Errore del futurismo
di GIAMPIERO MARANO (FSI Varese)
L’esaltazione della tecnica e della velocità, il culto del nuovo, della guerra e della vita frenetica di città sono gli aspetti dell’estetica futurista certamente più noti, appariscenti e provocatori ma non i soli a rivelare l’ispirazione controtradizionale del movimento.
Il padre del futurismo è l’italiano d’oltremare Filippo Tommaso Marinetti, nato nel 1876 ad Alessandria d’Egitto, dove vive fino al ’92 prima di trasferirsi a Parigi e a Milano subito dopo. Studente nel collegio gesuitico Saint François Xavier, Marinetti è imbevuto di cultura francese; si forma sui testi dei simbolisti, cura la prima antologia italiana degli scritti di Mallarmé.
Nei Grands Initiés di Edouard Schuré il giovane Marinetti ha modo di leggere alcuni proclami futuristi de facto: “Spetterà, secondo noi, all’avvenire di rendere alle facoltà trascendenti dell’anima umana la loro dignità e la loro funzione sociale, riordinandole sotto il controllo della scienza e sulle basi d’una religione veramente universale, aperta a tutte le verità. Allora la scienza, rigenerata dalla vera fede e dallo spirito di carità, saprà elevarsi in queste sfere, dove la filosofia speculativa va errando con gli occhi bendati e a tastoni”.
Come mostra Simona Cigliana nelle sue ricerche sull’occultismo futurista (a cui mi rifaccio qui), Marinetti e sodali confidano nelle potenzialità ancora sconosciute della mente che la scienza futurista saprà rivelare al mondo: sono ricercatori dell’invisibile, come Anton Giulio Bragaglia, i cui esperimenti fotografici sondano “trascendentali qualità del reale”. Credono nel paranormale e sono ottimisticamente convinti, alla maniera di Allan Kardec, che sia legge dell’universo il nascere, morire e rinascere in stadi di volta in volta superiori dell’essere.
L’elettro-dinamismo futurista (e di dinamismo dell’anima parla anche Rudolf Steiner) punta all’esperienza suprema della simultaneità invasa dalla “poesia delle forze cosmiche”, alla violazione delle barriere dell’Io e dello spazio-tempo che apre le porte dell’istante eterno.
Scrive Benedetta Cappa Marinetti: “Spacco tempo e spazio. Voglio creazione miracolo: IDENTITÀ DI VOLONTÀ E DI MATERIA NELLO SPIRITO DIVENUTO REALTÀ . I particolari di punti e le superfici scompaiono nel fondersi e nel trascendere delle forze, così che fra la nostra essenza e l’Universo vi è meno densità e la materia può divenire veggente. Questo affioramento di forze appare già in certi nuclei-individui più potenti, quali i MEDIUM, gli artisti, i Santi”. E Marinetti stesso: “Senza successione di tempi e senza divisione di spazi, l’onnipresente accordo simultaneo contiene tutti i tempi tutti gli spazi”.
Se proprio alla luce di questa metafisica della simultaneità andranno intesi i precetti basilari della poetica futurista (la distruzione della sintassi, l’abolizione dell’aggettivo, dell’avverbio e della punteggiatura, l’uso del verbo all’infinito), come pure il paroliberismo e il ricorso alle onomatopee e al fonosimbolismo, è anche vero che nel rinnovamento spirituale degli Italiani il cattolicesimo non avrà nessuna parte: lo “svaticanamento dell’Italia” e la sua liberazione “dalle chiese, dai preti, dai frati, dalle monache, dai ceri e dalle campane” vengono anzi considerate necessità urgenti, nonostante Marinetti recuperi la “morale di Cristo”, rileggendola però in termini smaccatamente anticlericali.
L’incipit del Manifesto dell’arte sacra futurista redatto da Marinetti e Fillia afferma che “non fu indispensabile praticare la religione cattolica per creare capolavori d’Arte Sacra”; coerente con questo rifiuto della tradizione, allora, il programma politico del Partito Futurista (1919) può auspicare l’abolizione del matrimonio e la distruzione della famiglia: “Molti maschi diversi di razze diversissime venuti da tutte le parti del mondo per unirsi in coiti imprevisti e veloci con una sola donna. Sfasciamento del matrimonio tradizionale, dispersione della famiglia, amore libero e rapido. Sfasciamento delle tradizioni e delle abitudini sentimentali. Bonifica brutale del cuore-pantano dove si ferma la carne-istinto”.
In una simile opera di “sfasciamento” svolge un ruolo centrale l’ideologia nazionalista – diretta emanazione del Sacro rovesciato futurista -, che si propone di far trionfare l’individuo emancipandolo dall’oppressione della famiglia: “la patria è il massimo prolungamento dell’individuo o meglio: il più vasto individuo vivo capace di vivere lungamente, di dirigere, dominare e difendere tutte le parti del suo corpo”.
Un’antropologia così aggressiva, radicata negli stessi princìpi che alla fine del secolo innerveranno i trattati europei (“la prosperità di una nazione è prodotta dall’antagonismo e dall’emulazione dei molteplici organismi che la compongono”, sostiene Marinetti), è portata inevitabilmente a sposare il modello aziendalistico dello Stato e della società, anche qui in netto anticipo sui tempi: “Lo Stato deve essere l’amministrazione di una grande azienda che si chiama patria appartenente a una grande associazione che si chiama nazione. Il patriottismo è per noi semplicemente la sublimazione di quell’attaccamento rispettoso che le buone e forti aziende ispirano ai loro partecipanti”.
Solo se armata della più spietata ferocia competitiva la nazione può insomma proiettarsi nell’avvenire, cioè “verso l’individualismo anarchico, mèta e sogno d’ogni spirito forte”, come si legge nel saggio marinettiano Al di là del comunismo, che ripropone un concetto già illustrato anni prima nel Discorso futurista agli Inglesi: di questo popolo Marinetti ammira appunto l'”individualismo possente” che lo porta ad accogliere libertari e anarchici da tutto il mondo.
Al trionfo dell’individuo assoluto si affianca l’estremismo volontarista così evidente in Mafarka il futurista, romanzo visionario il cui protagonista partorisce con la sola forza della volontà il semidio Gazurmah, eroe meccanico e senza sonno: nasce in tal modo l’homunculus futurista, mentre la tradizione, nella fattispecie quella cabalistica, è deformata e ridotta a mera macchinizzazione del divino.
Il paesaggio futurista può configurarsi perciò soltanto come un “inferno d’oro bollente”, solve inesauribile a cui non fa seguito nessun coagula, ipostasi microcosmica della “venerabile divinità del disordine primordiale”, il signore subitaneo della luce e della velocità di cui è dato leggere nel “gran libro del Futurismo” profetizzato dal fondamentale Gli Indomabili.
In questa penombra infraumana trova posto anche la nuova arte come “sublime tecnologico” (E. Sanguineti) subentrato a quello classico, massima consolazione e distrazione da una quotidianità che, pur intrisa di violenza, prevaricazione e dolore, deve rimanere eternamente identica a se stessa: “Questo non è il Lago della Libertà. Siete giunti al Lago della Poesia e del Sentimento! Abbeveratevi, bagnatevi, e create, se potete, con la frescura di queste onde, l’alta e serena musica della Bontà”.
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