impianto di un nucleo di una cellula somatica in una cellula uovo preventivamente privata del suo nucleo aploide originario sono stati risolti e quindi nulla vieta che la stessa cosa possa essere tentata con cellule umane. Quello che il sensazionalismo dei grandi media non ama dire è che però il prezzo di questa tecnica è un elevato numero di fallimenti e la possibilità tutt’altro che remota di ottenere embrioni con danni genetici, il che tra l’altro li renderebbe gemelli non perfetti degli originali.
La cosa è spiegata chiaramente dal direttore del Laboratorio di Biologia dello Sviluppo dell’Università di Pavia, Carlo Alberto Redi in una dichiarazione riportata dall’ANSA:
“oggi abbiamo gli strumenti per clonare l’uomo, ma questo non significa in automatico che sia una via praticabile. Nelle clonazioni più facili, come quelle di topo, si ottiene un successo ogni 20-30 tentativi: spesso gli animali nascono con problemi neurologici e altra patologie, come la sindrome degli organi dilatati. Per far nascere le due scimmie i ricercatori cinesi hanno dovuto fare un numero ancora più elevato di tentativi”. Si può facilmente immaginare, ha aggiunto, che per clonare l’uomo” servirebbero centinaia di ovuli, difficili da reperire senza mettere a rischio la salute delle donne donatrici. E poi rimane il rischio che i bambini clonati nascano malati e con problemi neurologici. A che scopo, poi? A cosa servirebbe creare un clone umano?”
“A cosa servirebbe creare un clone umano?” si domanda Redi, ma la domanda potrebbe essere ancora prima “A cosa servirebbe creare un clone qualsiasi?”, la risposta che viene data nello stesso pezzo dell’ANSA e su tutti gli altri articoli che hanno trattato l’argomento (da National Geographic a Wired a Le scienze) è che i cloni potrebbero essere utili per studiare nuove cure per le malattie e sperimentare in modo migliore nuovi farmaci, dichiarazioni che tenendo conto dei danni genetici che si producono nell’operazione di clonazione sollevano qualche perplessità.
La motivazione della ricerca di nuove cure rischia di essere una giustificazione per proseguire su una strada che appare come un’inutile esercizio tecnico, l’unico a dichiarare senza mezzi termini quale sia il vero rischio è stato l’immunologo Ferdinando Aiuti che dalle colonne dello Speciale ha dichiarato:
“Finché gli esperimenti coinvolgono le cellule somatiche è tutto nella norma e anzi certe ricerche possono tornare molto utili nella lotta a particolari malattie.
Nel momento in cui però gli esperimenti vanno ad investire le cellule germinali, allora qualche rischio si corre perché qualsiasi popolo potrebbe sentirsi autorizzato a tentare la creazione in laboratorio di tutti cittadini belli, alti, forti, robusti.
Ma questo non è affatto positivo perché la natura non a caso ci crea diversi e ci regala un dono meraviglioso, che è quello della spontaneità e dell’incontro di queste diversità attraverso la condivisione dei valori e l’accoppiamento. Proprio ciò che non voleva Hitler quando propagandava l’idea di una razza superiore a tutte le altre, la razza ariana che in quanto perfetta acquisiva così il diritto di dominare il mondo cancellando le diversità”.
Proprio nel momento in cui tutta la comunità scientifica si sta impegnando a negare l‘esistenza delle razze umane la stessa comunità apre alla clonazione che del razzismo è stata sempre il sogno. Che il pericolo di razzismo nell’uso delle biotecnologie legate alla nascita di nuovi individui sia reale lo dimostra il fatto che le banche del seme aprono alle richieste di specifiche caratteristiche genetiche e che queste si dividano in desiderabili e no selezionando donatori “super”.
Ancora una volta si potrebbe dire che le persone si dividono tra quelle che hanno letto il Mondo Nuovo di A. Huxley e quelle che non l’hanno letto.
Chi l’ha letto sa che da oggi le classi sociali degli ndividui Alfa, Beta, Gamma ed Epsilon sono più vicine, la ‘scienza’ ci chiede per favore solo di non chiamarle ‘razze’.
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