Il sogno americano è diventato un incubo, anche in Italia
di FRANCESCO SUMAN
Gli Stati Uniti sono sempre stati considerati la terra delle opportunità. Il sogno americano si realizza tramite la mobilità sociale: se ci credi, anche a partire da un piccolo gruzzolo puoi costruirti la tua fortuna e scalare gli strati sociali fino alla vetta.
Nel 2017 un lavoro condotto dall’economista di Stanford Raj Chetty e pubblicato su Science ha messo in luce un dato sconcertante: mentre il 90% delle persone nate negli anni ’40 arrivava a guadagnare più dei loro genitori, soltanto il 50% delle persone nate negli anni ’80 ha superato il reddito dei loro genitori. A cavallo tra XX e XXI secolo il sogno americano è iniziato a sbiadire.
A settembre di quest’anno Michael Hout, sociologo della New York University, ha pubblicato uno studio su Pnas in cui ha preso in esame le differenze economiche che persistono tra genitori e figli statunitensi in un arco di tempo che va dal 1994 al 2016. Si parla di mobilità intergenerazionale quando si osservano cambiamenti in termini di retribuzione, occupazione, salute o istruzione di un individuo rispetto ai propri genitori. Lo studio di Michael Hout rileva invece quella che viene definita una “persistenza intergenerazionale”: lo status sociale degli americani è strettamente correlato allo status dei loro genitori. Le condizioni in cui un individuo si trova alla nascita sono il fattore che maggiormente condiziona la realizzazione dei suoi obiettivi di vita. L’ascensore sociale si è rotto e il sogno americano si è trasformato in un incubo da cui non ci si riesce a svegliare.
Il rapporto sulla mobilità sociale rilasciato a giugno di quest’anno dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, 35 paesi membri) fotografa anche la situazione italiana.
Il trend è molto simile a quello statunitense. In Italia lo status economico dei figli è fortemente correlato a quello dei rispettivi genitori, al punto che secondo le stime sono necessarie 5 generazioni prima che una persona nata in una famiglia a basso reddito (tra il 10% più povero della popolazione) raggiunga il reddito medio nazionale. Se nasci povero, tu, i tuoi figli, i tuoi nipoti e i tuoi bisnipoti restano poveri. Inoltre si registra una certa persistenza nei mestieri: circa il 40% dei figli di coloro i quali vivono di lavori manuali continua a svolgere lavori manuali, mostrando scarsa mobilità verso l’alto.
In questa classifica, la Danimarca è quella che se la cava meglio: in 2 generazioni un individuo proveniente da una famiglia a basso reddito raggiunge il reddito medio nazionale. Peggio di tutti fa la Colombia, con 11 generazioni. In Europa, Germania e Francia sono messe peggio dell’Italia, con 6 generazioni; gli scandinavi (Norvegia, Finlandia, Svezia) si attestano a 3; Spagna, Belgio e Paesi Bassi a 4; Portogallo, Irlanda, Regno Unito, Svizzera e Austria fanno compagnia all’Italia.
Cinque generazioni di “bamboccioni” o forse c’è qualche problema più strutturale alla base di questa incapacità dei figli di allontanarsi, economicamente, dal “nido” genitoriale? Il rapporto Ocse punta un riflettore sui livelli di istruzione di figli e genitori: oltre all’occupazione, anche qui l’Italia mostra indicatori piuttosto bassi che mettono in luce la persistenza intergenerazionale.
Più del 60% dei figli provenienti da famiglie con istruzione inferiore al livello di scuola superiore resta con lo stesso livello di istruzione dei genitori, quando la media Ocse è del 40%. Come se ciò non bastasse, laurearsi, in Italia, non paga: in Italia i laureati, formatisi nel settore terziario, guadagnano in media il 40% in più rispetto ai diplomati, con formazione nel settore secondario, quando la media Ocse dice che dovrebbe essere almeno il 60% in più. Anche risalire le fasce di reddito individuale nel corso di una vita è più complicato in Italia che altrove e la persistenza dei redditi bassi è più forte in fondo alla scala sociale.
Il rapporto Ocse parla di “pavimenti collosi”: le persone al fondo della scala dei redditi hanno poche possibilità di salire e la mancanza di mobilità verso l’alto provoca la perdita di molti talenti. “Ciò mina la crescita economica potenziale e riduce la soddisfazione individuale, il benessere e la coesione sociale” si legge. All’altra estremità della scala sociale il rapporto parla anche di “soffitti collosi”, dove si accumulano opportunità che si tramandano di padri in figli. In mezzo, le famiglie con reddito medio rischiano lentamente di scivolare verso il basso nella zona di povertà.
Mentre l’Italia è sostanzialmente in linea con gli altri Paesi Ocse per quanto riguarda la forbice della disuguaglianza dei redditi (la più aperta è quella messicana, la più chiusa l’islandese), la mobilità educativa e la mobilità occupazionale in Italia sono vistosamente al di sotto della media. Dai loro genitori i figli non ereditano solo i beni di famiglia, ma anche il tipo di occupazione, il livello di istruzione e il livello di reddito. Se questi sono bassi, restano bassi.
Come scrollarsi quest’immobilismo di dosso? La disoccupazione giovanile è un problema pressante e occorre evitare una guerra tra generazioni: oggi i giovani che entrano nel mercato del lavoro lo fanno con salari che sono circa la metà di quelli che vi escono. Tra gli obiettivi fissati dal rapporto per sanare questa grave situazione ci sono: 1) investimenti in istruzione e competenze; favorire l’accesso agli asili nido; favorire l’accesso all’istruzione terziaria per i giovani provenienti da famiglie povere; misure per ridurre l’alto tasso di abbandono scolastico. 2) Combattere la disoccupazione e gli alti tassi di giovani Neet (Not engaged in education, employment and training); aumentare la qualità dei servizi pubblici all’impiego. 3) Migliorare le reti di protezione per le famiglie povere per garantire che i lavoratori licenziati non cadano in povertà.
fonte: ilbolive.unipd.it, 12.10.2018
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