Qualcuno ci salvi da Savona, dalle sue idee strampalate (e dal suo odio politico per Draghi)
di LINKIESTA (Mauro Bottarelli)
Dopo la flat tax a più scaglioni di aliquota, il deficit dinamico. Non fosse altro, il governo giallo-blu non pecca di fantasia in quanto a ricette economiche. Ma al netto delle acrobazie semantiche e dell’arrampicamento sugli specchi, l’approssimarsi della legge di bilancio sta portando con sè un caso Savona. Il ministro dei Rapporti con l’Unione Europea, infatti, sarebbe irritato. Molto irritato.
Questa volta non con il presidente Mattarella – reo di aver tutelato i conti pubblici dalla finanza creativa dell’accademico di riferimento dei sovranisti, emettendo un Daspo nei suoi confronti riguardo al Ministero dell’Economia e delle Finanze -, bensì con l’ambasciatore Maurizio Massari, capo della rappresentanza permanente a Bruxelles. Il quale si sarebbe permesso di non trasmettere al capo della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, il cosidetto “piano Savona”, ovvero 30 pagine di ricette del ministro per cambiare in senso più democratico e votato alla crescita l’Unione. L’irritazione sarebbe tale che, mormorano gli spifferi romani, Savona avrebbe addirittura chiesto la testa di Massari.
Fra le proposte presenti nel pamphlet, il deficit dinamico appunto, ovvero il superamento del vincolo del 3% attraverso il nuovo indicatore del PIL nominale su base annua e, soprattutto, un piano a lunghissimo termine per ridurre il debito italiano al 60% del prodotto interno lordo – come richiedono le norme europee -, dando in garanzia alla Bce, a babbo morto, le entrate fiscali future e le proprietà pubbliche. Insomma, non siamo alla vendita della Fontana di Trevi di Totò ma sicuramente all’ipoteca del Colosseo e degli Uffizi per finanziare il reddito di cittadinanza, sì. Al netto che soltanto queste due ricette parrebbero sufficienti al conferimento di una medaglia all’ambasciatore Massari per il loro non inoltro alla presidenza della Commissione Ue, il professor Savona nelle ultime ore è stato colto da un attivismo insospettabile fino a pochi giorni fa. Di colpo, l’uomo del “piano B” per l’uscita dall’euro e dell’apertura, per quanto tiepida (occorre essere sinceri), all’ipotesi di garanzia governativa russa sui nostri Btp dal prossimo anno, ha deciso di sparare siluri e fuochi artificiali.
Forse, più che altro, per segnalare la sua presenza al governo, come fanno i naufraghi con i razzi illuminanti. Fido alleato in questa campagna d’autunno, domenica è stato il quotidiano Libero, il quale sotto il sobrio titolo “L’euro è in coma: che crepi pure”, ospitava un’intervista del ministro, in questo caso presentata con un millenaristico O mi ascoltano o affondiamo. Insomma, après moi, le déluge. E qual è la ricetta di Savona per evitare che l’euro si schianti e con esso la zona euro? «Se non si stimola la crescita reale in un mercato che spontaneamente non la produce, non c’è palliativo monetario che possa sventare il collasso. È la grande conquista della scienza economica moderna. Per crescere occorre avere anche una politica fiscale europea. Il rispetto dei parametri viene dalla crescita, ossia non una visione statica, ma dinamica del problema».
Fra le proposte di Savona il deficit dinamico, ovvero il superamento del vincolo del 3% attraverso un piano a lunghissimo termine per ridurre il debito italiano al 60% del prodotto interno lordo, dando in garanzia alla BCE, a babbo morto, le entrate fiscali future e le proprietà pubbliche. Insomma, non siamo alla vendita della Fontana di Trevi di Totò ma sicuramente all’ipoteca del Colosseo e degli Uffizi per finanziare il reddito di cittadinanza sì
Di fatto, il famoso deficit dinamico. Ovvero, facciamo una politica fiscale europea ma basata su 27 politiche fiscali diverse, visto che in base al risultato del Pil nominale, si modellano i parametri entro i quali muoversi in ambito di finanza pubblica. Il perché del gesto dell’ambasciatore Massari diviene meno oscuro ad ogni passo, di fatto. E poi, in caso qualcuno avesse da ridire per l’eccessivo indebitamento delle politiche fiscali di qualche membro (tradotto, se vuoi fare un Legge di Bilancio in modalità Ricucci, te lo scordi), non c’è problema: la politeia di Savona (perché così ha definito modestamente le sue 30 pagine di proposta di riforma della governance europea) prevede il famoso piano di rientro a lunghissimo termine con la garanzia della Bce, la quale avrà in pegno le future entrare fiscali (un tanto al chilo) più il Duomo di Milano e la Reggia di Caserta.
Ma attenzione, perché il meglio il ministro Savona lo ha dato nella sua disputa a distanza con Mario Draghi, oggetto di una malcelata idiosincrasia dai tempi di Bankitalia e ora bersaglio delle puntute e precise critiche dell’accademico sardo. A detta del quale, sempre nell’intervista a Libero, «l’abilità di Draghi ha consentito di superare i vincoli della sua azione di fronte alle carenze statutarie, ma ciò ha richiesto tempo e trascinato polemiche non ancora sopitesi. Il problema è che le istituzioni devono essere ben regolate per ogni circostanza, cosa che attualmente manca».
E già verrebbe voglia così di dar vita a una petizione per l’intitolazione di una statua equestre all’ambasciatore Massari. Ma il problema è che questa uscita è di fatto una sorta di intervento riparatorio rispetto a quanto dichiarato dallo stesso Savona non più tardi di 24 ore prima, quando – gonfiando il petto, forse convinto di essere sul punto di stoccare il colpo letale alla Cyrano – affermava che «Mario Draghi si è procurato dei poteri che non avevamo previsto. Fa interventi sui cambi di cui sappiamo molto poco. La mia proposta è che questi poteri vengano messi nello Statuto in modo che poteri e responsabilità coincidano».
Savona vive ancora nella sua Ddr monetaria e nessuno, forse giustamente, ha il cuore necessario per dirgli che, addirittura, senza gli acquisti di Mario Draghi, probabilmente lui allo scranno di ministro non sarebbe mai arrivato, perché avremmo la Troika insediata da almeno cinque anni abbondanti a Roma
Ora, soprassedendo al fatto che la Bce sia regolata da un board che è organismo collegiale, il quale solitamente sa cosa intende fare Draghi e che probabilmente la riforma che ha in mente Savona presuppone il suo via libera formale a ogni mossa futura dell’Eurotower per diritto divino, il ministro con questa uscita presta il fianco a qualcosa che travalica l’iconoclastia o l’eterodossia economica e sconfina direttamente nel clinico. Inteso come quadro. Savona è un po’ come la madre del protagonista di Good bye, Lenin! e non lo sa. Con ogni probabilità (e speranza) si è appisolato prima del discorso del Whatever it takes di Mario Draghi e, svegliatosi da poco, nessuno al ministero o nel suo think tank sovranista ha avuto il coraggio di dirgli che nel frattempo il mondo è cambiato e – udite udite – la Bce ha addirittura dato vita al Quantitative Easing, monetizzando il debito!
E non solo sovrano, pure corporate, mortacci sua! Savona vive ancora nella sua Ddr monetaria e nessuno, forse giustamente, ha il cuore necessario per dirgli che, addirittura, senza gli acquisti di Mario Draghi, probabilmente lui allo scranno di ministro non sarebbe mai arrivato, perché avremmo la Troika insediata da almeno cinque anni abbondanti a Roma e solo parlare di “deficit variabile” potrebbe risultare passabile di violazione del codice penale. Ebbene sì, Draghi nel maggio del 2012 con ogni probabilità ha travalicato i suoi poteri statutari. Anzi, lo ha fatto con certezza. E Savona non è il solo a pensarlo, ancorché lui sia giunto con un pochino di ritardo alla brillante intuizione. Per anni e anni, questo è stato un mantra della Bundesbank e dell’allora ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble. Addirittura, al riguardo si è pronunciata la Corte costituzionale di Karlsruhe, talmente i tedeschi l’avevano presa bene.
Ora, fare i sovranisti anti-Ue e, soprattutto, gli anti-rigoristi con in odio il teutonico e ordoliberista surplus appare un po’ inconciliabile con la perfetta coincidenza di pensiero con i falchi berlinesi rispetto al mandato della BCE, questo andrebbe ammesso. Ma quando non si sa come stanno le cose, perché giustamente gli affetti più cari vogliono preservarti da un trauma che potrebbe essere fatale, a volte capita di litigare con la logica. E perdere. Ma tranquilli, salvo disastri globali che ne richiedano la prosecuzione emergenziale (come spera quotidiamente nelle sue preghiere serali Giancarlo Giorgetti), il 31 dicembre insieme al 2018, terminerà anche il Qe, quindi a poco a poco si potrà ricominciare a parlare serenamente con il ministro Savona un po’ di tutto, fino a dirgli magari anche la verità.
Salvo però evitare riferimenti troppo entusiasti a quella stagione straordinaria di acquisti obbligazionari a pioggia che evitò al nostro Paese di doverselo proprio vendere – a prezzo di saldo, oltretutto – il Colosseo. E non ai cinesi, probabilmente ai turchi. E che, soprattutto, permise a lui e alla sua allegra brigata sovranista di governare l’Italia, inviando perle di politeiain giro per l’Europa e chiedendo poi la testa di ambasciatori screanzati che, come si fa con le letterine di Babbo Natale dei figli che non si imbucano veramente, ha evitato di inoltrarla alla Commissione, più per decenza che per timore. Un po’ come il figlio premuroso di Good bye, Lenin! che evitava di far vedere il telegiornale alla madre per non farle scoprire l’orrida verità della caduta del Muro.
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