Popolo sovrano e amministrazioni indipendenti
di STEFANO ROSATI (FSI Rieti)
Per il Presidente della Repubblica “La nostra Costituzione […] si articola nella divisione dei poteri, nella previsione di autorità indipendenti, autorità che non sono dipendenti dagli organi politici ma che, dovendo governare aspetti tecnici, li governano prescindendo dalle scelte politiche, a garanzia di tutti”. (https://www.quirinale.it/elementi/18162).
Difficile non sentire in queste parole una eco della querelle del Vice Presidente del Consiglio dei Ministri con la Banca d’Italia.
Nella specifica vicenda ritengo ragionevole l’invito implicito del Presidente dalla Repubblica ad abbassare i toni.
Volendo però passare a una riflessione più generale su legittimità e ruolo delle autorità indipendenti nel nostro ordinamento, viene da chiedersi cosa significhi dire che la nostra Costituzione prevede autorità indipendenti dagli organi politici, a garanzia di tutti.
Con la consueta precisione, un influente giurista ha chiarito che le autorità indipendenti “svolgono funzioni di regolazione o di aggiudicazione, NON COMUNQUE REDISTRIBUTIVE” (S. Cassese, “Governare gli Italiani” ed. Il Mulino p. 158).
Insomma, come l’ultimo ottimo amministrativista italiano notò molto tempo fa (F. Merusi), le autorità indipendenti servono per attuare il principio di eguaglianza formale (art. 3, comma 1 della Costituzione); “to level the playing field”.
Ad esempio la Banca Centrale, operando per tenere bassa l’inflazione, elimina un possibile fattore di ‘diseguaglianza’ tra debitore e creditore che altererebbe la concorrenza, impedendo al mercato di funzionare correttamente.
Tuttavia, la Costituzione prevede, in generale, che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” che limitano “di fatto” la libertà e l’eguaglianza dei cittadini (articolo 3, comma 2, della Costituzione). Questa disposizione è il fondamento del cosiddetto intervento redistributivo come fine ultimo e scopo essenziale dell’intera Repubblica. La Repubblica ha il dovere di farlo, non può non perseguire questo fine.
E’ possibile nel nostro ordinamento che un‘autorità pubblica (che peraltro opera in settori economici) non svolga funzioni redistributive? E’ possibile che un’autorità pubblica non sia, per statuto, impegnata nella rimozione degli ostacoli che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza (sostanziale) ma al contrario sia, per statuto, impegnata solo a garantire l’eguaglianza formale, astenendosi dall’intervenire sull’equilibrio dei rapporti creato dal mercato? E’ possibile che nei settori più ‘sensibili’, dove vengono in rilievo gli interessi economici più delicati (credito, moneta, risparmio, servizi) l’amministrazione debba, per statuto, astenersi dal perseguire funzioni redistributive?
E’ compatibile con la nostra Costituzione, che ha come obiettivo primario “la rimozione degli ostacoli di fatto”, ritenere che l’equilibrio creato dal mercato sia per definizione “giusto” e che quindi al potere pubblico sia vietato intervenire nell’economia per distorcerlo (a fini perequativi)?
Il senso degli articoli 1, 2, 3 e 4 della Costituzione è quello di assegnare allo Stato il compito di intervenire nell’economia per alterare l’equilibrio creato dal mercato o, invece, è quello di limitarsi a intervenire solo in casi eccezionali e solo per far funzionare meglio il mercato stesso (dove meglio vuol dire senza incidere sulle condizioni sostanziali delle parti in causa)?
L’equilibrio realizzato dal mercato è di per se’ giusto o risulta, invece, che l’equilibrio realizzato dal mercato è, per la stessa Costituzione, sempre ingiusto tanto da prevedere l’obbligo della Repubblica di intervenire per rimuovere gli “ostacoli di fatto”?
Certo, usando l’articolo 11 della Costituzione come un meccanismo di costituzionalizzazione di tutto quello che viene dall’ordinamento europeo, è agevole dire che le autorità indipendenti sono previste e tutelate dalla Costituzione. Non entro nel merito della questione ma, utilizzato in questo modo, l’art. 11 è di fatto uno strumento per superare la rigidità della Costituzione, per superarla senza modificarla formalmente, per mortificarla senza assumersi la responsabilità di farlo, senza fare la guerra civile che un sovvertimento così radicale del patto fondativo della nostra convivenza richiederebbe.
Questa prevaricazione violenta da parte della Costituzione materiale, ossia del regime, sulla costituzione formale, ossia sulla sovranità popolare, può durare all’infinito, in un continuo regresso verso forme di convivenza che pensavamo superate e che ci vengono ora propagandate come “progresso”.
La creazione di autorità a cui è affidata l’amministrazione di interi settori o mercati (con il divieto di operare interventi redistributivi), qualificate come indipendenti dal potere politico, è in realtà funzionale a sottrarre determinati gruppi sociali dalla politica, ossia dalla sovranità popolare.
Questo modello ha un nome specifico: si chiama “poliarchia” ed esprime la tendenza dei gruppi in concorrenza tra loro a crearsi settori specifici di autogoverno, da loro controllati (Dahl): la poliarchia presuppone che la sovranità sia ‘divisa’, frammentata tra vari gruppi e soggetti e non appartenga al popolo unitariamente inteso. Mi pare fin troppo evidente la enorme differenza tra questa forma di Stato e il principio scolpito nel primo articolo della Costituzione (la sovranità appartiene al popolo) e declinato negli altri 138.
Ancora. Siamo sicuri che le autorità indipendenti non svolgano funzioni redistributive, come nel trentennio pietoso ci hanno insegnato i cattivi maestri?
La fissazione dei tassi d’interesse, incidendo sul margine di profitto atteso dall’imprenditore, è davvero una decisione “non redistributiva”? (Cfr. P. Sraffa, Produzione di merci a mezzo di merci, Einaudi, 1960, ma anche Keynes nella Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta). “La Banca centrale europea, gestendo la liquidità e la solvibilità del sistema monetario, di fatto viene a incidere sulla distribuzione del reddito, assumendo così un ruolo che, in un sistema democratico, dovrebbe competere ad organi di tipo rappresentativo e non a banche centrali statutariamente indipendenti dal potere politico” (Luigi Cavallaro, Consigliere della Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione, in “Riv. It. Dir. Lav.”, 2014, pag. 136).
Un’ultima notazione. A ben vedere l’indipendenza delle autorità nazionali non è assoluta. Esse sono sicuramente indipendenti dalla politica nazionale, dal parlamento nazionale, ma non sono indipendenti verso le autorità “madri” europee (la Banca d’Italia è poco più di una filiale della BCE, l’antitrust nazionale è poco più di un ufficio della Commissione Europea, la Consob è una ‘branch’ dell’ESMA e così via).
In quest’ottica la creazione di autorità indipendenti non solo descrive il moto rivoluzionario del capitale che si sottrae alla sovranità popolare (e dunque un cambio radicale della forma di Stato costituzionale) ma anche il riorganizzarsi del capitale a livello sovranazionale in modo da poter imporre le proprie decisioni alla popolazione di più Stati contemporaneamente, al riparo dal processo elettorale ma anche al riparo dalla responsabilità politica per le scelte imposte.
Per attuare questo modello di concentrazione dei poteri verso l’alto e di fraudolenta collocazione verso il basso (a livello nazionale) della responsabilità politica, gli esecutori, ossia le autorità ‘indipendenti’ nazionali, devono essere dipendenti dalla autorità europee. Il paradigma delle autorità indipendenti è falso, prima ancora che incostituzionale.
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