Trump rivuole il vertice con Kim: quando la politica estera è un bluff
di GLI OCCHI DELLA GUERRA (Lorenzo Vita)
La lettera con Donald Trump ha annullato il vertice con Kim Jong-un non sembra aver scalfito la speranza di colloqui fra i due leader.
Le ultime notizie che arrivano dalla Casa Bianca, segnalano che una squadra di funzionari della Casa Bianca si recherà comunque a Singapore. Lo scopo è quello di “preparare” il vertice del 12 giugno. Nonostante tutto e, soprattutto, nonostante la lettere del presidente Usa.
L’incontro a sorpresa Kim – Moon
Cosa è cambiato in cose poche ore, è difficile dirlo. Sicuramente, da parte della Corea del Nord messaggi sono stati indirizzati verso la distensione. L’incontro (eccezionale per tempismo) di Kim con il presidente sudcoreano Moon Jae-in è stato un capolavoro politico di Seul e Pyongyang.
I due presidenti coreano si sono incontrati, abbracciati e stretti la mano. Il segnale era chiaro: la pace fra le due Coree non può aspettare. L’incontro a sorpresa, avvenuto nel villaggio di Panmunjom, nella zona demilitarizzata, è stato fondamentale.
La presidenza sudcoreana ha dichiarato che i due leader “si sono scambiati opinioni e hanno discusso di modi di applicare la Dichiarazione di Panmunjom per garantire un summit Usa-Corea del Nord di successo“. Un vertice di due ore in cui si sono manifestate da un lato la volontà di Kim di tenere il summit e, dall’altro lato, il grande ruolo politico assunto dal presidente Moon.
Un grande bluff di Trump?
“Stiamo avendo colloqui molto produttivi con la Corea del Nord sul ripristino del vertice che, se dovesse accadere, probabilmente rimarrebbe a Singapore nella stessa data, il 12 giugno. E, se necessario, sarà esteso oltre tale data”. Con questo tweet dal suo profilo ufficiale, Trump ha ridato una speranza a tutti.
Ma cosa è successo dalla lettera a quel tweet? Parliamo di neanche 48 ore. Eppure in questo breve arco temporale, sembra essere cambiata totalmente la predisposizione dell’amministrazione americana.
Il sito americano Politico suggerisce che uno dei grandi motivi per cui Trump ha voluto annullare il vertice, è che si sia trattato di un grande bluff. Trump è un uomo di affari. E nelle trattative gli piace mostrare il pugno di ferro, anche facendo saltare il tavolo. Una sorta di offerta al ribasso o direttamente una minaccia di fine dei negoziati, allo scopo di abbassare le pretese della controparte.
Secondo molti, con la Corea del Nord occorreva questa soluzione. Per decenni le amministrazioni americane sono state in balia delle volontà di Pyongyang. I nordcoreani hanno da sempre questa strategia di alzare le pretese per poi trattare. Il nucleare è un’assicurazione sulla vita, ma è stata anche una sorta di massima rivendicazione. Ed hanno costretto gli altri a trattare.
In questo negoziato, i due apparati burocratici, quello nordcoreano e quello statunitense, hanno avuto poi un ruolo negativo. Da un lato Mike Pence e John Bolton, dall’altro i burocrati del Nord – in primis il vice ministro degli Esteri, Choe Son-hui – hanno mostrato una pessima capacità di dialogo. E questo ha contribuito a fare in modo che Trump decidesse di far saltare l’incontro di Singapore.
L’approccio di Trump è un’arma a doppio taglio
L’approccio ha molti critici all’interno degli uffici del Dipartimento di Stato. Non tutti amano questo metodo del presidente Usa che, in poche ora, ha rischiato di mandare la Corea di nuovo sull’orlo del baratro. Non va dimenticato che subito dopo quella lettera, Moon ha convocato d’urgenza il gabinetto di sicurezza con vertici militari, diplomatici e dell’intelligence.
Il bluff, in politica estera, non è così semplice da far capire. Non è un contratto fra due imprenditori. E il rischio è che si scatenino reazioni incontrollabili o, alla peggio dimostrare poca affidabilità o incapacità al dialogo. Anche il minacciare un attacco, che per Trump è qualcosa di “tradizionale”, non ha la stessa percezione in ogni angolo del mondo.
I suoi sostenitori dicono che questo tipo di metodo sia l’unico utile con Kim Jong-un. Da una parte, mostrerebbe chi è la parte forte dell’accordo. Dall’altro lato, mette costantemente in guardia la controparte, che non sa, effettivamente, quale possa essere la prossima mossa.
Tuttavia, questo metodo ha un suo contraltare: la contraddittorietà. Gli Stati Uniti rischiano di diventare la potenza del bluff. E l’amministrazione Trump di essere ricordata per una politica estera da mercato in cui c’è chi fa l’offerta più alta e chi più bassa.
Inoltre, questo sistema di dialogo impone una serie di dubbi a tutti i partner internazionali e a tutti gli avversari. Nessuno sa come si comporteranno gli Stati Uniti. Nessuno sa se a Washington parlano seriamente, se stanno soltanto mostrandosi duri.
E si rischia il cortocircuito politico. Non è una strategia che alla lunga può aiutare, perché il mondo della diplomazia non è il mondo degli affari. Non si conclude un affare e basta, ma ci sono ripercussioni su tutta la propria politica estera. E si finisce o per non essere credibili o per scatenare reazioni incontrollabili da parte di chi si fida (o non si fida) di quanto dicono a Washington.
FONTE: http://www.occhidellaguerra.it/trump-kim-bluff/
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