Programma di Riconquistare l’Italia per la Regione Lazio: la sanità
[Dal programma della lista Riconquistare l’Italia per le elezioni regionali del 4 marzo 2018 – candidato Presidente Stefano Rosati]
L’operazione è perfettamente riuscita, ma il paziente è morto. È possibile congedare con questo giudizio lapidario l’uscita dal commissariamento e dal Piano di rientro del debito sanitario della Regione Lazio, raffrontando i risultati esibiti come trofei dalla massima carica di governo regionale con le considerazioni della magistratura contabile e i dati del Ministero della Salute e degli enti preposti al monitoraggio della qualità dell’offerta di servizi sanitari nella regione della capitale.
I proclami elettorali che sono seguiti alla certificazione da parte del Consiglio dei Ministri del raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio finanziario e contabile che da dieci anni imponevano il “pilota automatico” alla programmazione sanitaria regionale, e le conseguenti promesse di nuovi investimenti e spese per l’assunzione di personale medico recentemente annunciate da Zingaretti, stridono al cospetto dei dati ufficiali sulle performance misurate in ambito sanitario. I numeri reali rappresentano un’offerta di servizi alla salute totalmente inadeguata – per usare un eufemismo – e lesiva del prestigio di una regione che resta comunque la seconda realtà territoriale del paese per popolazione, contando 5.897.526 di residenti e per PIL con 182,6 miliardi di euro.
Gli entusiasmi confliggono, altresì, con l’evidenza che quanto fatto per raggiungere tali obiettivi di bilancio, in termini di prelievo fiscale aggiuntivo finalizzato al rientro del disavanzo, non basta a rendere strutturale la tenuta dei conti e a garantire un equilibrio economico sistemico al livello regionale e degli enti del Sistema Sanitario Regionale. Questo si traduce, verosimilmente, nell’impossibilità, per chi non rifiuti il perverso sistema di stabilizzazione finanziaria di derivazione sovranazionale (culminato nella costituzionalizzazione del “pareggio di bilancio”), di ridurre nel breve periodo l’IRAP e l’addizionale regionale IRPEF, imposte che hanno raggiunto il massimo delle aliquote applicabili in ossequio alla vigente normativa, posizionando il Lazio al vertice della classifica delle regioni più tartassate d’Italia.
Il giudizio di parificazione redatto dalla Corte dei Conti sul Rendiconto generale della Regione Lazio per l’esercizio finanziario 2016 rappresenta la fotografia di una spesa sanitaria che rientra progressivamente nei limiti della sostenibilità di lungo periodo, limitando il disavanzo nell’ordine dei 164 milioni di euro. Tuttavia il contraltare di questo rispetto ossequioso dei principi contabili è rappresentato dall’analisi impietosa dei dati sulle performance del sistema sanitario, che evidenzia i costi sociali di questa operazione di “razionalizzazione” che, come siamo ormai abituati a constatare, si è concretizzata nei tagli indiscriminati operati sulla spesa pubblica, cui non sono seguite neanche le previste misure di riorganizzazione dei servizi. Questi costi sono gravati di nuovo sui cittadini, in termini di fruizione del diritto alla salute e alla parità di trattamento costituzionalmente garantiti, e sotto il profilo economico, incidendo sul reddito disponibile delle famiglie che si sono dovute rivolgere in misura via via maggiore agli erogatori privati.
In base ai suddetti dati il Lazio risulta essere, dopo i tagli operati per rientrare nei parametri imposti dal Ministero della Salute, la penultima regione d’Italia tra le adempienti per quanto riguarda il rispetto dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza). Nel XII Rapporto Meridiano Sanità (The European House – Ambrosetti) si posiziona al 14° posto per quanto riguarda l’indice dello stato di salute e al 13° posto per l’indice di mantenimento dello stato di salute. I numeri desumibili dagli strumenti di monitoraggio del RECUP Lazio evidenziano tempi di attesa per 8 esami diagnostici su 11 che superano il mese e in 3 di questi 8 casi è necessario aspettare addirittura due mesi (eco addome e mammella). Questo a tutto vantaggio, chiaramente, dell’offerta privata che “integra” l’erogazione dei servizi, consentendo ai cittadini che hanno capacità economica di godere di prestazioni sanitarie tempestive e di qualità e condannando gli incapienti e i meno abbienti all’abbandono. Il risultato è un diritto alla salute garantito a intermittenza e a macchia di leopardo, con crescenti disuguaglianze territoriali e una polarizzazione dei servizi, che vede il pubblico retrocedere progressivamente ed occupare sempre più un posto di offerta residuale per i meno abbienti ad evidente vantaggio del privato. Questa polarizzazione è presente anche tra strutture pubbliche: dal “Programma nazionale esiti” di Agenas e Ministero della Salute, che ha scandagliato i risultati e la tempestività delle cure ospedaliere, è emerso che nel Lazio coesistono eccellenze e strutture che registrano risultati disastrosi con percentuali elevate di esiti infausti.
L’effetto-paradosso, che si riscontra anche in altre Regioni che vedono peggiorare le performance sanitarie, è costituito dall’incremento di mobilità passiva, costituita dai laziali che preferiscono curarsi altrove, fenomeno che incide negativamente sulle casse regionali erodendo una parte del risparmio conseguito con i tagli alla spesa. Nel 2015 il Lazio ha registrato un saldo negativo di 240 milioni di euro, facendo meglio – di poco – solo di Calabria e Campania e registrando il più elevato livello di debito di mobilità passiva verso i privati d’Italia.
Questa breve ma definita fotografia dello stato dell’arte in tema di sanità nel Lazio, supportata anche da un altro studio condotto sugli indici di performance sanitarie dall’istituto di ricerca Demoskopika, che ha registrato una perdita di ben dieci posizioni nella classifica della qualità dei servizi alla salute tra il 2016 e il 2017, dovrebbe chiarire come i proclami di Zingaretti sull’uscita dal commissariamento suonino come una beffa per i cittadini, che si sentono dire che va tutto per il meglio, mentre sperimentano ogni giorno sulla propria pelle il peggioramento della qualità dell’offerta sanitaria. Questa percezione, che si palesa ogni qualvolta ci si ritrova a dover fare i conti con le liste d’attesa insostenibili per gli esami diagnostici più critici, così come nei numerosi casi documentati di sovraffollamento dei reparti degli ospedali che contano sempre meno posti letto e condizioni di incuria crescenti, trova riscontro reale e conferma statistica su tutti i fronti di indagine.
Nel Lazio, come nel resto del paese, assistiamo al progressivo disfacimento di quello che fino a qualche anno fa era considerato il sistema sanitario più avanzato del mondo. Anche le dinamiche occupazionali sono eloquenti e rappresentano chiaramente il dissolvimento della sanità italiana: negli ultimi otto anni il comparto sanitario ha perso 45.000 unità tra personale medico e infermieristico, 15.000 solo tra il 2014 e il 2016 (fonte Ragioneria Generale dello Stato). Questo arretramento progressivo e inesorabile è il frutto di politiche di contenimento della spesa che sono rivolte evidentemente a virare verso un modello sanitario sempre più “statunitense”, con una polarizzazione dell’offerta che promuove un sistema pubblico rivolto agli indigenti e un parallelo sistema di erogazione privata che offre il diritto alla cura tempestiva e qualitativa previo pagamento. È un modello che trova nell’Unione Europea il più agguerrito sponsor, che attraverso i Trattati che hanno promosso la costituzionalizzazione del principio del pareggio di bilancio, impone lo Stato minimo e la privatizzazione dei servizi essenziali in un continente che è stato la culla dello stato sociale. Riconquistare l’Italia si oppone alla deriva mercatista sancita dai Trattati europei e rifiuta l’idea che la presa in carico e la cura dei cittadini debbano essere considerate attività lucrative a tutti gli effetti. Le manifestazioni di giubilo per i risultati di bilancio conseguiti, che dimostrano di ignorare le necessità reali della popolazione e glissano sugli effetti nefasti di questi continui tagli, sono inquietanti e rivelano la totale assenza di interesse per il benessere della collettività manifestata da questa classe dirigente votata alla realizzazione di un gigantesco piano di smantellamento dello stato sociale e di sostituzione dei servizi pubblici con ingenti capitali privati. Un piano di smantellamento dei diritti fortemente sostenuto dai portatori di interesse della finanza internazionale e dell’industria farmaceutica che lavorano strenuamente negli uffici delle lobby a Bruxelles.
Sarà necessario rifiutare i condizionamenti e i vincoli che impongono l’arretramento dello Stato, riconsegnare dignità alle strutture pubbliche relegando l’offerta privata ad una quota sempre più marginale dell’erogazione complessiva e non viceversa, riprogrammare un piano di assunzione, formazione e valorizzazione del personale, rimettere la sanità pubblica al centro. Sul lungo periodo Riconquistare l’Italia considera necessario rivedere il processo che ha consegnato autonomia programmatoria e organizzativa nel campo sanitario alle Regioni. Lo Stato che ha abdicato ai compiti di programmazione della spesa e gestione del servizio sanitario nazionale ha prodotto crescenti disparità territoriali, divergenze progressive e non le convergenze auspicate. È necessario fare il punto della situazione, tirare le somme di quanto fatto e quanto ottenuto negli ultimi venticinque anni e avviare una stagione di controriforme che pongano di nuovo al vertice dell’ordinamento la Costituzione Italiana e non i Trattati europei. È un passo ineludibile se si vuole riportare il paese su un orizzonte di crescita economica socialmente sostenibile.
La tutela della salute come diritto dell’individuo e della collettività (art. 32 Costituzione) deve tornare ad essere declinata secondo i principi scolpiti nella legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (n. 833/1978): Universalità della copertura, Uguaglianza del trattamento, Globalità delle prestazioni erogate, Equità del finanziamento, Controllo democratico da parte dei cittadini, Unicità di gestione e Proprietà prevalentemente pubblica dei fattori di produzione. A questo fine proponiamo i seguenti punti programmatici:
- l’Universalità della copertura è strettamente legata all’Equità del finanziamento, che va garantita a livello generale attraverso un sistema fiscale altamente progressivo e a livello regionale tramite l’eliminazione dei ticket sanitari e l’adeguamento quantitativo del personale sanitario alle effettive esigenze di cura della popolazione, pena la rinuncia alle cure di una parte della stessa e la migrazione verso la sanità privata di una parte ancora, anche per il conseguente allungamento delle liste di attesa;
- l’Uguaglianza del trattamento richiede criteri ragionevoli per l’assegnazione alle singole regioni delle quote del Fondo Sanitario Nazionale stabilito a monte dallo Stato; criteri che non riguardino soltanto il numero di abitanti e la struttura di età della popolazione regionale, ma anche fattori socio-economici e infrastrutturali, così da non penalizzare le regioni centro-meridionali caratterizzate, a causa di complesse ragioni storiche, da un ritardo relativo rispetto alle regioni settentrionali;
- la Globalità delle prestazioni erogate richiede di ampliare lo spettro delle prestazioni attualmente previste dal SSN includendovi in particolare le prestazioni odontoiatriche, oggi in gran parte escluse, e finanziando il Fondo Sanitario Nazionale secondo necessità; i maggiori fondi dovranno essere indirizzati non solo verso la cura, ma anche a beneficio della medicina sociale, della prevenzione e della riabilitazione, in modo da negare quel modello ad elevata intensità di cura che tende ad affermarsi anche nel nostro Paese;
- il Controllo democratico da parte dei cittadini richiede il ritorno ad un modello decentrato sui Comuni invece che sulle Regioni, con elezione da parte del consiglio comunale di un comitato di gestione per ogni Asl al posto dell’attuale manager monocratico nominato dall’assessore regionale alla sanità; nel modello democratico la programmazione complessiva del SSN e la determinazione dei principi generali spettano non solo di diritto, ma anche di fatto, allo Stato;
- l’Unicità di gestione e la Proprietà pubblica dei mezzi di produzione sanitari richiedono realisticamente uno spiazzamento graduale del settore privato, che non passa soltanto per il semplice aumento dei fondi pubblici al SSN, di per sé necessario, ma anche e soprattutto per la negazione del principio di concorrenza inoculato nel sistema dalla riforma Amato del 1992 (con successive integrazioni); in particolare occorre: 1) tornare alle Usl (Unità sanitarie locali), abbandonando le Asl (Aziende sanitarie locali) e le Ao (Aziende ospedaliere), con tutte le conseguenze gestionali ed economico-patrimoniali che ciò comporta; 2) tornare ad un modello ‘integrato’ nel quale le Usl eroghino direttamente la grandissima parte delle prestazioni sanitarie, sostituendo il rampante modello ‘contrattuale’ nel quale, al contrario, le Asl si comportano da semplici committenti di erogatori pubblici e privati in reciproca competizione per i pochi fondi pubblici ormai a disposizione; 3) rivedere in termini progressivamente più restrittivi i regimi di libera professione ed intramoenia oggi concessi ai medici dipendenti del SSN; 4) abolire il rimborso a tariffa delle prestazioni erogate dalle strutture ospedaliere pubbliche e private tornando ad un rimborso a piè di lista, per evitare che il rimborso standard oggi previsto (calcolato, come nel modello americano, in base alla diagnosi con la quale il paziente viene dimesso dall’ospedale) incentivi gli erogatori a ridurre i costi per lucrare la differenza tra la tariffa comunque percepita e la spesa effettuata; 5) rivedere in senso progressivamente più restrittivo i criteri con i quali si concede l’accreditamento alle strutture private
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