La Corte dei Conti lancia l’allarme scuole: ‘la messa in sicurezza degli edifici è stata fatta poco e male, soprattutto per il rischio terremoti’
di BUSINESS INSIDER ITALIA (Andrea Sparaciani)
Cosa hanno fatto i governi italiani che si sono susseguiti dal 2002 ad oggi per mettere in sicurezza le scuole del Paese? Poco. E anche quel poco, lo hanno fatto male.
È il durissimo responso dei giudici della Corte dei Conti che hanno analizzato i risultati del “Piano straordinario per la messa in sicurezza degli edifici scolastici previsto dalla l. n. 289/2002”. L’indagine rivela infatti che gran parte degli istituti scolastici sono rimasti senza lavori di ristrutturazione e, soprattutto, «la gravità della mancata messa a norma dal punto di vista sismico per molti di essi», tanto che «all’esito dell’indagine emerge la forte preoccupazione della Sezione per l’incompleto e lento adeguamento alla normativa vigente in materia».
Una relazione durissima che punta il dito contro «l’inadeguatezza delle risorse finanziarie disponibili in relazione al fabbisogno stimato; all’urgenza degli interventi affermata dal legislatore e la parzialità degli interventi di messa a norma, che hanno interessato solo una porzione limitata del patrimonio edilizio scolastico».
Bastano pochi numeri per sintetizzare lo sdegno: nel 2003 il Mit stimava il fabbisogno per la messa in sicurezza del patrimonio scolastico (allora di 42 mila edifici in totale) in circa 13 miliardi, poi sceso a 8 e infine a 4 miliardi, in seguito agli interventi attuati dalle amministrazioni locali sull’onda delle emergenze varie.
A fronte di tale stima, nei vari piani che si sono susseguiti – tre in tutto – sono stati stanziati 193,88 milioni (il 4,84% del fabbisogno) per il Primo programma stralcio; 295,2 milioni per il Secondo (7,38%) e 111,8 milioni per il Terzo (2,8%), per un totale complessivo di 600,88 milioni. Cioè è stato finanziato solo il 15 % del fabbisogno originariamente stimato.
E proprio di stima si tratta, perché neanche la Corte è riuscita a ricostruire con esattezza quanti soldi sono stati erogati e a chi sono andati in questi anni («Va tuttavia rilevato che il ricordato sovrapporsi di strumenti normativi non consente di ricostruire l’entità del finanziamento complessivo degli interventi nel settore»).
Con i tre maxi canali di finanziamento, in 15 anni «a fronte di 2.645 interventi complessivamente programmati, ne risultano avviati 1.945, mentre 637 non sono mai iniziati (24%). Gli interventi ultimati sono complessivamente pari a 1.617 su 2.651 previsti, pari al 61%». Una lista che gli stessi giudici hanno avuto difficoltà a compilare, vista l’approssimazione degli open data messi a disposizione dall’Anagrafe Scolastica (arrivata dopo 20 anni di attesa), una massa di numeri incompleti o duplicati e che «i dati relativi al rispetto delle norme antisismiche disponibili alla data del 28 maggio 2018 risultano aggiornati all’anno scolastico 2015-2016».
L’analisi ricostruisce un intricatissimo dedalo amministrativo che ha portato i giudici a sancire come «le risorse avrebbero potuto essere meglio utilizzate ove avessero fatte parte di un unico piano coordinato nelle modalità e nei criteri, in modo da garantire uno stanziamento adeguato di risorse, la regolarità nella loro erogazione ed evitare che su uno stesso immobile fossero effettuati interventi, contemporaneamente o in tempi diversi, finanziati in base a leggi diverse e che i lavori non potessero essere estesi all’intero immobile perché legati a finalità proprie delle specifiche normative».
La relazione (146 pagine) è la storia di 13 anni di sovrapposizioni legislative, di ritardi e disfunzioni, di competenze disperse tra Mit, Miur, regioni, enti locali, Cipe, Commissioni parlamentari; di una inerte giustizia amministrativa; di atti di indirizzo spesso in contrapposizione l’uno con l’altro; di procedure farraginose per l’ottenimento dei mutui.
Senza parlare poi del tempo perso a causa della querelle sui soldi dati indebitamente alle scuole paritarie, una questione risolta dopo tre anni solo dal Consiglio di Stato, il quale ha sancito che «il finanziamento di interventi a favore di soggetti privati è stato disposto nonostante l’evidente insufficienza delle risorse previste per l’adeguamento dello stesso patrimonio scolastico di proprietà pubblica e in assenza di criteri prestabiliti».
Altro dato sconvolgente è che nelle more dei vari piani di attuazione, negli atti di indirizzo approvati negli anni dalle Commissioni parlamentari, a perdere la maggior parte dei finanziamenti sono sempre state le scuole del Sud e delle isole a favore delle scuole del Nord: l’Abruzzo per esempio a fronte di 10 milioni stanziati dalla commissione nel 2010, si vede attribuire dalla stessa commissione nel 2011 solo 55 mila euro; la Calabria passa da 2,7 milioni a 500 mila; la Campania da 11,3 milioni a 1,1; la Sardegna dagli 1,1 milioni attribuitele nel 2010, si ritrova solo 340 mila euro complessivi l’anno dopo. Contemporaneamente, la Lombardia passa da 17,6 milioni a 35,3; il Piemonte vede crescere i fondi da 5,5 milioni a 11,6; mentre il Veneto passa da 7,1 a 10,6 milioni. Fondi ulteriormente tagliati dal successivo definanziamento operato a seguito della legge 107/2015
Le scuole a rischio sismico
Ma dove i giudici fanno di tutto per non nascondere la propria indignazione è nella parte della relazione dedicata all’edilizia scolastica nelle zone sismiche.
Dove si è fatto poco o nulla: dei 39.847 edifici scolastici italiani censiti al 4 giugno 2018, 17.160 (il 43%) si trovano in zona sismica 1 e 2 (cioè dove possono verificarsi terremoti, rispettivamente fortissimi e forti). Oltre il 50% di questi edifici risale a prima dell’entrata in vigore della normativa antisismica e solo il 21% delle scuole presenti in queste aree risulta progettato o adeguato alla normativa tecnica di costruzione antisismica.
In generale, dice la Corte, «complessivamente, il patrimonio edilizio scolastico risulta di bassa qualità, con carenze significative di vario tipo, dalla messa in sicurezza antisismica, all’acquisizione del certificato di idoneità statica, di agibilità e di prevenzione incendi come previsto dalla normativa».
A essere più esposte, le scuole di Calabria, Campania, Abruzzo e Sicilia, Toscana, Lazio e Marche. Si tratta in maggioranza di edifici con «un livello di sicurezza non allineato alla specifica normativa perché costruito prima del 1974», anno in cui entrarono in vigore i provvedimenti per le costruzioni localizzate in particolari aree sismiche (l. 2 febbraio 1974, n. 64). Inoltre, quelli costruiti dopo tale data, pur se in regola rispetto alle norme antisismiche vigenti al momento della loro realizzazione, si sono trovati ad essere, comunque, non conformi alla normativa sismica più recente.
In totale, le scuole situate in zone a forte rischio terremoti e prive di progettazione antisismica sono 1.983, mentre quelle in zone a rischio medio ben 10.201. Naturalmente la situazione varia da regione a regione: in Abruzzo, per esempio, si contano 115 scuole situate in zone a forte rischio prive di progettazione antisimica, mentre per altre 426 non si sa, perché non ci sono documenti disponibili. In Calabria le scuole fuori norma in zone a elevato rischio sono ben 1.113 sulle 1912 della regione! Ma si potrebbe continuare con l’Umbria, dove su 781 istituti, quelli privi di certificazione e situati in zone ad alto rischio sono 98, mentre quelle in zone a rischio medio fuori norma sono ben 416.
In conclusione i giudici hanno ricordato la pronuncia 190/2018 della Cassazione, la quale ha sancito come «il patrimonio scolastico che, a seguito delle ricognizioni effettuate, fosse riscontrato non perfettamente in regola con le norme antisismiche, non dovrebbe essere destinato all’istruzione scolastica». Un precetto che se rispettato, bloccherebbe l’attività scolastica in mezza Italia.
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