di LIMES (Giorgio Cuscito)
BOLLETTINO IMPERIALE Il presidente cinese ha assistito all’adesione di Roma alle nuove vie della seta. Usa e Ue non resteranno a guardare.
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La visita del presidente cinese Xi Jinping in Italia sarà un passo fondamentale nei rapporti tra Roma e Pechino.
Xi, arrivato a Roma il 21 marzo, ha un’agenda fitta. Il 22 marzo ha incontrato l’omologo italiano Sergio Mattarella, visitato Camera e Senato e partecipato al business forum congiunto bilaterale. Il 23 mattina il leader della Repubblica Popolare ha firmato con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte il famigerato memorandum di adesione alla Belt and Road Initiative (Bri, o nuove vie della seta) e assistito alla conclusione di una serie di intese tra enti italiani e cinesi. Xi si recherà poi a Palermo, formalmente per una visita privata. Il 24 mattina il presidente cinese lascerà la Penisola per recarsi nel Principato di Monaco e in Francia.
L’Italia ha affermato che l’obiettivo del memorandum è rafforzare i rapporti esclusivamente sul piano economico e che il documento non è vincolante sul piano legale. Eppure agli occhi degli Stati Uniti il gesto ha un forte valore simbolico, poiché appoggeremmo esplicitamente il progetto geopolitico cinese. Altri membri dell’Unione Europea (per esempio Grecia, Portogallo e Malta) hanno sottoscritto il documento, ma la caratura strategica dell’Italia è superiore: è un paese del G7, è posizionata nel cuore del Mar Mediterraneo e soprattutto ospita diverse basi militari Usa e Nato. Di qui le proteste di Washington, che pretendeva di essere consultata da Roma prima di compiere un simile passo. Soprattutto ora, che la competizione tra Usa e Cina sul piano economico, tecnologico e militare si fa più marcata.
È probabile che Roma e Pechino firmino una versione edulcorata del
documento per non indispettire ulteriormente gli Usa e i paesi europei
Il dibattito in Italia sull’adesione alla Bri è emerso tardivamente. Roma ha dato segno di voler far parte dell’iniziativa già nel 2015, quando è diventata
uno dei 57 membri fondatori dell’Asian infrastructure investment bank (Aiib), che finanzia le infrastrutture lungo le nuove vie della seta. Due anni dopo, l’allora presidente del Consiglio Paolo Gentiloni è stato l’unico leader del G7 a partecipare
al primo forum della Bri, ipotizzando futuri investimenti cinesi a Genova e Trieste. Queste manovre hanno spinto le autorità portuali a cercare con insistenza partner nella Repubblica Popolare.
Il governo Lega-Movimento 5 Stelle ha intensificato i viaggi ufficiali in Cina. Basti pensare a quelli del sottosegretario allo Sviluppo economico Michele Geraci (a capo della task force Cina), del ministro dell’Economia Giovanni Tria
ad agosto e quello del vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio
a settembre e
a novembre.
Germania, Francia e Regno Unito intrattengono con la Cina relazioni economiche di dimensioni nettamente superiori. Da quando Xi è diventato segretario del Partito comunista nel 2013 ha visitato Berlino, Parigi e Londra, ma mai Roma. Inoltre, nessuno di questi governi ha firmato il memorandum sulle nuove vie della seta. Tale accortezza lascia intendere quanto sia delicato compiere un simile gesto. La scorsa settimana (mentre l’Italia organizzava il viaggio di Xi) la Commissione Europea
ha definito la Repubblica Popolare un “rivale sistemico” e ha proposto un piano d’azione in dieci punti per dare maggiore equilibrio ai rapporti con Pechino sul piano commerciale e tecnologico. Inoltre, al termine della visita in Italia, Xi
incontrerà a Parigi il presidente francese Emmanuel Macron, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente della commissione europea Jean-Claude Juncker. Ciò lascia intendere che il nuovo corso della collaborazione sino-italiana affronterà un contesto sfavorevole e che Roma non è allineata con i partner europei nella gestione dei rapporti con Pechino.
Il memorandum e gli accordi
Durante la visita di Xi, i principali enti italiani pubblici e privati potrebbero concludere con gli omologhi cinesi fino a 50 intese. Infrastrutture e tecnologia sono argomenti di fondamentale rilievo.
A margine del vertice, i porti di Genova e Trieste potrebbero avviare delle collaborazioni con aziende cinesi quali China communications construction company (Cccc) e China Merchants. I due scali marittimi ambiscono ad incanalare quantità maggiori dei flussi commerciali tra Oriente e Occidente. Genova dovrebbe formare con Cccc una società che aiuti nelle fasi di appalto di alcune opere relative al porto. In una
conversazione con
Limes, il presidente dell’autorità portuale di Trieste Zeno D’Agostino ha detto che quest’ultima non rinuncerà alla gestione del porto, come avvenuto nel caso del Pireo in Grecia. Un eventuale investimento potrebbe riguardare la costruzione di un nuovo molo o della piattaforma logistica.
Visita privata a parte, non è chiaro quale sia il reale proposito del viaggio di Xi in Sicilia. Palermo è la città natale di Mattarella e di Geraci, che ha di fatto gestito il dossier cinese. Una delle ipotesi è che la Cina sia interessata al porto della città. Indirizzare gli investimenti (non solo) cinesi nella valorizzazione del Sud Italia sarebbe in linea con i nostri interessi nazionali. Sia per migliorare qui la qualità della vita sia per restituire un ruolo strategico alla Penisola quale ponte tra Europa e Africa.
Il memorandum potrebbe comprendere la collaborazione nel campo delle telecomunicazioni. A prescindere dalla sua esplicita menzione, è bene notare che già da qualche anno i giganti tecnologici cinesi Huawei e Zte collaborano con enti pubblici e privati italiani per la sperimentazione del 5G sul nostro territorio. Gli Usa hanno in più occasioni affermato che la Cina si serve delle due aziende per condurre attività spionistiche all’estero – ossia quello che Washington fa servendosi dei colossi informatici californiani quali Google, Facebook e Apple.
Huawei ha aperto in Italia due centri per l’innovazione congiunta nel campo delle
smart and safe cities: laboratori dove si progettano le soluzioni per elevare il grado di efficienza e di sicurezza nelle città del futuro. La Cina impiega l’intelligenza artificiale anche per migliorare le capacità operative delle proprie Forze armate e il già capillare
sistema di monitoraggio della popolazione.
La rinuncia alla collaborazione con la Cina in quest’ambito sarebbe quantomeno frettolosa. Germania, Francia e Regno Unito conducono sperimentazioni simili e non hanno ancora sbarrato la porta alla tecnologica cinese. Si potrebbero preservare i progetti in corso ed elaborare cornici legali e cibernetiche tali da proteggere i nostri interessi – come
deciso dal Consiglio dei ministri del 20 marzo – e tranquillizzare gli Stati Uniti. La stessa Apple ha dei data center in Cina e Pechino ha certamente preso provvedimenti per tutelare le proprie infrastrutture critiche.
Il vertice sino-italiano potrebbe favorire una maggiore collaborazione con l’Aiib. È tuttavia improbabile che gli investimenti cinesi facciano cadere l’Italia nella cosiddetta trappola del debito. A differenza di quanto possa accadere in paesi come Gibuti, Pakistan o Malaysia, difficilmente Pechino potrà far leva sull’eventuale finanziamento del nostro debito pubblico per acquisire asset strategici.
Secondo Reuters, Cassa Depositi e Prestiti potrebbe raggiungere un accordo per l’emissione dei cosiddetti “panda bond”, obbligazioni in yuan destinate a investitori della Repubblica Popolare che finanzierebbero così le imprese italiane attive in Cina.
Xi cercherà anche di rafforzare il soft power della Repubblica Popolare in Europa. In tal senso sono rilevanti sia lo
scambio epistolare tra il presidente e il Convitto nazionale di Roma sia l’articolo da lui firmato sul
Corriere della Sera. Xi ha invitato gli studenti dell’Istituto Confucio a recarsi studiare in Cina e a contribuire alle relazioni sino-italiane, come dei “Marco Polo della nuova era”. Soprattutto, nell’articolo sulla testata italiana, Xi sottolinea che “l’amicizia tra Italia e Cina si condensa in una forte fiducia strategica”. Insomma per Pechino la collaborazione intavolata con Roma va ben oltre la questione strettamente economica: servirà per lucidare il marchio cinese agli occhi del mondo.
Un incontro informale tra Xi e papa Francesco è improbabile. Bergoglio
avrebbe già dato la sua disponibilità, il ministero degli Esteri cinese sostiene di
non saperne nulla. Pechino e Santa Sede non intrattengono ufficialmente relazioni diplomatiche e i rapporti sono storicamente complessi. Lo scorso settembre, le due parti
hanno firmato un accordo provvisorio e riservato sulla nomina dei vescovi in Cina. Pechino ha rinunciato a un frammento di sovranità, lasciando che la nomina sia formalmente attribuita al pontefice. La Repubblica Popolare spera che un rinnovato rapporto con il Vaticano migliori la propria immagine internazionale, ma una visita di Xi presso la Santa Sede potrebbe essere prematura per entrambe le parti. Realizzare un incontro lontano dal Vaticano sarebbe più semplice.
Il viaggio di Xi inciderà certamente sulle reazioni degli Usa e dei paesi europei. Qualora l’Italia non trovasse un’intesa con gli Usa e Bruxelles sul grado di cooperazione pratica con la Cina, potrebbe operare in un contesto geopolitico inospitale. Per esempio, Washington potrebbe allentare la collaborazione con Roma in tema di intelligence o convincere le principali agenzie di rating (tutte statunitensi) ad alimentare la sfiducia dei mercati nei confronti del nostro paese. Danneggiando quindi la nostra economia e vanificando gli sforzi fatti da Roma per diventare uno snodo rilevante delle nuove vie della seta.
Carta di Laura Canali – 2019
Fonte: http://www.limesonline.com/rubrica/visita-xi-italia-roma-nuove-vie-seta-5g-huawei-bri-jinping-usa
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