Il momento populista
Siamo immersi in un momento di forti reazioni all’invadenza dei mercati, forse mai così minacciosi per la sopravvivenza della società. I conflitti che lo caratterizzano non oppongono però fronti definiti sulla base dell’appartenenza di classe: sono scontri tra popolo e oligarchie, o eventualmente tra chi viene beneficiato dalla libera circolazione di merci e capitali e chi viene invece danneggiato dagli sconfinamenti perché prigioniero della dimensione territoriale (1). Comunque sia ci troviamo di fronte a una decisa reazione al neoliberalismo. Si è infatti definitivamente spezzato l’equilibrio tra istanze libertarie e istanze egualitarie che ha tradizionalmente accompagnato la tensione tra liberalismo politico e democrazia. E si è in sua vece radicata una supremazia delle libertà economiche sull’uguaglianza e la sovranità popolare.
A questo esito ha contribuito in modo determinante la sinistra storica, che da decenni ha assunto il neoliberalismo come orizzonte immutabile della sua azione politica: ha oramai elevato il mercato a principale strumento di redistribuzione della ricchezza e dunque concepito l’inclusione sociale come inclusione nel mercato. Peraltro anche la cosiddetta sinistra radicale ha fornito il suo contributo, avendo aiutato il neoliberalismo di prendere tempo: le istanze di riconoscimento alimentate dalla prima sono state incorporate dal secondo, che le ha anzi utilizzare per affossare le istanze di redistribuzione
Ora però il re è nudo, e non è più possibile nascondere i risvolti di un impero incontrastato dell’ortodossia neoliberale: l’avvento della postdemocrazia e della postpolitica, indispensabili a sterilizzare il conflitto sociale provocato dalla virulenza di quell’ortodossia. Di qui la reazione all’invadenza dei mercati come scontro irriducibile alla lotta di classe. Di qui il momento populista, a cui Chantal Mouffe, tra le pioniere delle riflessione su questi aspetti, ha dedicato un volume recentemente uscito in traduzione italiana (2).
Populismo di destra e populismo di sinistra
Il populismo concerne la costruzione di un popolo, sebbene in termini di pratica discorsiva, e passa pertanto dall’identificazione di un “noi” e di un “loro”. Soprattutto il diverso modo di affrontare questo aspetto, chiarisce Mouffe, definisce il segno del populismo: il suo giocarsi nel campo della destra, o il suo essere riconducibile a idealità di sinistra.
Inutile nascondersi che attualmente il contesto italiano è prigioniero di un populismo di destra, tale in quanto il “noi” si ricostruisce a partire da identità etniche escludenti, buone solo ad alimentare il razzismo e le xenofobia. A questo porta chi brandisce rosari, invoca il cattolicesimo reazionario come argine contro l’invasione islamica, e valorizza la famiglia come luogo in cui riprodurre e amplificare simili valori.
Va da sé che questo modo di costruire il “noi” e di contrapporlo a un “loro” non mette in discussione il neoliberalismo, ma anzi lo consolida: aiuta a neutralizzare i conflitti prodotti dal funzionamento del mercato e dagli sconfinamenti di cui si alimenta il suo funzionamento. Il tutto secondo uno schema non certo nuovo: da tempo si ricorre a valori premoderni per sostenere la modernità capitalistica, e anzi questo aspetto è stato centrale nella nascita del neoliberalismo. Non è dunque un caso se il “noi” ricostruito attorno a valori premoderni dà vita a una comunità nella quale imperano gli autoritarismi, si sviliscono le istanze egualitarie e si mortifica la sovranità popolare.
Di tutt’altro segno il populismo di sinistra, che Mouffe riconduce a un diverso modo di costruire il “noi” e il “loro”: quello che tiene insieme i perdenti dell’ortodossia neoliberale, dai lavoratori alla comunità lgbt, passando per i migranti e la classe media precaria. È noto che su questi aspetti la riflessione sul populismo è inevitabilmente vivace. È contestato in particolare il proposito di valorizzare la “pluralità degli agenti sociali e delle loro lotte” e dunque di abbandonare quanto Mouffe definisce in termini di essenzialismo: la convinzione secondo cui vi sono soggettività cui affidare le speranze di liberazione dall’ortodossia neoliberale. Si dubita poi circa la possibilità di stabilire catene di equivalenze tra i diversi agenti sociali e le loro lotte, così come della possibilità di tenere insieme una comunità in cui siano ricompresi portatori delle più disparate istanze di riconoscimento e di redistribuzione.
Sono tutti aspetti di notevole rilevanza, che tuttavia passano in secondo piano se si mette in luce come il populismo di sinistra miri innanzi tutto alla ripoliticizzazione dello stare insieme come società, e con ciò alla riespansione del circuito democratico. È quanto Mouffe afferma ricorrendo al concetto di democrazia radicale, tale in quanto valorizza il pluralismo e dunque le identità includenti, pensate per la riattivazione della sovranità popolare. Il tutto con effetti capaci di andare oltre l’orizzonte liberaldemocratico, che pure assolve a una funzione fondamentale: contrastare i moti verso lo scioglimento dell’individuo nell’ordine, incluso quello economico neoliberale nel suo alimentarsi della funzionalizzazione dei comportamenti al suo equilibrio e sviluppo.
Il momento Polanyi
Il momento populista presenta notevoli punti di contatto con quanto è stato definito “momento Polanyi”: il momento in cui la società viene talmente minacciata dai mercati, che per la sua sopravvivenza richiede la protezione dello Stato (3). Di qui il primo nesso con il momento populista: entrambi costituiscono una reazione al neoliberalismo, e più precisamente a una fase caratterizzata da una sua particolare virulenza.
Anche il momento Polanyi, come il momento populista, può virare a destra o a sinistra. Storicamente la prima ipotesi si è verificata con il fascismo, mentre la seconda con il New Deal statunitense. Attualmente il ritorno agli Stati si gioca tutto nel campo della destra, perché concerne la lotta cui stanno dando vita per la conquista dei mercati internazionali. Non vi è spazio per una lotta degli Stati contro i mercati, che avrebbe una connotazione di sinistra anche perché sarebbe necessariamente collegata al recupero della sovranità popolare. Quest’ultima è invero indispensabile a riorientare l’azione dei pubblici poteri, che l’ortodossia neoliberale vuole impegnati unicamente nella prevenzione dei fallimenti del mercato. Solo il recupero della sovranità popolare consente infatti di ripoliticizzare l’ordine economico, ovvero di imporre ai pubblici poteri il compito di tradurre l’esito del conflitto sociale in pratica politica, e in particolare in limitazioni al raggio di azione del mercato (4).
Di qui il diverso modo di intendere l’identità statuale da parte dei due possibili esiti del momento Polanyi, per molti aspetti speculari rispetto alla costruzione del “noi” e del “loro” relativa al momento populista. Nel momento Polanyi che si risolve in un moto verso destra si privilegiano le identità escludenti, magari fondate su valori premoderni e dunque incapaci di produrre reti di solidarietà tra Stati, e a monte tra popoli. Diverso il discorso per il momento Polanyi che conduce i pubblici poteri a combattere i mercati. Qui l’identità attiene innanzi tutto alle modalità con cui lo Stato riequilibra la posizione dei soggetti deboli e in tal senso redistribuisce le armi del conflitto sociale. Essa concerne poi il modo di tradurre in pratica politica l’esito di tale conflitto, ovvero il modo di rendere i pubblici poteri interpreti di tale esito. Tutto l’opposto di quanto preteso dall’ortodossia neoliberale, che isola i pubblici poteri dal conflitto per spoliticizzare il mercato, e che a monte mira a polverizzare il potere economico, piuttosto che a promuovere la formazione di contropoteri.
Populismo e dimensione nazionale
Chi discute di momento Polanyi mette in luce come la virulenza dei mercati e la loro minaccia alla sopravvivenza delle società sia tanto più accentuata quanto più sono avanzati i processi di denazionalizzazione. L’ortodossia neoliberale, nel momento in cui affida agli Stati il compito di presidiare il corretto funzionamento del mercato, impone loro di rappresentarsi come contenitori dai quali si possano prelevare senza ostacoli i fattori produttivi: come catalizzatori della libera circolazione di merci, servizi, capitali e lavoratori. Per questo la reazione al neoliberalismo si accompagna necessariamente alla rinazionalizzazione dell’ordine economico, e a monte dell’ordine politico. Il che può avvenire a sinistra o a destra, come abbiamo detto considerando le modalità cui i pubblici poteri si dedicano al contrasto della pervasività dei mercati.
Nel volume di Mouffe il tema della rinazionalizzazione viene richiamato in modo eloquente laddove si contrappone la “grammatica liberale che postula l’universalità e il riferimento all’umanità” alla “grammatica dell’uguaglianza democratica che richiede la costruzione di un popolo e una frontiera tra un noi e un loro”. Vi è dunque consapevolezza dell’intima ispirazione universalista del neoliberalismo, così come del nesso tra democrazia e livello nazionale, evidente nell’affermazione per cui “la questione della radicalizzazione della democrazia deve essere posta in primo luogo sul piano nazionale”.
Ciò detto, il discorso di Mouffe si fa meno netto ove riferito ai rapporti tra livello nazionale e livello europeo, ovvero al ruolo che la costruzione europea riveste dal punto di vista della promozione dell’universalismo su cui si fonda il progetto neoliberale. Per un verso si allude alle “limitazioni che l’adesione all’Unione europea impone alla possibilità di portare avanti politiche che sfidano il neoliberalismo”. Per un altro si evita di approfondire questo aspetto e soprattutto di trarre tutte le dovute conseguenze da un circostanza oramai incontrovertibile: che si tratta di limitazioni non superabili, ovvero che non si danno spazi per modificare l’Unione e renderla compatibile con un processo di ripoliticizzazione del mercato.
Insomma, Mouffe definisce il momento populista come il momento in cui si assiste al “ritorno del politico” e indica nel livello nazionale l’arena entro cui si esprime il fondamento della ripoliticizzazione dello stare insieme come società: il ripristino della sovranità popolare. E tuttavia evita di soffermarsi sulla circostanza che il ripristino della sovranità nello Stato presuppone il recupero della sovranità dello Stato. A conferma di come il momento populista sia necessariamente un momento Polanyi.
(1) C. Formenti, Il socialismo è morto. Viva il socialismo, Milano, Meltemi, 2019.
(2) Ch. Mouffe, Per un populismo di sinistra, Roma e Bari, Laterza, 2018.
(3) K. Polanyi, La grande trasformazione (1944), Torino, Einaudi, 1974.
(4) A. Somma, Sovranismi. Stato popolo e conflitto sociale, Roma, DeriveApprodi, 2018.
Commenti recenti