La politica come missione: la campagna elettorale di Gianluca Baldini, l'”outsider” del FSI, a piedi per Pescara
di GIANLUCA BALDINI (FSI Pescara)
Alle 3:45 del mattino devo confessarvi una cosa. In questi giorni sto vivendo una strana sensazione. Mi capita di svegliarmi nel cuore della notte, proprio come adesso, e di non riuscire a prendere sonno. Dovrei essere stanco e riposarmi, perché ieri sono uscito di casa alle 9 del mattino e sono tornato alle 9 di sera dopo aver camminato per chilometri e chilometri e speso fiumi di parole per farmi conoscere per le strade, nei luoghi di aggregazione e nelle attività produttive.
Credo di aver parlato, ieri, con un centinaio di persone, soffermandomi con più di una ventina a parlare diffusamente e lungamente dei problemi della nostra città. Ho ascoltato storie meravigliose, le storie delle loro vite, che sono le storie dei pescaresi, cioè la storia di Pescara. Mi sono nutrito di confronti positivi, esortazioni a dare il massimo, apprezzamenti, promesse di impegno a farmi conoscere ulteriormente. Ma alla fine della giornata penso sempre di aver fatto troppo poco, di non aver raggiunto un numero sufficiente di persone, di non aver approfondito la conoscenza con alcuni di essi, di non aver avuto il tempo di arrivare alla fine di quella via nella quale avrei desiderato ascoltare tutti e presentarmi a tutti.
E così, nel cuore della notte mi sveglio, pimpante ed energico come se fossero le sei del mattino, pronto per uscire di nuovo. E un senso di frustrazione mi attanaglia, mi soffoca, e vi confesso che mi capita anche di piangere, proprio come sto facendo adesso. E cerco di soffocare il pianto, perché ho paura che possano svegliarsi Evelina e Francesca, ma non riesco a trattenermi dalla frustrazione. Mancano meno di due mesi e a me sembrano due giorni.
Non riuscirò mai a parlare con 120.000 persone, non ce la farò. Se solo avessi il tempo, ne sono certo, il risultato dei queste elezioni non sarebbe scontato e io non starei a lottare per entrare in consiglio, ma per essere eletto sindaco. Non è presunzione, la mia, ve lo assicuro; chi mi ha conosciuto sa che approccio ogni esperienza della mia vita con estrema umiltà, perché riconosco nell’umiltà, nella semplicità e nella disciplina, nell’operosità silente del quotidiano, i veri valori dei grandi uomini cui mi ispiro per essere migliore di quello che vorrei. Mio padre veniva dalla campagna e mio nonno era un mezzadro. A quest’ora, penso sempre, mio padre a dieci anni era già sveglio per aiutare il padre con le bestie, perché alle sei si partiva per andare a scuola a piedi, e ci volevano due ore di camminata.
Mi ripeto, non è presunzione la mia, ma percepisco, dopo ogni chiacchierata, che tutti sentono la necessità di voltare pagina, di sbattere la porta in faccia a coloro i quali hanno preso in questi decenni dalla città molto più di quanto non abbiano dato, di sbarazzarsi di quelli che hanno anteposto gli interessi personali al benessere collettivo. Se solo avessi giornate di 96 ore… Non mi mancherebbero né la voglia né l’energia per dedicarmi ininterrottamente a questo compito. Né tantomeno il coraggio. Mi manca solo il tempo.
Non mi fermerò mai, qualunque cosa dovesse accadere a maggio questa sarà la mia missione. Continuare a dare ascolto a questa grande comunità, per accogliere le istanze di chi la vive e vorrebbe vederla rinascere. Il mio maggio, come ho già detto, non è questo, non è la data del 26. Il mio maggio è la mia vita, il mio faro è la Costituzione, la mia casa è il mio partito. Probabilmente non riuscirò a realizzare il sogno di una città di 120.000 persone nei pochi mesi che ho dedicato a questo lavoro di contatto quotidiano per le strade. Ma una cosa ve la rendo certa: non sarà a maggio, ma vi prometto che presto arriverà il nostro momento.
Ci libereremo!
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