Che venga l'esercito padano
di Buzz Buzz&M
“In tutte le regioni bagnate dal Po c’è l’esercito padano. Aspettano che succeda qualcosa, aspettano un lampo per mettersi in cammino. Che l’Italia va a picco l’hanno capito tutti, perciò bisogna preparare qualcosa di alternativo: la Padania”
Il gioco dei leghisti, di tirare il collo a Berlusconi fino al collasso, per poi rimestare nel torbido nel marasma generale, nella logica pura del tanto peggio tanto meglio, viene finalmente allo scoperto. Non ci voleva molto a immaginarlo, da anni. Solo gli idioti del PD non l’avevano capito.
Ma io… come vorrei vederlo, st’esercito padano.
Sono quindici anni che aspetto di vederli.
Avevo parcheggiato la macchina sul piazzale del ristorante-rifugio Lago D’antorno, una domenica d’agosto. La macchina era targata Roma e io ero ospite, con mia figlia, che allora aveva un anno, a casa di amici di Auronzo. Ero andato a fare una passeggiata con la bambina sulle spalle e ce l’avevo in braccio mentre cercavo di aprire la macchina.
Infilo le chiavi e sento dire: “romano di merda, hai visto che mi hai fatto?” Mi volto e vedo due uomini e una donna. Capisco che ce l’hanno con me, visto che ci sono solo io nelle vicinanze, perdipiù romano.
Non credo nemmeno per un istante ad un errore di persona. So riconoscere una provocazione quando ne vedo una. Però chiedo: “ma dici a me?”
“Si a te testa di cazzo…”. Sono adulti, non sono dei ragazzi. Hanno almeno una quarantina d’anni.
Avevo sempre mia figlia in braccio, e in un istante sentivo l’adrenalina pomparmi in testa.
La vista si restringe, le figure intorno diventano indistinte, non vedi più le espressioni ma solo i movimenti. Macchie confuse. La voce che si abbassa, il respiro che si taglia.
Ma loro sono ancora lontano, a 3-4 metri. Parlano i due uomini e anche la donna. Uno dice di qualcosa sullo sportello della macchina accanto. Guardo e ha un segno. In pratica sta dicendo che quel segno glielo avrei fatto io con il mio sportello. Ma non è vero, quando sono arrivato questa mattina la sua macchina non c’era. E nessuno ha aperto lo sportello della mia macchina nel frattempo. E poi basta aprirlo e appoggiarlo per rendersi conto che non coincidono i punti di contatto, ci sono 4-5 centimetri.
Gli dico “guarda che ti sbagli coglione”. Ma la mia voce è una specie di ringhio.
Sono sorpresi dall’insulto, forse non si aspettavano una reazione aggressiva e allora partono con una sequela d’insulti in dialetto, in cui le parole roma e terroni ricorrono, insieme ad altri perfettamente riconoscibili da parte di chi, come me, è mezzo bellunese e ha passato l’infanzia da quelle parti. Ma non si avvicinano.
Appoggio la bambina in macchina, fra i sedili anteriori e quelli posteriori, in modo che non cada. Chiudo lo sportello a chiave e me le metto in tasca. Ecco ora potete anche venire.
Poso lo zaino a terra e senza farmi accorgere prendo un coltello a serramanico che mi porto sempre dietro in montagna. Lo apro. E aspetto.
In quel momento, per la prima e unica volta della mia vita, fino ad oggi, sento in me una sensazione mai provata, e capisco cosa significhi rabbia omicida. Una rabbia fredda, feroce, che non aspetta altro che un gesto, lo spera, lo anela, per scatenarsi, per fare il massimo male possibile.
Ho subito un attacco assolutamente pretestuoso e ingiustificato, oltre che vigliacco perché avevo la bambina in braccio, e inaspettato. Amo quella terra. In essa sono sepolti i miei morti. Ma non importa. Non voglio rivendicare questa parte di me. In quel momento voglio essere quello che sono ai loro occhi: un romano, un diverso da loro. Così come potrei essere un nero. O uno qualunque fra quelli che al mondo subiscono il razzismo. Questo infame abominio che ti colpisce per la tua razza, per il tuo colore, per la tua nascita.
Aspetto mentre i due maschi mi girano attorno e la donna, più distante, mi insulta e li incita. C’è qualcosa che ride dentro di me. E una parte che spera non accada nulla, perché immagina le conseguenze. Il dopo. Ma una parte di me ride e balla e gli occhi gli brillano e vuole vedere il colore del sangue.
Non lo so cosa sia trapelato da me. Ma non si sono avvicinati. Sono rimasti a distanza. Forse erano ubriachi, ma non abbastanza da non capire quello che rischiavano. Si sono allontanati bofonchiando insulti.
Io ho preso la macchina e mi sono spostato di un po’ di metri, con la bambina in braccio sono entrato nel bar, e l’ho data alla zia. Ancora li aspettavo. Solo dopo un bel po’, quando ho visto che la loro macchina non c’era più, la botta mi è scesa. Mi veniva da vomitare e tremavo, mentre smaltivo l’adrenalina.
Dovrei essere grato a quella feccia, a pensarci bene:
– per avermi fatto provare cosa vuol dire sentire sulla pelle il razzismo. Un conto è saperlo ideologicamente, un altro è ricevere addosso il marchio arroventato. Sentire il dolore, vedere la carne fumare.
– per avermi fatto provare cosa vuol dire godere all’idea di fare male, mordere la giugulare e strapparla con i denti. Come una bestia feroce. Mi è capitato tante volte da ragazzo di capitare in risse, le avevo date e prese, ma mai avevo sentito dentro di me quella sensazione.
Entrambe le cose sono state istruttive: ho capito meglio gli uomini e quello che fanno, in certe circostanze.
Ma ho capito anche che quel tipo di uomini, se tali si possono chiamare, erano e saranno sempre miei nemici. Gli stessi di sempre. Gli stessi che erano nemici di mio nonno, 65 anni fa.
Che venga, l’esercito padano.
Con questa stessa tensione quotidiana mi sono passato gli anni '70. Idioti che si fermavano per menarmi, autobus che tentavano di investirmi, il minimo che potesse succedere erano le sfilze di ingiurie gratuite.
Se dico il motivo vi mettete a ridere: avevo i capelli lunghi. Nemmeno Pasolini li sopportava, simbolo degenere dell'Occidente. Avevo proprio tutti contro.
Quindi mi sono abbastanza abituato a quella dose di adrenalina che chiede sanguinaria vendetta.
Ma proseguiamo con l'analisi. Che non si pensi che l'auto targata Roma sia stata la causa scatenante dell'incidente. Fosse stata targata Treviso in territorio vicentino, o qualsiasi altra variante il risultato non sarebbe cambiato. Per questo un improbabile esercito padano avrebbe la consistenza dell'esercito di rivoltosi libici, sempre in lotta contro tutti anche se appartenenti alla stessa organizzazione ma non alla stessa sottocultura locale.
Sì, in realtà nemmeno volevo fare un'analisi delle componenti della lega. Ma riportare la storia di un'acredine personale, verso certa gente. So che c'è anche altro, ma c'è anche questo. E' il peggio che abbiamo dentro, come specie umana, che emerge in ogni occasione, ad ogni latitudine.
Il problema è che quando a questo "peggio" si da dignità ideologica, ecco che abbiamo i periodi peggiori della nostra storia. L’offuscamento dei lumi della ragione, purtroppo.
A prima vista questo esercito padano sembra null'altro che un delirio onanistico di un vecchio malato.
Ma la situazione in italia è pesante.
Masse da manovrare che prima non esistevano, potrebbero anche apparire sulla scena, prima di quanto ci si possa aspettare.
Quando si è toccati da vicino la ragione fa presto a sparire e ci si rifugia nella retorica e nel mito. Quando il sistema verrà giù e inizieranno guerre civili e meno civili, quello di cui parla nell'articolo sarà il tipo umano prevalente (e prediletto) in eserciti e milizie di ogni colore, comprese quelle che piaceranno a Lei.
Così è stato nel corso della guerra mondiale, quando greggi identiche si scannavano per la mitologia propagandata dai loro padroni: la razza, il comunismo, l'umanità o altri Manitù vari. "L'infame abominio" è semplicemente una religione diversa dalla Sua, e la Sua reazione quella tipica della "scimmia assassina" (come Audrey definisce l'essere umano) quando si trova dinanzi a una minaccia alla propria incolumità unita all'asserzione di miti-forza ostili a quelli da lui interiorizzati.
Quando l'esercito – padano o altro – finirà per venire davvero, ripeterete il teatrino recitato miliardi di volte da che le scimmie sono scese dagli alberi, e vi scannerete nella limitata e limitante convinzione di avere delle ragioni. La vita fiorisce sulla limitatezza.
Per il resto congratulazioni per l'eccellente sito, che mi propongo di visitare spesso.
Lorenzo, in primo luogo, grazie per le congratulazioni. E complimenti per lo stile e le idee.
Non assolutizzerei "la vita fiorisce nella limitatezza". E' un punto di vista. Relativo ad alcuni si e ad altri no. E Relativo a periodi della medesima vita. Nella sua assolutezza fa da contralttare a Tirteo, per il quale era "bello morire per la patria". Se tutti avessero avuto quel punto di vista non avremmo avuto né la rivoluzione francese, né quella russa, né la lunga marcia cinese, né la resistenza, né la rivoluzione cubana. Gli indiani d'america avrebbero dovuto lasciarsi estinguere senza combattere. L'islam sarebbe condannato per sempre a sottostare alla volontà dell'impero diabolico e dei regimi corrotti.
La violenza è levatrice della storia. Questo è un fatto. La politica implica l'appartenenza a una collettività: etnia, nazione, popolo, classe. Altrimenti non ha ragion d'essere. Nella storia la politica è fatta nell'80% dei casi e del tempo dalle volpi. Nel 10% dai leoni. Nel 10% dai guerrieri. Io spero che venga il tempo dei leoni (e non dei guerrieri). Ma una secoli di volpi senza leoni o guerrieri, uccide l'uomo e fa nascere il consumatore.
(una correzione il 24.9.2011 ore 5,00)
>>> Ma un secolo di volpi senza leoni o guerrieri, uccidono l'uomo e fanno nascere il consumatore.
Ben detto. Io formulerei il concetto così: la convivenza umana è un pendolo oscillante fra gli estremi della brutalità e dell'ipocrisia. Non vi piace la seconda? Presto vedremo se apprezzerete le delizie della prima!