Di Maio e Macron, nemici perfetti: ecco perché la guerra tra Italia e Francia è necessaria a entrambi
di LINKIESTA (Fulvio Scaglione)
LUDOVIC MARIN / AFP
Di Maio che va dai gilet gialli e Macron che richiama l’ambasciatore sono solo l’ultimo tassello di uno scontro dialettico che va avanti ormai da mesi. Uno scontro in cui torti e ragioni si equivalgono, e lo scopo è il medesimo: trovare il nemico perfetto per prendere voti alle europee
Com’è la storia degli opposti che si attraggono, dello yin e dello yang, dell’anodo e del catodo e insomma di tutte quelle cose lì che sono identiche ma vanno in direzioni opposte e quindi litigano? Qualunque sia, è una storia che si adatta perfettamente al battibecco tra Emmanuel Macron e i nostri pentastellati, che a furia di cercarsi si sono infine trovati (la rima è involontaria) e possono adesso serenamente menarsi con iniziative piuttosto fuori del comune.
Lo è stata l’iniziativa del vice premier Luigi Di Maio che si è spostato in Francia per sostenere l’azione dei gilet gialli e, passo ancor più falso agli occhi di Parigi, incontrare il leader più ambiguo e oltranzista del movimento. Lo è la mossa del Governo francese di richiamare “per consultazioni” il proprio ambasciatore in Italia (cosa che non avveniva dal 1940, alla vigilia di una guerra) a causa di quelli che Parigi definisce “attacchi senza precedenti del Governo italiano”.
I gilet gialli, come se a Di Maio davvero premesse di quel tal Chalencon che straparla di guerra civile, suvvia. Gli “attacchi senza precedenti”, come in una quartina di Cyrano appena prima di un duello. Diciamoci la verità: tutte balle. Anzi, siamo un po’ più precisi. In parte balle e in parte no, perché gli uni e gli altri hanno una parte di ragione. Nel salotto buono delle democrazie europee (perché con gli altri, vedi Ucraina e Venezuela, si fa eccome) non esiste che il vice premier di un Governo amico vada in casa di un altro Governo amico a incoraggiare un signor Nessuno che vuole dare l’assalto alle istituzioni. Macron è nel giusto. Come ha il diritto di criticare, se gli pare, le politiche del Governo italiano in tema di migranti, una questione che investe tutto il Mediterraneo su cui affaccia anche la Francia.
Però Salvini e Di Maio non hanno torto nel far notare che il buonista Macron i migranti li respinge, a migliaia e senza pietà, alla frontiera di mare (Ventimiglia) e di montagna (Bardonecchia). E non hanno torto i pentastellati quando criticano la politica della Francia in Africa, costruita per favorire gli affari francesi e penalizzare quelli africani. Per non parlare poi della Libia (la Francia dovrebbe inginocchiarsi sui ceci per le tante porcherie fatte o ancora in corso), della Tav (che il Governo nostro attuale, soprattutto nella componente pentastellata, vorrebbe bloccare a costo di smentire accordi presi in passato), del “caso Battisti” (con la polemica, accesa da decenni, sui terroristi italiani che bevono champagne oltralpe) e delle beghe occasionali tipo Fincantieri o Alitalia che sempre spuntano tra Paesi vicini e da lungo tempo in affari, una cosetta da 80 miliardi l’anno.
Macron il bersaglio se l’è scelto da mesi, da quando cioè gli è stato chiaro che Donald Trump non se lo fila e non ha alcuna remora a rendergli più dura la strada delle esportazioni verso gli Usa. È quello il momento in cui Macron ha deciso che la lotta al populismo, il nuovo Satana pronto a divorare l’Europa, doveva diventare il suo mantra
Il problema, come spesso accade, è un altro. In questo caso, sta nelle elezioni che tra breve dovranno rinnovare il Parlamento europeo. Di Maio e Macron si somigliano perché hanno la stessa esigenza: trovare un bersaglio politico per non doversi agitare nel vuoto da qui a maggio. Macron il bersaglio se l’è scelto da mesi, da quando cioè gli è stato chiaro che Donald Trump non se lo fila e non ha alcuna remora a rendergli più dura la strada delle esportazioni verso gli Usa. È quello il momento in cui Macron ha deciso che la lotta al populismo, il nuovo Satana pronto a divorare l’Europa, doveva diventare il suo mantra. E le polemiche con l’Italia sulla gestione dei migranti, sui porti aperti o chiusi, su me li prendo io no te li tieni tu, l’hanno solo confermato nella bontà della scelta strategica.
Anche il M5S ha bisogno di un nemico esterno. In pura teoria, con il Pd in travaglio e il berlusconismo in stand by, il vero concorrente sarebbe la Lega. Ma fare campagna elettorale contro l’alleato di Governo è come spararsi sui piedi. Macron, invece, è un bersaglio perfetto. È il cocco delle élite e un ex banchiere. Un nazionalista che, a parole, si spende per quell’Europa che molti pentastellati vedono come un covo di burocrati dai denti alla Dracula. Il Presidente che svende il proprio popolo per rendere omaggio alle regole del globalismo. In poche parole: è perfetto.
E così, dopo essersi lungamente cercati e accuratamente annusati, i due si sono inevitabilmente trovati. Chi si somiglia si piglia, insomma. E come spesso succede, si mena.
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