Dietro lo spauracchio del “fascismo” il timore dello Stato
di FEDERICO DEZZANI
La campagna elettorale che volge al termine è stata dominata dal tema della “minaccia fascista”, spauracchio agitato dalla sinistra liberal e dai suoi media di riferimento. C’è di dice che il pericolo del fascismo sia stato resuscitato per soccorre una sinistra in profonda crisi, senza idee e destinata ad una storica sconfitta alle elezioni del 4 marzo: in realtà, è probabile che lo spauracchio fascista sia tornato per restare ed occupi la scena politica italiana ed europea anche nei prossimi anni. Demolito lo Stato a vantaggio dei poteri euro-atlantici, in economia come nella sicurezza, qualsiasi tentativo di restaurarlo sarà infatti bollato come “fascismo” dall’élite liberal. Lo Stato è l’ultimo baluardo contro la globalizzazione e la dissoluzione delle nazioni nella società cosmopolita.
Stato e globalizzazione: ne rimarrà soltanto uno
Uno spettro si aggira nella campagna elettorale che sta per chiudersi: è lo spettro del “fascismo”. All’orizzonte, però, non si vedono né camice nere, né balilla, né dopolavoro, né partito unico, né l’IRI, né l’OVRA, né culti della personalità: c’è chi dice, quindi, che la minaccia del fascismo sia stata resuscita in vista delle elezioni del 4 marzo. Scopo dell’operazione sarebbe soccorre la sinistra uscita letteralmente a pezzi dall’esperienza Letta-Renzi-Gentiloni, cercando di infonderle nuova vita grazie al suo storico cavallo di battaglia: l’antifascismo, appunto.
Se così fosse, lo spauracchio del fascismo dovrebbe dissolversi dopo il voto: chiuse le urne, contate le schede, iniziato l’iter per l’incerta formazione del prossimo governo, anche la minaccia del totalitarismo dovrebbe scomparire, senza peraltro aver rinvigorito la sinistra che si avvia ad una storica disfatta. Ma è davvero così?
L’antifascismo è soltanto un comodo tema da campagna elettorale per la sinistra in crisi di idee e d’identità? No, “la minaccia del fascismo” è tornata per restare e caratterizzerà, nei prossimi anni, non soltanto la vita politica italiana: ma anche quella tedesca, francese, americana, etc. Senza considerare, poi, quegli Stati che già mostrano evidenti tratti di “fascismo” secondo i canoni squisitamente liberali: la Russia di Vladimir Putin.
L’élite liberale, infatti, quella che sostiene da sempre il processo d’integrazione europea, quella che controlla l’ONU e le banche centrali, quella che ha impresso un’enorme accelerazione al commercio mondiale negli anni ‘90 cooptando la Cina, quella che supervisiona i flussi migratori che stanno investendo l’Europa, ha un’idea piuttosto allargata di “fascismo”. Il termine, dai connotati fortemente dispregiativi, è affibbiato a qualsiasi politica economica/interna/sociale che intralci i piani dell’establishment euro-atlantico: frenare l’immigrazione incontrollata è fascismo, attentare all’indipendenza della banca centrale (si veda il caso ungherese) è fascismo, sostenere la natalità contro i piani neo-malthusiani è fascismo, porre dazi o stimolare la domanda interna col varo di grandi opere è fascismo.
Ma chi frena l’immigrazione, ripristinando la difesa dei propri confini? Lo Stato.
Chi avanza pretese di controllo sull’emissione di moneta? Lo Stato.
Chi incentiva la natalità con piani ad hoc? Lo Stato.
Chi pone dazi a salvaguardia delle imprese nazionali o sostiene la domanda aggregata con opere infrastrutturali? Lo Stato.
Uno Stato forte ed efficiente, sicuro di sé, geloso delle proprie prerogative ed attento ai propri interessi è, agli occhi dell’élite cosmopolita che predica la globalizzazione, “fascismo”. Ne consegue che qualsiasi azione tesa a restaurare lo Stato sarà automaticamente etichettata come “fascismo” da chi individua nello Stato il maggiore ostacolo ai suoi piani di globalizzazione sfrenata e cancellazione delle nazioni: ecco perché lo spauracchio del “fascismo” non è transitorio ed accompagnerà l’intero Occidente nei prossimi anni.
Entrata in una fase di deflusso la globalizzazione, cresciute a livello allarmante le diseguaglianze all’interno della società, falliti i sogni di diluirli in aggregati sovranazionali (gli Stati Uniti d’Europa) o di cannibalizzarli (Siria, Iraq e Spagna), gli Stati stanno rialzando la china. L’establishment liberal schiuma di rabbia e grida: “torna il fascismo!”.
Lo Stato, aggregato di più famiglie (l’unita base che si sta in ogni cercando di cancellare) è una volontà indipendente, un’autorità a sé stante: un individuo che, erigendosi nel mondo, impedisce quel livellamento universale, “il Grande e Santo Impero Universale massonico”, che dovrebbe cancellare lingue, culture e razze. La difesa dello Stato è, agli occhi dell’oligarchia euro-atlantica, l’azione più esecrabile e abbietta: è apostasia. È fascismo.
In vista delle elezioni, Stefano Feltri, firma di diversi giornali liberal e attualmente vicedirettore de Il Fatto Quotidiano, ha pubblicato per Einaudi “Populismo Sovrano. I populismi si alimentano di un’illusione, che può essere pericolosa: il recupero della sovranità. Ma si tratta di una promessa che non si può mantenere, perché le leve del potere sono, ormai, inesorabilmente altrove.”
Non agitatevi, consiglia Feltri, perché le leve del potere sono ormai “inesorabilmente altrove”. Non è, però, un “altrove” metafisico: sono le stanze ovattate della BCE e della FED, le riunione segrete della Trilaterale e del Gruppo Bilderberg, il palazzo di vetro delle Nazioni Unite, i vari organismi che propugnano “più Europa, più mercato, più globalizzazione, più immigrazione”. Sapendo dove si trova il potere, è anche possibile riappropriarsene e c’è un solo strumento per farlo: lo Stato.
Forte, coeso e sovrano.
Se l’élite liberal, la cuspide ai vertici della globalizzazione, l’esigua minoranza che supervisiona questa grande dittatura economica e sociale, ritiene che sia “fascista” difendere e restaurare lo Stato, ebbene, non possiamo che dirci fascisti.
Fonte: http://federicodezzani.altervista.org/dietro-la-spauracchio-del-fascismo-timore-dello/
Se “le leve del potere sono ormai altrove”, il buon Feltri dovrebbe anche spiegarci se siamo ancora in democrazia e a cosa serva votare. Trovo surreale che, nelle varie comparsate televisive del nostro bocconiano di ferro, nessun interlocutore abbia il coraggio di rivolgergli queste due domandine semplici semplici. Sembra che ormai tutti i commentatori diano per scontato che a comandare debbano essere i mercati e le multinazionali. Abbiano almeno la coerenza di ammettere che votare per il Macron pentastellato, per il fenomeno di Rignano, per il pregiudicato di Arcore (che poi governerà con il fenomeno) o per Salvini, lo Tsipras di destra, è esattamente la stessa cosa.