Per un partito in sintonia con il popolo
di SENSO COMUNE (Mattia Maistri)
Sia all’interno di Senso Comune che nella galassia dei movimenti genericamente affini si sta discutendo su quale debba essere l’identità di un partito egemone e aggregante (quindi non settario) alternativo alla prospettiva liberale e a quella nazionalista. A tal proposito, è opportuno riflettere su quali siano le strade percorribili per realizzare tale scopo. È possibile individuarne principalmente tre:
1. L’aggregazione del popolo tramite leadership: il partito si costituisce e si allarga grazie all’impatto mediatico del proprio leader, che assume sulla sua persona i caratteri del partito stesso. Tale prospettiva, anche in caso di presenza di un leader carismatico e coinvolgente (situazione niente affatto comune), mostra in ogni caso il fianco a un’intrinseca debolezza che ne segna inevitabilmente il destino: ovvero la sovrapposizione uomo-partito. In quest’ottica le sorti del partito dipendono in tutto e per tutto dal successo personale del leader (e del suo cerchio magico), il quale se, da un lato, ha la possibilità di gonfiare la bolla elettorale del partito al momento della sua ascesa, tuttavia, dall’altro, ne può causare altrettanto rapidamente il declino. Se l’obiettivo di Senso Comune è quello di contribuire a dare vita a un partito egemone e duraturo e non a un’effimera bolla elettorale, è evidente che l’aggregazione del popolo tramite leadership può facilmente fallire sul medio-lungo periodo e generare nell’elettorato disillusione, disaffezione e persino ostilità.
2. L’aggregazione del popolo tramite i simboli dell’ideologia: il partito si struttura attorno a simboli e parole riconosciuti come “sacri”, cioè intoccabili, dal popolo di riferimento. Tale prospettiva, molto efficace nel corso della stabilizzazione dei partiti-massa del Novecento, risulta oggi piuttosto futile, sia perché è priva di un popolo già ideologizzato, sia perché la “caduta degli dèi” di fine Novecento ha travolto i simboli e le parole del passato, rendendone l’utilizzo un mero feticcio per gruppi ristretti, del tutti incapaci di esercitare egemonia. In questo scenario vanno inseriti anche i termini “destra” e “sinistra”, che simbolicamente oggi non possono essere aggreganti al di fuori di cerchie già delimitate e autoreferenziali. Il fallimento costante delle aggregazioni elettoralistiche “di sinistra” lo dimostra ampiamente.
3. L’aggregazione del popolo tramite risposte specifiche alle esigenze concrete: il partito si struttura “funzionalmente” attorno a soluzioni dettagliate e precise di problemi concreti (ad esempio: disoccupazione, diritto alla casa, servizi pubblici, migrazioni, inquinamento, …). Il popolo, in questo caso, si aggrega non attorno a una figura carismatica e taumaturgica (modello 1), né attorno a simboli e ideologie (modello 2), ma attorno alla dinamica “problema-soluzione”.
Il partito, quindi, si sviluppa ordinatamente attraverso le seguenti fasi, il cui rispetto è indispensabile per non cadere nella sterile successione di inutili “campagne d’azione” (tipiche del “movimentismo”) che risulterebbero slegate da una visione complessiva e organica che un partito deve avere:
a) riconoscimento e selezione delle reali esigenze della massa, ovvero l’ampia classe costituita dal proletariato e dal ceto medio impoverito;
b) creazione di gruppi referenziati con lo scopo di individuare le soluzioni alle esigenze; tali gruppi hanno il compito di produrre un documento d’azione dettagliato, intelligibile e chiaro (Piano Operativo);
c) condivisione del Piano Operativo con gli attivisti del partito;
d) lancio del partito su larga scala con la raccolta delle adesioni in nome del Piano Operativo (utilizzo a tale scopo della piattaforma online e dei gruppi locali);
e) ricerca (anche spregiudicata) di spazi sui mezzi di comunicazione per promuovere il Piano Operativo.
In questo modo, il partito non sarà costituito dalla corte dei miracoli del leader, né dall’aggregato ideologico incapace di andare oltre l’accrocco di sigle, liste e grupponi elettorali. Il partito risultante, invece, sarà un soggetto “funzionale”, la cui identità deriverà dalla condivisione di esigenze e di soluzioni, al di là delle bandiere, dei nomi e dei leader.
Solo in questo modo si possono superare le fallacie insite nel modello leaderistico e in quello ideologico, aprendo le porte a un partito davvero aggregante, in grado di condurre la sua battaglia sempre e soltanto nella realtà storica vissuta dal popolo a cui si rivolge.
Gli avversari, se privi di un Piano Operativo realmente alternativo, saranno costretti a rifugiarsi dietro al vessillo del grande capo (destinato comunque a cedere, nonostante un possibile iniziale successo) o alle formule ideologiche a cui credono sempre meno persone, lasciando al nostro partito spazi d’azione e di consenso sempre più ampi.
Fonte: https://www.senso-comune.it/rivista/in-teoria/per-un-partito-in-sintonia-con-il-popolo/
Per nulla d accordo.
Un modo estremamente riduttivo di trattare un argomento cruciale che non tiene conto:
A. di centinaia di pagine di teoria della prassi scritte da Gramsci e da Lenin i quali, per tutti coloro che studiano tali argomenti, sarebbe doveroso rispolverare;
B. della prassi politica realizzata dalle associazioni-partiti dal basso prodotta in questi ultimi anni, che è chiaramente distante dalle osservazioni raccolte nell’articolo;
C. e dei successi storici dei partiti popolari della 1a Repubblica, liquidati qui con uno schiocco di dita in quanto “ideologici”.
Il sostegno per il movimento \ partito “a-Ideologico” appartiene difatti ad un’impostazione postmoderna la cui intenzione è quella di rimuovere dall’orizzonte politico il progetto e il fine di lungo periodo, senza rendersi conto purtroppo di come la censura all’ideologia diventa essa stessa ideologica propria del pensiero debole e perciò apologetica dell’attuale capitalismo.
Infine, la soluzione pragmatica-funzionale-situazionista alla M5 stelle è di nuovo estremamente ideologica, con l’aggravante però di non esserne appunto neppure consapevoli.
Viceversa, la prospettiva ideologica esiste, e come, e consiste nel socialismo il quale tuttavia, nell’attuale fase storica, non può essere realizzato in assenza del sovranismo.
Quest’ultimo corrisponde al vecchio obiettivo emancipatorio dei paesi colonizzati del terzo mondo , soggiogati dall’ espansione dell’imperialismo.
Ma in fondo non è una novità neanche per le giovani nazioni europee come l’Italia che ne hanno fatto già oggetto di elaborazione e di prassi sia durante l ottocento , con il Risorgimento, sia nel ’45 con la Liberazione.
Molte cose non convincono e destano anzi stupore nell’articolo di Mattia Mastri, pubblicato su Senso Comune e intitolato “Per un partito in sintonia con il popolo”.
A parte la stupefacente identificazione delle ideologie con i nomi e i simboli che le riassumevano e l’errore di credere che destra e sinistra, nell’ultimo trentennio, siano stati termini che abbiano riassunto ideologie (come non le hanno riassunte nomi e simboli di Forza Italia, Margherita, Asinello, Partito Democratico, ecc., o sommatorie di parole vaghe, come Sinistra Ecologia e Libertà) e quindi a parte che manca radicalmente non dico l’analisi ma la sintesi sull’essenza dei partiti della prima Repubblica (l’essenza non era nell’essere di massa), è sorprendente l’idea di partito proposta.
Nulla si dice sulla selezione e formazione dei quadri e dei dirigenti di primo e secondo livello (in ciò l’analogia con il M5S è assoluta). E nulla si dice sulla organizzazione – il M5S invece ha fondato tutto sulla organizzazione, anche se poi, sotto più profili, l’ha rivista e rinnegata, una volta raggiunto il successo elettorale. Insomma dei tre elementi che caratterizzano un partito – uomini, organizzazione e contenuti – si considerano soltanto i contenuti, nonché ovviamente, trattandosi di dar vita a un partito, un progetto per crearlo, che fondamentalmente è un progetto per “lanciare” i contenuti di un documento, definito “Piano Operativo”.
Sembrerebbe che creare un partito significhi scrivere e diffondere, sulla rete e in tv il “Piano Operativo” che dovrebbe essere “dettagliato, intelligibile e chiaro”.
Ora, sorvolando su intellegibile e chiaro, che appaiono qualifiche pleonastiche, non potendosi nemmeno pensare che si scriva un documento oscuro e non intellegibile, resta l’aggettivo dettagliato. Esso o può significare dettagliato nell’indicare le esigenze (i problemi) e le soluzioni, e allora non credo sia più lungo di tre o quattro paginette; oppure può significare che sono indicati almeno anche le connessioni tra i problemi, le priorità logiche e quelle fondate sull’opportunità, nonché i primi corollari attuativi. E allora si avrà un documento che potrebbe oscillare tra le dieci e le trenta pagine. Anche sotto questo profilo, nonché sotto il profilo anti-ideologico, volto a prestare attenzione alla “dinamica problema-soluzione”, la proposta appare del tutto analoga a quella del M5S.
Ma quali sarebbero i contenuti proposti dal “partito”? Beh non coinciderebbero necessariamente con le cose che coloro (pochi sembrerebbe) che sono chiamati a scrivere il piano operativo pensano. Il partito non sarebbe e non dovrebbe essere luogo di elaborazione di idee, strategie, linguaggi e progetti nonché organizzazione e azione collettiva di uomini, al servizio di quelle idee, e che si propongano di dirigere e condizionare, poco o tanto, la società. No, il partito sarebbe improntato al principio del “sono come tu mi vuoi”. Effettivamente mi è capitato di ascoltare, durante i lavori dell’assemblea di Senso Comune, che il populismo consisterebbe nel dire ciò che il popolo vuole si dica. Il titolo dell’articolo d’altra parte è eloquente: “Per un partito in sintonia con il popolo”.
Sotto questo profilo mi sembra migliore il progetto astratto del M5S (qui parliamo dei progetti astratti non di come in concreto funzionano nel M5S e funzionerebbero in Senso Comune), che prevede scelte e linee che traggono fondamento dalle indicazioni degli attivisti.
In definitiva sarebbe tutto molto facile: “gruppi referenziati” individuano i problemi del popolo e scrivono le soluzioni nel “Piano Operativo” che poi viene “condiviso” con gli “attivisti” (anche questa scelta lessicale, rispetto a “militanti”, indica prossimità logica e con il M5S); seguirebbe il “lancio” del partito su larga scala con la raccolta delle adesioni “in nome del Piano Operativo”, principalmente con “la piattaforma online” visto che data la forma organizzativa e di azione i “gruppi locali” non dovrebbero essere particolarmente numerosi e attivi; e infine la “ricerca (anche spregiudicata) di spazi sui mezzi di comunicazione per promuovere il Piano Operativo”.
Sembrerebbe tutto semplice, sebbene tutto molto simile al M5S, che non soltanto esiste ma che sotto alcuni profili sembra essere migliore (sempre valutando soltanto i progetti astratti).
Allora perché non iscriversi al M5S?
Non ci siamo ma per fortuna le cose non sono così facili: sono difficilissime.
UN PROGETTO SBAGLIATO!
Un movimentismo populista non può avere alcuna base ideologica nel Popolo, che non ne ha una e soprattutto che si muove in una prospettiva del momento, che non costruire nulla di solido, ma semplicemente un magma liquido, che ora va da una parte ora da un’altra.
La prospettiva di essere in grado di governare il kaos con strumenti debolissimi.
Insomma, tutto e il contrario di tutto, senza, poi, considerare che non avere un preciso riferimento ideologico comporta non avere alcuna base ordinamentale, che pure esiste ed è punto di riferimento imprescindibile, ovvero la COSTITUZIONE REPUBBLICANA.
Significa muoversi al buio senza un principio di convivenza civile che non sia un puro anarchismo tecnologico, ma non un anarchismo allo stato puro, ma di convenienza.
In definitiva un progetto politico tutto sbagliato, un gran pasticcio.
In realtà io mi auguro che ripensino la forma. L’articolo comunque ha soltanto il fine di suscitare in alcuni di loro la riflessione. Poi il problema si risolve facilmente: se le forme organizzative sono così diverse, non ci si può fondere – non sta né in cielo né in terra – e ci si allea.
Se ricordi una delle cose che il Comitato Direttivo del FSI ha obiettato alla lettera di Rinascita è l’idea, data per scontata, che si debba volere un partito unitario. Un partito unitario può esserci se c’è identità di vedute sulla forma organizzativa, almeno all’80% ossia se vi è accordo sui principi e disaccordo sui alcuni corollari. Ma tra la nostra idea e quella espressa da questo articolo pubblicato sul sito di Senso Comune, vi è una differenza abissale, paragonabile nei contenuti a quella tra socialismo reale e neoliberalismo.
Sotto il profilo della forma organizzativa del partito ci troviamo agli estremi opposti. E se una persona intelligente può militare in un partito che esprima idee che essa condivide soltanto al 60% – se, in quel dato momento, non vi sono alternative – nessuno può ragionevolmente sottrarre il tempo alla moglie ai figli, alla lettura alla scrittura alla carriera persino al denaro, del quale magari non gli interessa nulla, per dedicarlo a una struttura organizzativa che gli ripugna e che crede che, seppure si rivelasse efficace elettoralmente, sarebbe comunque inefficace ad esprimere una valida e compatta forza di governo.
Per fortuna, l’accordo sui contenuti consente la collaborazione anche tra frazioni che hanno idee assolutamente diverse sulla forma partito.