Corea del Nord: almeno 13 siti missilistici non dichiarati ancora operativi
di SICUREZZA INTERNAZIONALE (Roberta Costanzo)
La Corea del Nord mantiene alcune basi missilistiche non dichiarate attive e funzionanti. A cinque mesi di distanza dall’impegno assunto da Pyongyang di denuclearizzare la penisola coreana, tale circostanza rafforza la convinzione di quanti hanno visto nel summit del 12 giugno una semplice intesa, di per sè poco vincolante, e aggrava lo stallo in cui si trovano attualmente le trattative fra negoziatori statunitensi e nordcoreani.
L’informazione è stata divulgata in un rapporto dal Center for Strategic and International Studies, un think tank statunitense con sede a Washington, che ha riferito di aver identificato almeno 13 basi missilistiche non dichiarate da Pyongyang attualmente operative. Secondo gli esperti del centro di ricerca americano, tuttavia, i siti sarebbero almeno 20 e, secondo quanto riferito dal ricercatore Joseph Bermudez, in alcuni di essi sono stati osservati interventi di manutenzione e altri miglioramenti minori.
Le basi in questione sono sparse in tutto il Paese asiatico e principalmente situate in remote aree montuose. Secondo il rapporto, tali siti potrebbero essere utilizzati per ospitare missili balistici di varie gamme e si ritiene che il più grande possa raggiungere gli Stati Uniti e colpire ovunque nel territorio americano. Gli esperti statunitensi hanno riferito altresì che il sito più vicino al confine con la Corea del Sud e alla sua capitale Seoul, è il sito di Sakkanmol, che, secondo il rapporto, è “attivo e in condizioni ragionevoli”.
“Le basi operative dei missili non sono strutture di lancio”, ha specificato Bermudez, sottolineando che le procedure operative della Korean People’s Army (KPA) richiedono che i lanciamissili siano collocati in appositi siti di lancio, distinti dalle basi identificate. Tuttavia, secondo Bermudez, “i missili potrebbero essere lanciati al loro interno in caso di emergenza”.
Nessuna delle basi missilistiche è stata riconosciuta dalla Corea del Nord, che, all’inizio di quest’anno, ha interrotto i test missilistici e nucleari e ha poi dichiarato di aver chiuso il sito nucleari di Punggye-ri nonchè l’impianto di prova dei motori missilistici di Sohae.
I negoziatori statunitensi e sudcoreani, tuttavia, non hanno ancora ottenuto da Pyongyang una dichiarazione dettagliata relativa alle dimensioni o alla portata dei programmi di armamento nè l’impegno a interrompere il dispiegamento dell’arsenale attualmente esistente.
Quando si sono incontrati a Singapore, il 12 giugno, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e il leader nordcoreano, Kim Jong Un, hanno firmato un documento congiunto nel quale si sono impegnati a lavorare congiuntamente in vista della completa denuclearizzazione della penisola coreana. Cinque mesi dopo, tuttavia, i negoziati hanno fatto pochi progressi. Il fatto che diverse basi missilistiche siano ancora operative, pertanto, contribuisce a rafforzare la convinzione di quanti, contrariamente al leader della Casa Bianca, che, poco dopo il summit, aveva twittato che la minaccia nucleare proveniente dalla Corea del Nord era venuta meno, avevano invece visto nei risultati del summit del 12 giugno una semplice intesa, poco dettagliata e vincolante.
Il 10 novembre, la Corea del Nord ha annullato un incontro con il Segretario di Stato americano, Mike Pompeo, a New York, e i media di Stato nordcoreani hanno informato che la ripresa di alcune esercitazioni militari su piccola scala da parte della Corea del Sud e degli Stati Uniti viola l’intesa volta a ridurre le tensioni sulla penisola coreana. Il 2 novembre, peraltro, il ministero degli Esteri nordcoreano ha rilasciato una dichiarazione nella quale informava la comunità internazionale e, principalmente, gli Stati Uniti, che la Corea del Nord considererà seriamente di tornare a sviluppare le armi nucleari se Washington non metterà fine alle severe sanzioni economiche contro il regime.
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