Giorgio Bo, ministro delle Partecipazioni Statali
Giorgio Bo, rappresentante storico della cosiddetta “sinistra DC”, docente di diritto in varie università italiane, ministro delle partecipazioni statali in otto governi della Repubblica, figura meno rievocata di quella classe dirigente responsabile della rinascita italiana nei decenni del dopoguerra e del miracolo economico, rappresenta l’ennesimo esempio di generosità, dedizione e caparbietà profusi per l’interesse generale della nazione. La lunga voce a lui dedicata del Dizionario Biografico degli Italiani (1988) fa emergere il ruolo fondamentale svolto dal Bo nel promuovere un nuovo modello di gestione pubblica aziendale e nel favorire, all’interno di un rinnovato quadro di relazioni industriali – anche a livello di associazioni sindacali di aziende partecipate dallo stato (Intersind, ASAP) -, un complesso di azioni coordinate rivolte a perseguire coerentemente gli obiettivi di politica economica e sociale fissati dai governi.
Leggendo si scopre ancora una volta come la storia della Prima Repubblica sia stata fatta da statisti di assoluto livello che credevano nel loro paese. Non c’era ancora spazio per gli avventurieri carrieristi di oggi. Lo dico soprattutto ai detrattori stupidi e ripetitivi, abituati ad elencare solo le contraddizioni italiane (reali o presunte) , senza indicarci l’esistenza – passata o presente – di un altro grande paese privo di contraddizioni.
Propongo alcuni brani dalla richiamata biografia.
“[…] Consulente legale dell’AGIP fin dal 1947, nella seduta del 19 luglio 1950 sostenne il diritto esclusivo dello Stato a gestire l’estrazione degli idrocarburi nella valle padana, […]
“Con l’inizio della seconda legislatura, il B. divenne uno dei vicepresidenti del Senato fino al 19 maggio 1957, quando, formato il governo Zoli, subentrò a G. Togni come titolare del ministero delle Partecipazioni Statali istituito dalla legge 22 dic. 1956, n. 1589. Questa nomina allarmò subito la destra economica e politica. Oltre che consulente dell’AGIP (incarico che lasciò in questa occasione) e amico di Mattei, il B. era, infatti, uno degli uomini di punta della sinistra democristiana (aveva condiviso molte delle idee di G. Dossetti, era amico di G. Gronchi, era stato, secondo il nipote F. Cattanei, tra i fondatori della “Base” ed era fautore dell’apertura ai socialisti (si veda l’articolo Cattolici, laici, socialisti, in Il Punto, 14 luglio 1956).
“La diffidenza si trasformò in ostilità aperta dopo che il B., il 15 nov. 1957, emanò una circolare attuativa del terzo comma della legge n. 1589, in cui si chiariva che il distacco, ivi previsto, delle aziende a prevalente partecipazione statale dalle associazioni sindacali dell’imprenditoria privata si riferiva sia alle imprese sia agli enti pubblici economici, e si precisava anche che per “prevalenza” si doveva intendere non solo maggioranza nel capitale sociale, ma anche controllo di fatto da parte dello Stato. La giunta della Confindustria il 14 dic. 1957 approvò un ordine dei giorno, in cui si esprimevano “riserve sulla costituzionalità della norma legislativa e sulla validità giuridica dell’applicazione estensiva” data ad essa dal B. e si denunciava la “estrema pericolosità, sul piano economico, sociale e morale, della differenziazione dei criteri di gestione fra aziende similari”. L’aspro scontro che ne seguì coinvolse forze politiche e sindacali, organi di stampa, giuristi ed economisti (si vedano i cinque volumi Il distacco). Lo schieramento conservatore annoverò voci prestigiose, come quelle di Sturzo, A. De Stefani, L. Einaudi, ed espresse soprattutto il timore che lo sganciamento delle imprese pubbliche da quelle private nei rapporti sindacali potesse comportare l’abbandono dei criteri di economicità nella gestione delle aziende pubbliche con conseguenze molto gravi su tutto il sistema economico. Invano il B. si sforzò, in discorsi articoli interviste, di chiarire le sue posizioni (semplice attuazione del disposto di legge, rispetto dell’autonomia delle imprese private, garanzie circa l’economicità di gestione delle imprese pubbliche, ecc.).
“Fatto oggetto di attacchi personali (“il Bo in piena”, “il comunista bianco”, “il bolscevico di Sestri Levante”), affrontò una infuocata campagna per le elezioni politiche del 25 maggio 1958. […]
“Il B. ebbe un ruolo di rilievo nel determinare, agli inizi degli anni Sessanta, una svolta nel sistema delle relazioni industriali in Italia. La costituzione (1960) delle associazioni sindacali degli imprenditori pubblici (l’Intersind per le aziende IRI e l’ASAP per le aziende ENI) rispondeva all’esigenza, apertamente teorizzata, di associare le forze sindacali allo sforzo di attuazione di una politica di programmazione economica per uno sviluppo equilibrato del paese. A questo scopo il B., l’8 giugno 1962, in occasione dell’apertura delle trattative per il rinnovo dei contratto di lavoro dei metalmeccanici, raccomandò in una circolare all’Intersind e all’ASAP di inserire nei nuovi contratti norme di riconoscimento dei diritti sindacali in azienda (molte delle quali poi sancite dalla legge n. 300 del 1970 detta Statuto dei lavoratori); negli stessi giorni il presidente dell’IRI, G. Petrilli, intervenendo all’assemblea dell’Intersind, ricordava che compito essenziale delle associazioni degli imprenditori pubblici – più che la difesa degli interessi economici delle aziende rappresentate – era quello di ottenere il consenso delle masse lavoratrici intorno agli obiettivi di politica economica e sociale del governo. Ne derivò la dissociazione di Intersind e ASAP dalla Confindustria nella conduzione delle trattative, la firma di un separato protocollo di intesa con i sindacati dei lavoratori (5 luglio 1962) che avviava la riforma del sistema di contrattazione collettiva, l’accettazione della contrattazione articolata a livello di azienda e la sigla di un contratto per i metalmeccanici delle aziende a partecipazione statale distinto da quello valevole per il settore privato (20 nov. 1962).
“Dopo la fase della ristrutturazione organizzativa e funzionale (tra l’altro furono creati tre nuovi enti di gestione: l’EGAM, per le aziende minerarie, quello del cinema e quello delle aziende termali), si aprì per le imprese pubbliche un nuovo ciclo. Agli interventi nei settori strategici (siderurgia, petrolchimica, ecc.) seguirono quelli nelle infrastrutture, nel settore manifatturiero e nei servizi. L’IRI restava la maggiore holding, ma l’ENI, per la personalità del suo presidente e per il suo dinamismo imprenditoriale, era divenuta la punta di diamante delle partecipazioni statali. Il B., che con Boldrini e La Pira aveva contribuito a delineare i contenuti della politica dell’ENI verso i paesi del Terzo Mondo (assistenza tecnica, collaborazione nello sfruttamento delle risorse, sostegno allo sviluppo economico e sociale), appoggiò anche l’apertura di Mattei verso i paesi dell’Europa orientale, autorizzando i contratti per l’importazione del greggio dall’Unione Sovietica, e non si oppose all’avvio della realizzazione dell’oleodotto Genova-Ingolstadt e all’ingresso del gruppo petrolifero nel settore delle fibre tessili mediante l’acquisizione della Lanerossi.
“Tali iniziative riattizzarono la polemica con le compagnie petrolifere internazionali e con la destra politica ed economica. Gli attacchi ebbero come bersaglio principale Mattei, ma coinvolsero anche il B., presentato, per l’avallo dato, come “servitore” e “vassallo” del presidente dell’ENI. In realtà era difficile per chiunque contrastare un uomo potente come Mattei e il B., in effetti, sembrava “pago, tutto sommato (come taluni sostenevano) di adempiere un dovere di conoscenza e di informazione, restringendosi a registrare le scelte e le decisioni prese dagli enti e dalle aziende controllate” (Il nuovo ciclo, p. 24). Certamente il suo ruolo più evidente fu quello di chi definiva la filosofia dell’intervento dello Stato nell’economia, spiegava e giustificava le iniziative delle imprese pubbliche e indicava gli obiettivi strategici da raggiungere (assorbimento della disoccupazione, superamento della arretratezza del Mezzogiorno, rottura delle posizioni monopolistiche, leadership nello sviluppo economico nazionale). […]”
Gianluigi Leone (ARS Lazio)
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