Misurare il progresso effettivo
di MARCO TROMBINO (FSI Genova)
Il Prodotto Interno Lordo o PIL è il valore di mercato di tutte le merci e servizi prodotti in un certo paese per un dato lasso di tempo. Di fatto, è l’indicatore economico unico a livello internazionale e quello più usato nella storia.
Le critiche al PIL sono datate: si va dalla celebre massima di Robert Kennedy, che ebbe a dire “il PIL misura tutto, tranne ciò che rende la nostra vita degna di essere vissuta” fino alle più recenti ossservazioni di personaggi politici come quella dell’ex primo ministro britannico Robert Cameron, che istituì una commissione per elaborare un nuovo metodo di calcolo della produzione, e del ex presidente francese Nicholas Sarkozy, promotore di una iniziativa analoga.
Occorre premettere che il PIL non sia un metodo di calcolo completamente fasullo. Dalla stima del PIL annuo di paesi come Francia e Centrafrica si capisce a prima vista qual è il paese che gode di benessere e quale no. Tuttavia, le critiche che in più sedi sono state mosse al PIL hanno un reale fondamento.
La più importante tra queste è che il Prodotto Interno Lordo tiene conto di qualsiasi transazione, anche se questa non concorre al benessere dei cittadini. Ogni spesa necessaria per fronteggiare i disastri ambientali, i loro impatti sanitari sulla popolazione, la criminalità e i suoi effetti, sono tutti elementi che contribuiscono ad aumentare il PIL di un paese, ma non migliorano certo il tenore di vita dei suoi cittadini, anzi finiscono per peggiorarlo.
Più importante di tutto, il PIL non offre nessuna informazione sulla distribuzione del reddito all’interno della popolazione di uno stato: a fronte di un PIL alto potrebbe essere presente una forte sperequazione della ricchezza, ed ecco che l’informazione di “paese con benessere” diventa fuorviante se poi all’interno del paese stesso si riscontrano vaste sacche di povertà e disagio non dissimili a quelle di una nazione sottosviluppata. È stato elaborato il concetto di “PIL pro capite”, che quantomeno introduce il tema del peso della demografia, ma è il solito artifizio che spiega quanti polli a testa sarebbero presenti, non quanti polli il cittadino abbia realmente mangiato. Per tutti questi motivi, il PIL è un indicatore estremamente congeniale al sistema economico liberista, e ciò ne spiega l’ingiustificata longevità.
E sia chiaro che tale longevità non è affatto dovuta alla mancanza di alternative. Indicatori diversi dal PIL sono già presenti da anni; alcuni non applicabili a contesti economici come quelli di un paese a sviluppo industrialista maturo come l’Italia, altri invece molto più credibili e perfettamente applicabili.
L’esempio più emblematico è quello del GPI, acronimo di “Genuine Progress Indicator”, che dovrebbe essere tradotto correttamente in italiano come “Indicatore di Progresso Autentico” o “Indicatore di Progresso Effettivo”, quindi IPE. Tale indicatore considera in positivo le somme dei valori di tutti i beni e i servizi prodotti in un paese per un determinato lasso di tempo, ma sottrae in negativo tutti i fattori che determinano a peggiorare il benessere reale dei cittadini, quali l’inquinamento, la degradazione ambientale in genere, la criminalità, ecc.
Il GPI (o IPE) è già stato utilizzato per stimare la crescita economica di paesi europei e nordamericani. Proposto a metà degli anni ’90, il calcolo su una rosa di 11 paesi occidentali mostrò che, mentre il PIL era sempre andato crescendo, il GPI era risalito fino all’inizio degli anni ’80 per poi cominciare a declinare. Attenzione: stiamo parlando di paesi come Canada, Olanda, Germania, Austria e Svezia, ossia proprio quei paesi che al pubblico italiano vengono sempre additati come esempi da seguire e come modelli a cui necessariamente ispirarsi. Se viene analizzata la reale situazione economica da un altro punto di vista, come si può vedere i modelli che ci vengono proposti ci prospettano un futuro meno roseo di quello che si vuole far credere ai cittadini.
Il superamento del sistema economico liberista a favore di una strutturazione economica sovranista non può prescindere dall’adozione di indicatori economici più realistici rispetto al PIL. Adottare uno strumento creato apposta per fuorviare il pubblico, e prima ancora illudere i mercati, implica l’adozione di scelte economiche sbagliate: se le premesse cognitive sono errate, anche le conclusioni lo saranno. Il GPI è un mezzo senz’altro perfettibile come qualsiasi strumento umano, ma ad oggi rappresenta l’alternativa di lunga più attendibile ed efficace.
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