Il vero motivo della crisi idrica non sarebbe la siccità, spiega l’associazione ambientalista Gruppo d’Intervento Giuridico Onlus. Ecco, attraverso un comunicato, la loro versione dei fatti.
“In Sardegna l’acqua dà più da mangiare che da bere. “L’Acquedotto è un’opera ciclopica che, da quando esiste, ha dato molto più da mangiare che da bere”, così scrisse Mario Missiroli, storico direttore de Il Corriere della Sera riprendendo un giudizio del grande meridionalista Gaetano Salvemini riguardo l’Acquedotto Pugliese, uno dei più grandi d’Europa.
In Sardegna la situazione non è molto diversa. L’abbiamo denunciato pubblicamente in mille occasioni: in Sardegna la crisi idrica non dipende da piogge e invasi non certo di scarso rilievo, sono altri i reali motivi della crisi idrica: il disastroso tasso di perdita delle reti e la perdurante assenza di connessioni fra gli invasi. Tutti quelli che han determinato la politica dell’acqua in Sardegna lo sanno da anni, ma i risultati latitano.
Agenia Consulting è una società di consulenza aziendale e ha condotto una due diligence su Abbanoa s.p.a., il gestore unico dell’acqua sarda, per conto dei cinque Istituti bancari che la sostengono sul piano finanziario. Nel 2014 il 55% dell’acqua immessa in rete da Abbanoa s.p.a. è andata persa. Ecco il vero motivo della crisi idrica in Sardegna. Un motivo umano, molto umano. Vuol dire che per un litro d’acqua che esce dal rubinetto ne sono stati immessi in rete più di due. Negli ultimi tre anni la situazione non è cambiata significativamente. Bene ha fatto – su sollecitazione degli amministratori locali del territorio interessato – la Giunta regionale a evitare il rilascio a mare di milioni di metri cubi di acqua dall’invaso di Maccheronis: con una serie di accorgimenti può esser garantita la sicurezza in caso di eventi atmosferici eccezionali. Ma si tratta, comunque, di un fatto secondario nel sistema della gestione dell’acqua in Sardegna.
Qualche dato complessivo sulla disponibilità idrica regionale: la Sardegna possiede ben 32 invasi di grandi/medie dimensioni aventi una capacità massima attuale di 2 miliardi e 280 milioni di mc. di acqua, di cui 1 miliardo e 904 milioni di mc. con autorizzazione all’invaso (dati Registro Italiano Dighe – Ufficio periferico di Cagliari, 2011). La Sardegna ha 1.675.000 residenti (la metà di Roma) e poco meno di un sesto della risorsa idrica “invasabile” di tutto il territorio nazionale (540 bacini medio/grandi per circa 13,35 miliardi di mc. di risorsa idrica “invasabile”, vi sono ulteriori 10 mila circa piccoli bacini con capacità inferiore a 100 mila mc., più facili da gestire – dati Ministero Infrastrutture, 2007).
A partire dal 31 dicembre 1995 è stata autorizzata una complessiva ulteriore capacità di invaso, in seguito alle previste procedure di collaudo (art. 14 regolamento dighe), di ben 328,359 milioni di mc. di acqua. La sola nuova diga sul Tirso (la 32^) potrà invasare, a collaudi ultimati, circa 800 milioni di mc. di acqua: è, quindi, agevole sostenere che, a operazioni di collaudo ultimate delle dighe già realizzate, la Sardegna potrà contare su circa 2 miliardi e 280 milioni di mc. di risorsa idrica “invasabile”.
Eppure c’è chi, come l’on. Paolo Maninchedda (già in maggioranza con il centro-destra e con il centro-sinistra, ora indipendentista di lotta e di governo), già Assessore regionale dei lavori pubblici e aspirante futuro Presidente della Regione, non contento di aver fatto ripartire i lavori di quello scempio ambientale e finanziario rappresentato dalla diga di Monte Nieddu – Is Canargius, chiede a gran voce un’ulteriore nuova diga sul Rio Posada e pure un dissalatore. Alla Sardegna mancano sia un Gaetano Salvemini che un Mario Missiroli per descrivere adeguatamente la politica dell’acqua.
Per avere un quadro più accurato della situazione non dobbiamo, poi, dimenticarci che attualmente si stimano in circa 350 milioni di mc. annui i reflui civili depurati scaricati direttamente in mare senza praticamente alcun riutilizzo (il solo depuratore consortile di Cagliari-Is Arenas scarica circa 60 milioni di mc. all’anno, da qualche anno portati “in risalita” nel bacino di Simbirizzi per essere destinati all’agricoltura, ma non utilizzabili a causa del mancato completamento della terza fase di depurazione, con una spesa complessiva di circa 80 miliardi di vecchie lire, senza considerare le ingenti spese di esercizio). Analogamente avviene per i depuratori industriali: non siamo in possesso di dati complessivi, ma si tratta di una realtà certo non trascurabile. Il solo depuratore CACIP produce circa 20 milioni di mc. all’anno di acqua depurata.
Quando qualsiasi amministratore pubblico o mezzo di informazione o chissà chi vi dice che la colpa della crisi idrica è della siccità sappiate che vi sta raccontando balle. Abbiamo proposto un vero e proprio New Deal per il risanamento idrogeologico e la sistemazione delle reti idriche, con indubbi riflessi positivi per l’economia e l’occupazione, grazie al sostegno dei fondi comunitari 2014-2020. E’ necessario voltare pagina rispetto a una politica di gestione dell’acqua fallimentare e folle, assolutamente contraria alle elementari norme di gestione ambientale e agli interessi dei sardi”.
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