Gli eroi greci e le nullità "visibili" della modernità

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  1. Tonguessy ha detto:

    Scrive Tino:

    "Abbiamo perso la consapevolezza del nulla che tutti ci accomuna"

     

    Beh, tutta la nostra società è affannosamente impegnata nell'allontanare il più possibile qualsiasi  nihil. Vedi come viene esorcizzata la morte, costi quel che costi.

    Viene messo in contrapposizione, tale nihil, con l'assoluto, che viene eletto a paradigma vitale.

    Il Potere (che in origine è servizio reso alla comunità, ovvero una funzione nichilista essendo il suo portatore Nessuno) diventa così potere assoluto: tronfio ed imbelle si vanta di essere Sè.

    Il potere moderno è regolato dalla legge di Narciso proprio perchè ha dimenticato quel nihil tanto caro a Nietzsche: succede così che esso (quel nihil che correttamente affermi ci accumuni tutti indistintamente) diventi l'abisso che ci scruta minaccioso.

    La minaccia sta nell'oblio, nell'aver dimenticato il Nulla ed avergli preferito l'Assoluto al punto di essergli diventati prigionieri. Il Nulla del Guerriero contro l'Assoluto dell'Impiegato. A tanto siamo arrivati.

     Oggi l'Assoluto è definitivamente visuale. Platone si dimostra ancora una volta inflessibile Caronte nel traghettare la nostra consapevolezza verso le appariscenti nefandezze moderniste, verso il Gran Demiurgo Visivo.

    Un motivo in più per proclamarmi epicureo.

  2. altrecorrispondenze ha detto:

    bè, le cose non stanno proprio così, e la citazione heideggeriana di partenza ( la verità platonica come visibilità-  come coerenza a ciò che è evidente ) non è il concetto più convincente espresso da Heidegger. A lui serviva per rafforzare il concetto di verità -presocratica, quindi più originaria- come dis-velamento.
    quello che ne discende, nel ragionamento di Tino, non lo condivido. Il capitalismo, un sistema simbolico centrato sulle merci – cioè su "un' astrazione sovranamente sovrasensibile"- è già il nulla fatto realtà. Altro che rimozione !

  3. stefano.dandrea ha detto:

    @ Altrecorrispondenze

    Ti ringrazio per il pregevole intervento.

    La mia ignoranza filosofica mi impedisce forse di partecipare a un dialogo fecondo. Pertanto ci provo, nella speranza che tu possa correggermi.

    Io ho dato una lettura più semplice e certamente superficiale dell'articolo di Tino.

    I nostri politici "visibili" e che tanto si impegnano per esserlo e per presenziare in TV non escono dal nulla, perché pur riuscendo ad imporsi nello spazio pubblico, non resteranno nel tempo (di questo credo che possaimo dirci certi). Gheddafi, che è ha sfidato e accettato la morte, per insegnare alle future generazioni libiche la necessità di difendere la nazione dagli stranieri, costi quello che costi (leggi il Testamento di Gheddafi pubblicato alcuni giorni fa su Appello al Popolo), resterà nel tempo. E perciò è uscito fuori dal nulla, come gli eroi greci. E' proprio accettando e sfidando la morte che Gheddafi è uscito dal nulla e sarà ricordato dai Libici anche tra alcuni secoli.

    Il capitalismo, a maggior ragione quello moderno (o, se si preferisce, post moderno), fondato sul feticcio delle merci, destinate al breve consumo e a vita breve, per la necessità di riprodurle e rivenderle, ai fini della valorizzazione del capitale, è ovviamente un sistema fondato sul nulla e volto soltanto alla produzione e promozione del nulla; il capitalismo ha cura che niente fuoriesca dalla sfera del nulla.

    Non vedo contrasto, dunque, tra quanto tu affermi, e che mi trova d'accordo, e l'attenzione posta da Tino al paragone tra i nostri politici che cercano una visibilità che non li farà uscire dal nulla e gli eroi greci (o quelli moderni come Gheddafi, preciso io).

    Certo, alcune espressioni possono trarre in inganno: "Il nulla respirava dentro il loro respiro, parlava la loro stessa lingua, vedeva con i loro stessi occhi. Era il suolo che calpestavano, era il cielo che generavano". Io anche ho l'impressione che talvolta si tenda a dare un valore al "vero nulla" per segnare le distanze tra "il nulla" e l'apparenza e l'esistenza contingente che non vale nulla. Però mi sembra chiaro che ciò che ha valore vive in eterno e quindi è compatibile, anzi intrinsecamente legato, al nulla materiale. Le grandi idee, le grandi gesta. Soltanto le grandi opere, che necessitano di un substrato materiale, sembrano legare la grandezza e la vita nel tempo a una materia. Ma questo forse è accaduto soltanto perché abbiamo accantonato la civiltà orale; ed essendo divenuti pietre rotolanti abbiamo la necessità di fissare in simboli impressi su substrati materiali ciò che prima sfidava il tempo imprimendosi immediatamente nella mente dei posteri.

    Sarei davvero grato di una tua risposta o precisazione o correzione.

     

  4. altrecorrispondenze ha detto:

    ma su queste cose non se ne sa mai abbastanza! per di più i millenni che ci dividono da Platone hanno così ingarbugliato la matassa che pare non ci siano teste abbastanza fini da dipanarla, tanto meno la mia. 
    Tino però scambia il nulla con il velamento dell' Essere, dando una valenza negativa a una forma di contumacia che invece presuppone anche il suo concedersi sia concreto ma con ancora più evidenza nella rappresentazione (nella forma della narrazione artistica, nella forma concettuale filosofica, nella forma  simbolico rituale religiosa). Un passaggio continuo dall'indistino al distinto, ma l'indistinto non è il niente. Non possiamo fare della cultura classica greca la culla del nichilismo, anzi. Quella che -credo- stiamo intendendo come apparenza (contrapposta ad una sostanza) non era pensabile per un greco se non come forma di una sostanza, dove forma e sostanza hanno pari dignità e sono in stretta reciproca relazione.
    Mi pare invece che dovremmo esaminare questo modello modernissimo del vedere non come apparenza ma come "virtualità" -il salto è notevole, per me senza continuità-, dietro cui -la butto lì – davvero si nasconde il nulla, il senza senso, la valorizzazione infinita del valore,  per ricondurre quanto detto al percorso di pensiero di Tino.

  5. Tonguessy ha detto:

    Scrive altrecorrispondenze che la cultura classica greca è l'opposto del nichilismo. Non ne sarei così sicuro. Ricordiamoci i sofisti, e tutte le loro incursioni destrutturanti all'interno del logos. La cultura greca (a differenza di quella romana) non solo partorì ma diede spazio a questi maestri funambolici che ci avvisarono con molto anticipo rispetto a, chessò, Derrida dei pericoli di un'interpretazione monocorde.

    .

    L'esempio che mi viene in mente è l'immagine che gli antichi greci avevano del tempo: noi siamo rematori che possono vedere solo le acque appena attraversate, non le acque verso cui andiamo. Indistinto al limite del nichilismo se paragonato alla protervia con cui si vuole imporre la ricetta di sangue sudore e lacrime ai pigs per favorire le elites di wall street. Questi ultimi sanno navigare benissimo, e ci stanno trascinando verso gli scogli grazie alle costosissime bussole taroccate che ci hanno venduto. Tali bussole non indicano il nihil ma l'Assoluto mascherato da Progresso, Modernità etc…

     

    Discorsi definitivamente complicati e senza soluzione finale, com'è giusto che sia.

  6. altrecorrispondenze ha detto:

    che la retorica sofista si insinui nella dialettica filosofica (e politica) è un pericolo intrinseco di ogni dialogo, e credo che bisogna anche qui accettarne il nucleo razionale (la contestazione critica di interpretazioni monocordi, come dici, della tradizione) di libera interpretazione ma poi operare un netto distinguo tra chi guarda e custodisce la totalità sociale e chi invece rende universale il proprio punto di vista esclusivo.
    portando questa antica oscillazione ai nostri giorni, operazione che ridà vita e storia a una filosofia ridotta a epistemologia, direi che non contesto che dietro la apparenza (o meglio la virtualità) dei nostri politici o del giudizio dei mercati si nasconde un Assoluto metafisico, ma aggiungo la sua coincidenza con il nichilismo moderno.
    leggere la totalità dei rapporti di produzione capitalistici come Assoluto fa inevitabilmente pendere l'antagonismo anticapitalista verso il relativismo, che in termini attuali vorrebbe dire riproporre una verità di classe, una strategia politica che non trovo adatta.
    dopo aver usato e svuotato di senso l'assoluto religioso, il capitalismo adotta già da molto il relativismo culturale (nessuna verità sociale tranne quella individuale, cioè una verità assolutamente parziale) che fa pari -fa pari-con l' assoluto indiscutibile della società di mercato e della cittadinanza, al suo interno, esclusivamente legata alla capacità di solvenza individuale (una verità nichilista, perchè fondata sul valore di scambio delle merci generiche).
    allora forse  dovremmo riuscire a concepire assoluto/nulla come termini di una dialettica da rinnovare, proprio per schiudere nel senso comune la naturale reazione a questo stato di cose.

  7. Tonguessy ha detto:

    Sono profondamente restio a far coincidere l'Assoluto con il Nihil. Sono in realtà valori contrapposti: tanto è tronfio e narciso l'Assoluto che si bea di modernismi a tutto campo quanto è scettico e dubitativo il nichilismo, che rivaluta il Nihil proprio in contrapposizione a dogmi e assiomi imperanti. L'Assoluto è rassicurante quanto il Nihil è angosciante e per questo fortemente stimolante perchè pone ogni questione  fondamentale in un contesto di più ampio respiro, relativizzandola. Vero è che l'Assoluto della società di massa crea una forma di nichilismo che poco ha a che vedere con Nietzsche e che viene così dichiarata allo stesso modo in cui si apostrofa con sofisma un intervento comunicativo poco consono.

    Forse varrebbe prima la pena di chiarirsi su cosa si intenda per nichilismo, per evitare di fare confusione tra devianze e forme originali. Ammesso questi due termini abbiano ancora senso, s'intende.

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