CLIL e cittadinanza europea? No, grazie!
di GIAMPIERO MARANO (FSI Varese)
Al primo posto fra i diciassette “obiettivi formativi prioritari” individuati dall’art. 7 della Legge 107/2015 (la “Buona scuola” del PD) figura “la valorizzazione e il potenziamento delle competenze linguistiche (…) anche mediante l’utilizzo della metodologia Content language integrated learning”.
Cosa si intende per Content and Language Integrated Learning (CLIL)? La legge non lo spiega neppure in sintesi ma il sito ufficiale del MIUR chiarisce che “si tratta di una metodologia che prevede l’insegnamento di contenuti in lingua straniera. Ciò favorisce sia l’acquisizione di contenuti disciplinari sia l’apprendimento della lingua straniera”.
Il MIUR precisa inoltre che l’insegnamento di una disciplina in lingua straniera è obbligatorio nell’ultimo anno dei licei e istituti tecnici e a partire dal terzo anno nei Licei Linguistici.
I critici della “Buona scuola” osservano giustamente che le competenze dei professori e degli studenti sono troppo limitate per consentire in una lingua straniera il dialogo educativo, l’apprendimento serio e l’approfondimento – tre cose che, del resto, vengono apertamente osteggiate dal regime europeista e dai suoi picciotti (“a scuola non si fa cultura!”, mi disse una volta un preside, zelante sostenitore delle riforme).
Ma la questione cruciale rimane un’altra.
Poiché la legge 107 stabilisce che la lingua straniera da potenziare è l’inglese o una delle lingue in uso nei paesi dell’Unione Europea, l’introduzione della metodologia CLIL risulta evidentemente finalizzata all’acquisizione di quell’obiettivo chimerico definito “cittadinanza europea” con un ossimoro truffaldino.
Sappiamo bene, infatti, che per sua natura e struttura l’UE non contempla alcun concetto di “cittadinanza” ma soltanto quello di “sudditanza” alle oligarchie finanziarie e alle multinazionali. Su questo punto, però, la consapevolezza di gran parte degli insegnanti e degli studenti è ancora scarsa e ai sovranisti rimane, in tal senso, ancora molto lavoro da fare.
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