La crisi dell'”Espresso” è uno dei segnali dell’imminente “1989” del neoliberismo progressista
di RICCARDO PACCOSI (FSI Bologna)
La crisi de L’ Espresso, o comunque il suo ridimensionamento, è uno dei tanti segnali dell’imminenza d’un “1989” del neoliberismo progressista, ovvero d’una rovinosa ed irreversibile delegittimazione storica, simile a quella che investì trent’anni fa il movimento comunista internazionale.
Innanzitutto occorre prendere atto del fatto che questo è un passaggio necessario, inevitabile.
Le visioni del mondo basate sull’astrazione idealistica possono rifarsi al mito d’un ruolo-guida della Germania, ad un marxismo-leninismo trasformato in dogma ipostatizzato oppure, come in questo caso, ad un concetto di modernità fine a se stesso e giustificato, come anche nel caso dei totalitarismi passati, attraverso una concezione determinista della storia.
Ma qualunque forma storico-ideologica possa di volta in volta assumere, l’idealismo finisce sempre per fare i conti con le contraddizioni reali e con gli imprevisti.
Il divenire storico, in ragione dell’irriducibile complessità della sua composizione, si rivolta sempre contro quei determinismi che pretenderebbero di imbrigliarlo, semplificarlo, darne per scontato il corso.
Il liberismo progressista era un’ideologia che sosteneva le strategie politiche della globalizzazione come fossero fenomeni naturali e per ciò stesso ineluttabili e dunque, proprio fondando la sua ragion d’essere su quest’astrazione idealistica dell’ineluttabilità, poneva le basi della propria futura delegittimazione.
L’estremismo, in breve, si rivolge presto o tardi contro se stesso.
Tutto questo, dovrebbe essere assunto come storicamente compreso.
Ma solo ed esclusivamente a partire da questa specifica comprensione si può, oggi, realmente operare affinché quello che andrà a sostituire il liberal-progressismo non sia una nuova configurazione del liberismo, oppure un ordinamento ideologico peggiore.
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